Di magia bianca e nera, di obelischi e di triangolazioni
Creato il 25 settembre 2013 da Dede Leoncedis
Secondo gli esoteristi Torino, sospesa tra le Forze del Bene e quelle del Male è l'unica città a far parte sia del triangolo della magia bianca, insieme a Lione e a Praga, che di quello della magia nera, in compagnia di Londra e San Francisco. Il cuore nero della città si troverebbe in Piazza Statuto, ed il monumento ai caduti per il traforo del Frejus indicherebbe nientepopodimenoche la porta per l'inferno.
Alcuni ammantano di truci significati esoterici anche il piccolo obelisco con alla sommità l'astrolabio che non è facile notare, soprattutto d'estate quando gli alberi lo nascondono quasi del tutto alla vista, ma la ragione per cui proprio lì qualcuno ha pensato di mettere un obelisco non ha niente a che vedere con Lucifero. Però è una storia interessante che forse non tutti conoscono.
A partire dal diciassettesimo secolo in Europa alcuni scienziati vengono incaricati dal loro sovrano di misurare la configurazione della terra, e nel regno sabaudo già nel 1714 Vittorio Amedeo II auspicava la realizzazione di un osservatorio astronomico. E' poi Carlo Emanuele III ad affidare l’incarico del calcolo al monregalese Giovanni Battista Beccaria, fisico, astronomo e grande propugnatore del rinnovamento scientifico dell'Ateneo torinese.
Al secolo Francesco Ludovico Beccaria, di modesta famiglia, assume il nome di Giovanni Battista (o Giambattista) quando prende i voti all'Istituto dei padri scolopi di Mondovì.
Da allora inizia ad approfondire gli studi scientifici per i quali forma un gruppo di studio che comprenderà tra gli altri Joseph-Louis Lagrange, Gianfranco Cigna, Alessandro Volta, Luigi Galvani e i futuri fondatori della Privata Società Scientifica Torinese che diventerà poi l'Accademia delle Scienze di Torino. Beccaria comincia fin dal 1760 i lavori di misurazione per la triangolazione tra Mondovì e Andrate.
Per determinare la lunghezza del meridiano terrestre che taglia il Piemonte da Andrate fino alla regione Belvedere di Mondovì, Beccaria utilizza metodi geometrici-trigonometrici simili a quelli inventati ed usati dal greco Eratostene e ripresi dall’astronomo Domenico Cassini, che si basavano su un concetto piuttosto semplice: misurare sul terreno un arco terrestre, cioè la distanza tra due luoghi sullo stesso meridiano e determinare astronomicamente l’ampiezza del corrispondente arco celeste. La comparazione delle due misurazioni dava la misura del raggio della Terra, che all'epoca si supponeva fosse perfettamente sferica. Essendo impossibile misurare fisicamente distanze molto grandi, si era affermata già dagli inizi del 1600 la tecnica della triangolazione che, detto in parole povere, consiste nel sostituire le misure lineari sul terreno con misure di angoli. Spiego meglio: dati due punti A e B di cui si deve determinare la distanza, occorre individuare una catena di triangoli virtuali che collegano i due punti e partendo dai vertici determinarne poi con un goniometro tutti gli angoli interni. E' sufficiente a questo punto misurare fisicamente un solo lato di uno dei triangoli, e con le formule della trigonometria si calcolano via via le lunghezze di tutti gli altri.
Beccaria misura tutta la lunghezza del Corso Francia che collegava già allora Piazza Statuto di Torino con la rotonda di Corso Susa a Rivoli, distante 12 km, e usa questa misura per la triangolazione Andrate – Mondovì attraverso trigonometrie geografiche con Superga, Balangero, Mazzè, Sanfrè e Saluzzo.
Il calcolo gli serve come base per determinare la misura della circonferenza terrestre, che stima pari a 40332 km, e per la misura dell'arco meridiano di Torino. I risultati vengono pubblicati dallo stesso scienziato nel Gradus Taurinensis e torneranno utili ancora per altre fondamentali misurazioni, prima fra le altre il tracciato della "Carta generale dello Stato Sabaudo".
Attribuisce al Meridiano di Torino, il Gradus Taurinensis, una lunghezza di 112,06 chilometri, che non si discosta poi molto dalla misura attualmente adottata, pari a 111,137 km.
Nel tempo le sue misurazioni vengono più volte confutate e confermate; primo fra tutti François Cassini, nipote del più noto nonno Gian Domenico, contesta il valore numerico della latitudine che Beccaria aveva stimato a 1°7’44” (il risultato del Cassini nipote, basato sulla misura dell'ellissoide medio, era di 1°8’14”). Nel 1820 però il fisico Plana riconferma nuovamente i dati di Beccaria, spiegando la discrepanza tra i due valori con la vicinanza delle Alpi, la cui attrazione gravitazionale influenzerebbe la direzione del filo a piombo.
C'è da dire che il punto individuato da Beccaria a Rivoli coincide con il meridiano magnetico che passa proprio per quel punto e questo spiegherebbe ancora meglio le discordanze tra le due misurazioni. Il meridiano magnetico infatti è la linea che unisce i poli magnetici passando per tutti i punti della superficie terrestre in cui l'ago magnetico ha la stessa direzione: come è facilmente comprensibile, la presenza di ogni tipo di anomalia introdotta dall'intervento dell'uomo e la variazione del campo magnetico terrestre hanno una influenza notevole, e per questo i meridiani non hanno andamento lineare ma sono in realtà dei tracciati piuttosto contorti.
Per individuare gli estremi esatti del corso Francia, Beccaria aveva collocato a terra due lastre di marmo segnalandone la posizione precisa ai lati del viale in riferimento ad alcuni alberi, ma con l'andare del tempo le pietre erano state sepolte dalla terra e gli alberi tagliati, e soltanto nel 1808, quando il Generale Sanson, alla guida dell'esercito napoleonico, incarica l’ingegner Lasseret di ricercare quelle pietre in marmo sulla base degli appunti e del saggio firmato dal Beccaria, le pietre vengono ritrovate e a ricordo di quell’importante lavoro scientifico vengono posti i due obelischi identici che ancora oggi vediamo, uno in piazza Statuto a Torino e l'altro in corso Susa a Rivoli.
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