Di mamma ce n’è una sola…di papà anche.

Da Psytornello @psytornello

Come non dedicare un post ai papà, nella settimana della loro festa?

Nonostante qualcuno pensi ancora il contrario, la vita da papà inizia ben prima di tagliare il cordone in sala parto o di appendere un fiocco al portone di casa. I recenti studi sulla vita prenatale dimostrano che il rapporto con i genitori si costruisce già nel pancione e che il padre riveste un ruolo fondamentale. “Il bimbo intrauterino è un essere intelligente e sensibile agli stimoli esterni” dice Gino Soldera, psicologo e presidente dell’Anpep (Associazione nazionale di psicologia e di educazione prenatale)” e la consapevolezza, data dalle ricerche degli ultimi decenni, di poter comunicare con lui e concorrere alla sua formazione ha avvicinato parecchio i padri ai pancioni”. Immerso nel liquido amniotico, infatti, il bambino percepisce i suoni come stimoli sonori e tattili insieme: vibrazioni indifferenziate che percorrono tutto il suo corpo ‘massaggiandolo’. Diversi esperimenti hanno sottolineato che la voce del padre ha un potere tranquillizzante sul feto, così come il suo tocco. “Spesso, quando il papà appoggia la mano sulla pancia della mamma, il bambino che si muoveva fino a un attimo prima si ferma” dice Soldera. “Alcune madri interpretano negativamente questo segnale e invece è proprio il contrario: è un segno di attenzione sul piano percettivo e relazionale”. E’ la prova di un desiderio da parte del bambino di cominciare ad instaurare un dialogo con il suo papà.

Cambiano i pannolini, danno i biberon, cullano i bambini per farli addormentare, usano il marsupio senza vergogna. Oggi, rispetto a pochi anni fa, i papà sono più teneri e accudenti. “Nonostante ciò, molti uomini che esprimono queste qualità con i loro piccoli sono visti come delle ‘brave mammine’” annota lo psicologo infantile Jack Heinowitz, direttore della Parents As Partners Associated di San Diego. “La ricetta tradizionale per una buona paternità un tempo era semplice: lavorare sodo (fuori casa), proteggere la famiglia, pianificare il futuro e insegnare a distinguere il bene dal male attraverso la disciplina. Un padre che eseguiva questi compiti con regolarità e coerenza poteva sentirsi tranquillizzato dal fatto che stava facendo il suo ‘lavoro’”. Non ci si aspettava altro da lui. Così, se la madre, secondo gli schemi classici, era ascolto, accoglienza ed emotività, il padre è sempre stato sinonimo di azione, risolutezza e rispetto delle regole (e infatti “Guarda che se non fai il bravo lo dico al papà” è la classica minaccia, quando un bambino fa i capricci).
Recentemente, la riscoperta del piacere della paternità ha portato la società ad accettare la figura del padre-mammo, sostenuta anche dalle ultime risposte della scienza. Quando nasce un figlio, a un calo del testosterone corrisponde un picco nella produzione di ossitocina, l’ormone che è fondamentale per l’instaurarsi dei legami affettivi: la conferma si troverebbe nella reazione di amore ‘improvviso’ di tanti padri, che parlano di un “disinteresse verso la paternità fino al momento in cui non si trovano il bambino tra le braccia, ammettendo un cambiamento nei sentimenti: una improvvisa tempesta emotiva” spiega Ruth Feldman, autrice della ricerca.

Con l’infanzia il papà diventa un modello e un termine di paragone per i figli maschi (quando si chiede loro “Che lavoro vuoi fare da grande?” spesso rispondono “Quello che fa il mio papà) o, nel caso delle figlie femmine, una specie di ‘eroe’ capace di risolvere qualsiasi problema. Tuttavia, “il compito principale del padre in questa fase della vita è quello di far entrare progressivamente il bambino nella società, portandolo al di fuori della famiglia” sostiene Grazia Attili, professore ordinario di psicologia sociale all’Università La Sapienza di Roma. “Il papà insegna i limiti delle cose e le regole che vanno seguite per diventare parte del gruppo sociale di appartenenza” continua Attili. “Ma ha anche la funzione di promuovere l’autonomia del bambino e accrescerne il senso di autoefficacia: più i figli si sentono protetti e più sono capaci di distaccarsi dalla famiglia”.
In questa sorta di nuovo (e simbolico) taglio del cordone ombelicale “è attraverso il gioco che il papà espone i figli al mondo, al ‘pericolo’ e all’esplorazione” spiega Francesca Antonacci, docente di pedagogia del gioco all’Università di Milano-Bicocca. “La madre, al contrario, non è una grande compagna di giochi perché, essendo più portata a preoccuparsi della salvaguardia e del benessere del figlio, tende sempre a mettere una mano tra lui e il mondo”. Qualche esempio? “Pensate al bambino che impara ad andare in bicicletta” continua Antonacci, “La madre gli raccomanda di andare piano, il padre lo sprona a togliere le rotelle”.

  

La figura del padre viene ‘ristrutturata’ durante l’adolescenza. Il figlio maschio ha bisogno di questa rottura per costruire la propria immagine di uomo, indipendente e diversa. E persino quella che era l’adorata bambina prodigio si ribella. Ma, nonostante in apparenza le figlie si disinteressino al giudizio del padre, in realtà hanno bisogno che questi sappia valorizzare la loro femminilità nascente, che dica loro che sono belle e meritevoli di amore, spiega lo psicologo Gustavo Pietropolli Charmet.
Spesso, durante l’adolescenza nascono quei conflitti che, se restano irrisolti, ci si porta dietro fino all’età adulta e che non danno pace alla morte del genitore. “E’ più difficile seppellire un padre verso cui si hanno sentimenti ambivalenti piuttosto che uno che si è adorato tutta la vita” continua Charmet.

La situazione diventa particolarmente complessa quando il padre viene a mancare o è assente durante l’infanzia. “Un bambino che cresce senza padre è portato a pensare che gli altri siano ostili e che non ci si debba fidare perché è sempre stato abituato a dover risolvere tutto da solo, senza chiedere aiuto” chiarisce Attili.

Insomma: la mamma resta sempre la mamma. Il papà anche.

Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 257 – Marzo 2014


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