Di leggere non aver paura

Creato il 04 novembre 2014 da Paty
Ma non leggere se non te la senti.
Tra circa un mese è già passato un anno che mia mamma se ne è andata. Un anno fa pensavo che a questo punto sarei stata meglio e sì, sto meglio ma non così tanto. L'elaborazione del lutto passa attraverso diverse fasi che io sto puntualmente attraversando, al momento mi ritrovo un senso di depressione perché sto realizzando che la mia vita si sta riorganizzando. E porca miseria, in un anno non si può elaborare una vita.
Ogni tanto decido che mettere nero su bianco i miei pensieri non può che farmi bene ma non voglio limitarmi a tenerli per me così decido anche che voglio che qualcuno li legga perché la malattia, la morte, il dolore, la rinascita sono parti della vita e condividere le mie riflessioni mi fa stare meglio.
Ovviamente non sarà una lettura piacevole, potete fermarvi qui.
Sarà un flusso di pensieri basati sui miei ricordi forti ma confusi allo stesso tempo.
Sarà un papiro lunghissimo, sgrammaticato, con i tempi verbali a casaccio ma non chiedetemi di rileggere per ora :)
Della malattia e poi morte di mia madre, la causa è stato un cancro al seno.Certamente è una malattia che colpisce molte donne (e probabilmente anche me in futuro ma questa è un'altra storia) e molte di queste fortunatamente guariscono, il medico di base infatti non si è trattenuto dal  dirci quanto mia madre sia stata particolarmente sfortunata (e mi viene da dire "Che culo!" però sapere è uno dei tumori più curabili mi rincuora).
Col sennò di poi, ripenso al corso della malattia di mia mamma e tutto mi è chiaro. Ma 4 anni fa non mi era chiaro proprio niente. Ok, ad essere sincera nemmeno un anno fa ci capivo granché!Quando questa storia è cominciata era una ragazza come tante altre a cui la vita aveva regalato più o meno tutto: una bella famiglia, la possibilità di studiare e un compagno fantastico.Non è che oggi sia meno fortunata però posso dire che qualcosa mi è stato tolto, tanta parte del mio mondo mi è crollato addosso e va ricostruito.Mi rendo conto ora che non avevo gli strumenti per affrontare quella situazione o per lo meno non l'ho fatto nel modo in cui lo farei ora.Ero figlia e mi ci sentivo, ho creduto in tutto quello che i miei genitori mi raccontavano e non ho mai parlato direttamente con i medici se non in qualche occasione più grave perché lo faceva mio padre.Probabilmente ho sbagliato ma probabilmente temevo di sentirmi dire quello che già sapevo.Sono stata vicina a mia madre nelle cose più piccole... se doveva lavarsi, se aveva bisogno di parlare... ma lei continuava a comportarsi come la mamma che era sempre stata: forte e protettiva. Io ero un po' rimasta dentro quell'illusione e quando qualcosa nella mia testa mi diceva che non c'era più nulla da fare, continuavo a negarlo, non era accettabile per me che lei se ne andasse.
Tutto è iniziato con una visita di prevenzione, le avevano trovato un tumore al seno e andava operato.Quando me l'ha detto piangeva e poche volte mi era successo di vederla così in precedenza e mai più l'ho vista piangere, fino alla fine.Il giorno successivo aveva già deciso che piangere non serviva a nulla ma che bisognava far fronte al problema: ce l'avremmo messa tutta, . Così in poco tempo siamo passati all'operazione che non è stata particolarmente invasiva né debilitante però ci avevano comunicato che si era reso necessario asportare anche il linfonodo sentinella... e ci sarebbe toccata radioterapia e chemioterapia (che pareva quasi routine).
Una volta iniziata la chemio, naturalmente si presentava il problema dei capelli e mia madre come posso immaginare molte altre donne, non ha mai accettato di dover perdere i capelli così utilizzava una parrucca per uscire di casa. In casa riusciva a star senza ma faticava a guardarsi allo specchio nonostante per noi questo non avesse nessuna importanza, per noi era bellissima lo stesso.
Mi sembra di dire una banalità ma anche quando in seguito le sono poi ricresciuti i capelli bianchi, per noi stava bene mentre lei non riusciva a riconoscersi.
