“È possibile che la mente si vuoti completamente della paura? Qualsiasi genere di paura alimenta l’illusione, ottunde e restringe la mente. Dove c’è paura, non può esserci libertà e senza libertà non c’è amore. Sono molte le paure che abbiamo: abbiamo paura del buio, paura di quello che dicono gli altri, paura dei serpenti, paura del dolore fisico, paura della vecchiaia, paura della morte. Abbiamo un’infinità di paure. Ma è possibile essere completamente liberi?
Vediamo bene che effetto ha la paura su di noi: ci induce a dire bugie, ci corrompe in vari modi, paralizza la mente, la restringe. Finché avremo paura, non riusciremo a fare luce e ad indagare su certi angoli bui della mente. È normale, è logico cercare di proteggersi fisicamente, è un’esigenza istintiva stare lontani da un serpente velenoso, non avvicinarsi all’orlo di un precipizio, non farsi investire dal tram e così via.
Ma ora sto parlando dell’esigenza di proteggerci psicologicamente, che ci fa avere paura delle malattie, della morte, di un nemico. Quando cerchiamo la nostra soddisfazione, nel dipingere un quadro, nel fare della musica o nelle relazioni che abbiamo, non possiamo evitare la paura. Allora l’importante è renderci conto di quello che accade effettivamente dentro di noi, osservando e imparando. Non serve chiedere come si fa a liberarsi dalla paura. Se tutto quello che vi interessa è liberarvi dalla paura, troverete modi e mezzi per fuggirla, ma in questo modo non saprete mai che cosa vuol dire essere liberi.
Abbiamo paura di quello che dicono gli altri, abbiamo paura di non raggiungere i nostri scopi, di non avere successo, di non avere occasioni. E insieme a tutto questo ci portiamo dietro un grande senso di colpa: abbiamo fatto qualcosa che non avremmo dovuto fare, oppure ci sentiamo in colpa per quello che facciamo. Siamo sani mentre altri sono poveri e malati, abbiamo tutto il cibo che vogliamo, mentre altri muoiono di fame. Più la mente indaga, approfondisce e pone delle domande, più cresce l’angoscia e il senso di colpa...
È la paura che ci spinge a cercare un maestro, un guru; è la paura che ci fa dare tanta importanza alla rispettabilità, a cui teniamo incredibilmente: vogliamo essere persone rispettabili! Avete intenzione di prendere il coraggio a due mani per affrontare i fatti della vita, oppure vi accontentate di ragionare sulla paura, di trovare delle spiegazioni che soddisfino la mente, prigioniera della paura? Come affronterete la paura? Accendendo la radio, leggendo un libro, andando al tempio, aggrappandovi a un dogma, a una fede?
La paura è un’energia che distrugge l’essere umano. Fa avvizzire la mente, deforma il pensiero, induce a creare teorie sofisticate e sottili, impone assurde superstizioni, dogmi, fedi. Se vi rendete conto della distruttività della paura, che cosa farete per mantenere limpida la mente? Voi affermate che scoprendo la causa che genera la paura, potrete liberarvene. Ma è proprio così? Non è scoprendone e conoscendone la causa che eliminerete la paura. Non potete sbarazzarvi della paura senza capire la natura del tempo, senza rendervi conto cioè della natura del pensiero e della parola.
A questo punto sorge la domanda: può esserci un pensiero senza che ci sia la parola? Si può pensare senza ricorrere alle parole, che sono memoria? Signori, se non capite la natura della mente, se non vedete come si muove, se non vi interessa conoscere voi stessi, dire che dovete essere liberi dalla paura ha ben poco significato. La paura fa parte di quel contesto che è l’intera struttura della mente. Se volete vedere ed approfondire tutto questo, avete bisogno di energia. Non sto parlando dell’energia che traete dal cibo che mangiate e che fa parte delle necessità fisiche.