A parte questo, il primo ciclo era iniziato normalmente, con i malesseri tipici dovuti alla chemio che mia madre però aveva l'abitudine di sopportare in silenzio, per non mostrarci quanto stesse male e perché non era nella sua indole lasciarsi andare.
Alla fine aveva anche voluto tornare a lavorare nonostante fosse prossima alla pensione ma si erano presentati dolori così forti da non permetterle di sopportare il carico di lavoro, era una donna delle pulizie.
Inizialmente si pensava fossero dolori dovuti alla terapia ormonale post intervento.
Naturalmente le tempistiche degli esami nel nostro paese le conosciamo e qualche settimana dopo scopriamo che il tumore non era affatto sparito ma si era diffuso alle ossa e ai polmoni.
Viene sottoposta alla radioterapia e i dolori alla schiena passano e subito cominciamo una nuovo ciclo  di chemio evidentemente troppo debilitante per il fisico di mia madre che verso fine anno viene ricoverata in ospedale per un'infiammazione.
Ricordo di aver passato quasi una giornata al Pronto Soccorso di Mestre, in corridoio, in piedi accanto a mia madre distesa sul lettino con addosso 3 coperte perché moriva di freddo in attesa della prima visita, poi in attesa che la portassero a fare gli esami e in attesa dei risultati con la decisione di ricoverarla e, infine, ultima attesa della Croce Verde che la portasse a Villa Salus.
Ho passato ore intere a fianco a lei a controllare che continuasse a respirare e pregare che non le salisse la febbre perché i brividi di freddo le avrebbero provocato forti spalmi, era la prima volta che in concreto temevo per la sua vita.
Naturalmente, dopo ore di calma, all'arrivo delle Croce Verde erano iniziati gli spasmi e nonostante tutto mia madre mi guardava come a volermi rassicurare, come sempre.
In tutto questo ero con mio fratello, mio padre l'avevamo lasciato a lavoro perché in quel momento ritenevamo di potercela cavare da soli.
Questo primo ostacolo comunque, ci sembrava di averlo superato più che bene dal momento che dopo 3 settimane di ricovero le condizioni di mia madre erano buone, per quanto possano essere quelle di un malato di cancro sottoposto a chemio. Avevamo preso tanta paura ma anche stavolta ne eravamo usciti.
In seguito a questo episodio si ritenuto opportuno modificare la terapia chemioterapica, ma da questo momento in poi di miglioramenti non ve ne sono più stati... esami sanguigni e sedute di chemio settimanali per scoprire poi che le cellule tumorali si erano spostate anche al fegato.
Sebbene fosse sottoposta a terapia del dolore (meno male che esiste e mi auguro si diffonda sempre di più), i dolori alla schiena erano tornati e aumentati, camminava con il bastone, soffriva di nevralgie, sentiva dolore al petto e respirava male, dimagriva a vista d'occhio.
Mia madre diceva  che quando i nostri cari stanno per lasciarci ci danno un segnale.
Ad un certo punto, ho cominciato ad aspettare il suo segnale ma mi sembrava non arrivasse mai.
Speravo me l'avrebbe dato perché in qualche modo avrei voluto prepararmi alla sua partenza. Anche se in realtà sapevo che non c'era più nulla da fare, non riuscivo ad accettarlo, non potevo accettare di stare senza di lei e non ero onesta con me stessa. Ma dentro di me lo sapevo, in un periodo ero pervasa dall'ansia e dalla paura da non permettermi di respirare.
Tuttavia credo che il suo segnale fosse dato dal grande desiderio di rivedere la sua famiglia in Belgio che a causa della malattia non vedeva da anni, per mesi aveva chiesto all'oncologo il permesso di partire finché finalmente non non glielo aveva dato (chissà perché...).
Era partita con mio papà e mio fratello, io purtroppo non c'ero ma mi hanno raccontato che era felice come non lo era stata da mesi, si dimenticava perfino di prendere gli antidolorifici!
Fatalmente al suo rientro la situazione era peggiorata, quel viaggio mi aveva dato un po' di speranza ma ora posso dire che quello era il suo segnale.
Continuava a dimagrire, non vedeva più bene e respirava sempre peggio finché mio fratello un giorno non ha deciso di portarla all'ospedale soprattutto perché... vaneggiava.
Ricordo l'ennesimo arrivo al Pronto Soccorso, l'attesa e il ricovero.
Una dottoressa del reparto che ci dice che non c'è più nulla da fare, che i polmoni sono compromessi, che l'oncologo stava provando l'ultima spiaggia e che era giusto dircelo.
Lo sapevo ma sentirselo dire faceva male perché non volevo sentirmelo dire, il dubbio mi lasciava speranza. D'altronde non ero mai andata a parlare dai medici proprio per questo e nemmeno me ne rendevo conto, così comodamente preferivo chiedere a mio padre che mi faceva da filtro.
Sono scoppiata a piangere come sto facendo adesso.
Vagamente ricomposta sono andata a salutare mia mamma cercando di trattenere le lacrime e con la scusa di essere troppo stanca me ne sono andata a casa.
Il giorno successivo avevo detto a mio padre che non volevo sapere più niente della situazione della mamma, che sapere che stava morendo era per me sufficiente, non c'era altro da sapere!
L'avrei seguita ma non mi sarebbe servito a niente sentirmi dire in che modo stava morendo.
In poco tempo avevo cambiato idea, la conoscenza mi avrebbe fatto bene anche perché avevo deciso di accompagnare la mamma nei suoi ultimi giorni.
Nelle settimane successive mia mamma si stava spegnendo velocemente.
Non ce lo aspettavamo così velocemente.
Ogni giorno andavamo a trovarla e ogni giorno la trovavamo un po' peggio del giorno precedente.
L'ultimo giorno in cui parlava e sorrideva era stato quando una sua cugina era andata a trovarla, ci teneva, erano mesi che mia mamma le chiedeva di venirla a trovare. Avevano passato qualche ora a chiacchierare dei bei tempi, della famiglia... ricordo di essermi sorpresa di quanto l'avevo vista bene.
Ma era una grandissima attrice, in realtà era stanchissima e subito dopo che la cugina se ne era andata, era caduta dal sonno.
Lo faceva anche con me al telefono: la chiamavo e io sapevo che era distesa sul divano dolorante ma lei rispondeva al telefono con il tono più forte e allegro che aveva "Ciao Amore! Come stai?".
Il suo umore peggiorava, si scagliava contro mio padre che la lasciava a marcire in quell'ospedale dove non la stavano curando adeguatamente, non aveva voluto il catetere.
Fino all'ultimo era stata anche la mamma combattiva che non accettava la sconfitta e mai ha ammesso di stare per morire. Era il suo modo di difendersi e di difenderci.
Vedeva pochissimo e sentiva ancora meno.
Gli occhi erano sempre più chiusi, la bocca storta... parlava male finché non ci riuscì più.
Aveva un edema cerebrale provocato da una metastasi al cranio.
Era un mucchietto di ossa e non mangiava quasi più, finché smise.
Stavamo con lei a turni..
Un giorno aveva voluto che ci fossimo tutti e 4, era debole, parlava con un filo di voce e cominciò ad abbracciarci e baciarci, mi diceva "tu sei mia. ti amo".
Ci stava salutando, cazzo.
Piangevamo tutti e 3 sapendo che lei non ci avrebbe visto né sentito.
Uno dei momenti più dolci e amari allo stesso tempo.
In quel momento riconobbi la mia dolce mamma di sempre, fino all'ultimo.
Ricordo infine una mattina a lavoro, in cui ho ricevuto un messaggio da mio fratello che era di turno all'ospedale: "Io vado a casa, non ce la faccio a vedere la mamma così. E' ferma nel letto, non parla e non si muove".
Mancava davvero poco, gli infermieri dicevano che era in una specie di stato di pre-coma.
Ancora mi domando come abbiamo potuto sopportare tutto questo, come ho potuto assistere allo sgretolamento di una vita...
E' passato un anno e sono qui, a smaltire questi anni di dolore e sacrifico e a elaborare questo lutto pesante.
Una faticaccia ma ne sto uscendo più consapevole e pronta a combattere :)
So che la Patrizia di adesso si sarebbe comportata diversamente in quelle stesse situazioni ma non posso farci nulla, non avevo le armi migliori per far meglio. D'altronde la Patrizia di prima, non aveva bisogno... 

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