Per vedere, nel senso che intendo io, ci vuole un’enorme energia, mentre voi l’energia la sprecate lottando con le parole, opponendo resistenza, condannando, dando importanza alle vostre opinioni che vi accecano. Tutta la vostra energia se ne va così. Ma se prendete in considerazione quell’atto di percepire, di vedere, potete ancora aprire la porta. Perché obbediamo, copiamo, seguiamo qualcuno? Perché ci comportiamo così? Abbiamo paura di vivere nell’incertezza. Vogliamo certezze: vogliamo la sicurezza finanziaria, vogliamo regole morali certe, vogliamo essere apprezzati, vogliamo avere una posizione sicura.
Non vogliamo trovarci nei guai, non vogliamo avere a che fare con preoccupazioni, dolori, sofferenze. Vogliamo sentirci al sicuro. Così, che ne siamo consapevoli o meno, la paura ci spinge ad obbedire a un maestro, a un capo, al prete, al governo. Ed è la paura che ci impone di non fare qualcosa che danneggi gli altri: la paura di essere puniti. Così, dietro quello che facciamo, dietro la nostra avidità, i nostri desideri, i nostri obiettivi, si nasconde l’esigenza di avere certezze, il bisogno di sentirci al sicuro.
Ma finché non avremo risolto il problema della paura, finché non ne saremo liberi, non avrà molto significato obbedire o essere obbediti. Quello che conta è capire la paura giorno per giorno, è vedere i tanti aspetti sotto i quali essa si mostra. Quando in noi c’è libertà dalla paura, affiora quella qualità interiore che è comprensione, che è la capacità di stare soli senza accumulare conoscenza o esperienza. Solo così può esserci quella straordinaria chiarezza necessaria alla scoperta della realtà. Di che cosa abbiamo paura? Di un fatto o dell’idea che ne abbiamo? Abbiamo paura delle cose come sono o abbiamo paura di quello che pensiamo esse siano?
Prendiamo la morte, per esempio. Abbiamo paura di quel fatto che è la morte oppure ci spaventa l’idea della morte? Il fatto è una cosa, mentre l’idea che ce ne siamo fatti è tutt’altra cosa. Ho paura della parola morte o del fatto in se stesso? Siccome la parola, l’idea mi spaventano, non sono in grado di capire il fatto, non guardo mai veramente, non sono mai in relazione diretta al fatto. Solo quando c’è completa comunione tra me e il fatto non esiste paura.
La paura c’è quando non sono in comunione col fatto; e non potrò essere in comunione col fatto finché mi ferma un’idea, un’opinione, una teoria su quel fatto. Quindi deve essermi ben chiaro se ho paura di una parola, di un’idea, oppure se è il fatto che mi spaventa. Quando sono di fronte a un fatto, non c’è nulla da capire: il fatto è lì e posso affrontarlo. E se è la parola che mi fa paura, allora devo comprenderla, scavando a fondo nelle implicazioni che quella parola comporta.
La mia opinione, la mia idea, la mia esperienza, la mia conoscenza a proposito di un fatto creano la paura. Prende consistenza un processo di verbalizzazione nel quale viene dato un nome al fatto, che viene identificato e giudicato. Ma finché il pensiero porta avanti questo processo, assumendosi il ruolo di un osservatore che giudica il fatto, è inevitabile che ci sia paura. Il pensiero proviene dal passato; per esistere ha bisogno di simboli, di immagini, di un processo di verbalizzazione.
Finché è il pensiero che guarda il fatto e lo interpreta, ci sarà inevitabilmente paura. C’è la paura fisica. Quando vi imbattete in un serpente o in un animale selvaggio, istintivamente avete paura; è normale, è logico, è naturale che sia così. In realtà non si tratta di paura ma di un desiderio di auto-protezione. E questo è normale. Ma il desiderio di proteggersi psicologicamente, il desiderio di sentirsi completamente al sicuro, porta con sé la paura. Una mente che ha una continua esigenza di certezze è una mente morta, perché la vita non ha certezze, nella vita non c’è nulla di permanente...
Quando venite in contatto diretto con la paura, tutta la vostra struttura nervosa reagisce. Allora, se la mente non si rifugia nelle parole, se non fa nulla per sottrarsi a questa situazione, non si crea quella divisione che esiste tra l’osservatore e la cosa osservata, definita come paura. La mente che fugge si separa dalla paura. Ma quando è capace di rimanere in contatto diretto con la paura, allora non c’è un osservatore, non c’è nessuno che dica: “Ho paura”.
Nel momento in cui siete in diretto contatto con la vita o con qualsiasi cosa, non c’è divisione. È questa divisione che porta con sé la competizione, l’ambizione, la paura. Allora, quello che importa non è come fare per liberarsi dalla paura. Se cercate un modo, un metodo, un sistema per liberarvi dalla paura, continuerete a rimanerne prigionieri. Mentre, se capite che cos’è la paura - e questo è possibile solo quando ne venite in diretto contatto, come venite in contatto con la fame o col timore di perdere il vostro lavoro - allora fate qualcosa.
E scoprirete che la paura se ne va. Tutta la paura, non solo qualche suo aspetto particolare. La paura trova varie scappatoie. La più comune e l’identificazione: l’identificazione col proprio paese, con la società, con un’idea. Vi siete accorti di come reagite di fronte a una processione religiosa o a una parata militare? O quando il vostro Paese corre il pericolo di essere invaso? Vi identificate con la vostra patria, con un’immagine, con un’ideologia.
Altre volte vi identificate con vostro figlio, con vostra moglie, con un’attività particolare o con uno stato di tranquillità. L’identificazione è un processo che consente di dimenticare se stessi. So che, finché ho coscienza di me stesso, ci saranno dolore, lotta e una paura senza fine. Ma se mi identifico con qualcosa di più grande, di più degno di me, se mi identifico con la bellezza, con la vita, con la verità, con la fede, con la conoscenza, almeno per qualche tempo, ho la sensazione di allontanarmi dal “me”, da quello che sono.
Quando parlo della mia patria, almeno per qualche momento dimentico me stesso. E anche quando parlo di Dio, dimentico me stesso. Se posso identificarmi con la mia famiglia, con un gruppo, con un partito politico, con un’ideologia, provo un momentaneo sollievo. Ora, sappiamo che cos’è la paura? Non consiste forse nell’incapacità di accettare quello che è? Dobbiamo capire in che modo stiamo usando la parola “accettare”. Questa parola nel modo in cui la sto usando non implica alcuno sforzo, la percezione di quello che è non implica affatto accettazione. Quando non vedo con chiarezza quello che è, allora si pone la questione di accettare qualcosa.
Così la paura è incapacità di accettare quello che è. Tempo significa spostarsi da quello che è per andare verso quello che dovrebbe essere. Ora ho paura, ma un giorno non ne avrò più. Questo significa che per liberarmi dalla paura ho bisogno di tempo. O almeno, siamo convinti che sia così. Ci vuole tempo per modificare quello che è in quello che dovrebbe essere. E questo tempo implica anche uno sforzo per superare l’intervallo tra quello che è e quello che dovrebbe essere.
La paura è qualcosa che non mi piace e quindi farò uno sforzo per comprenderla, per analizzarla, per sezionarla; cercherò di scoprirne la causa, oppure farò di tutto per evitarla. Tutto questo comporta uno sforzo, che noi ormai siamo abituati a fare. Viviamo costantemente nel conflitto tra quello che è, e quello che dovrebbe essere. Quello che dovrei essere è un’idea, e un’idea è immaginazione, non è il fatto, non è quello che sono. E quello che sono può essere cambiato solo quando capisco il disordine creato dal tempo. Allora, è possibile che mi liberi completamente dalla paura, all’istante?
Se consento alla paura di continuare, creerò altro disordine; perché è evidente che il tempo estende il disordine e non é certo un mezzo per liberarci definitivamente dalla paura. Non esiste un processo graduale che consenta di togliere di mezzo la paura, così come non esiste un processo graduale che consenta di sbarazzarci del veleno del nazionalismo. Se siete nazionalisti e tuttavia affermate che col tempo si affermerà la fratellanza tra gli uomini, state accettando che ora ci siano guerre, odio, infelicità e quelle divisioni spaventose che separano gli esseri umani. Quindi il tempo crea continuamente disordine.” (Jiddu Krishnamurti)