Di nuovo in fuga - Recensione - PC

Creato il 08 maggio 2014 da Intrattenimento

Red Barrels getta sale su ferite che si credevano rimarginate

In un periodo in cui Internet, tanto quello legato a tematiche di importanza globale come il caso NSA quanto quello un po' più frivolo del mondo dei videogiochi, sembra non poter più fare a meno delle "gole profonde", di insider che a un certo punto prendono e vuotano il sacco assurgendo ormai al ruolo di fonti ordinarie del fare informazione, Whistleblower risulta quantomai di attualità. Nel primo contenuto scaricabile a pagamento di Outlast si impersona infatti Waylon Park, l'ingegnere della Murkoff Corporation da cui è partita la soffiata riguardo le atrocità che succedevano all'interno del manicomio di Mount Massive, spingendo il giornalista Miles Upshur, protagonista del gioco base, ad intraprendere il viaggio nella follia che nei mesi scorsi abbiamo potuto vivere sulla nostra pelle su PC e PlayStation 4.

Paura a 180 BPM

Saranno gli youtuber che si riprendono mentre se la fanno addosso, sarà l'hype di Oculus Rift che si riflette in maniera naturale su esperienze che sembrano calzare come un guanto per la sua applicazione, sarà la "nuova Sony" particolarmente attenta a indie e piccole produzioni, che ha avuto l'idea di includere Outlast nel portafoglio di titoli scaricabili con PlayStation Plus, sarà quel che sarà, ma i survival horror in soggettiva si stanno trovando al centro di una congiunzione decisamente favorevole in termini di interesse mediatico e commerciale. Outlast ha cercato di dire la sua in un panorama a rischio Sindrome di Matusalemme portando alle estreme conseguenze uno dei concetti cardine di questo sottogenere relativamente giovane, ovvero quello della fuga: preda di un male molto più grande di noi, pronto a straziarci, qui non si scappa, ma si corre a gambe levate, col cuore incastrato in gola che batte a ritmo forsennato, arrivando quasi a provocare autosoffocamento. Red Barrels ha scelto dunque di alzare il ritmo imprimendo all'azione sferzate impetuose, che squarciano la tensione investendo il giocatore con un misto di panico e adrenalina, in un unicum inscindibile che nelle situazioni più riuscite è in grado di portarlo esattamente dove voleva lei: a provare l'impulso primordiale di fuggire, disperatamente, per la propria vita. Il tutto valorizzato da una delle rese più vivide e convincenti della ripresa di una camera a mano, che restituisce davvero molto bene il "look & feel" inconfondibile di certi film e programmi televisivi a tema, da REC in poi. Whistleblower punta sugli stessi elementi chiave, fuga e ripresa in digitale, sapendo estrarre dal cilindro alcune variazioni sul tema semplici ma azzeccate, che in alcuni passaggi cambiano sagacemente le carte in tavola riuscendo a spiazzare e a compiacere chi pensava che con Outlast il team canadese si fosse giocato ogni numero. Ma si porta con sé anche i pesanti limiti dell'originale, per cui è un titolo di inseguimenti in cui si viene braccati da bruti inarrestabili che non sembrano saper girare il pomello di una porta, preferendo perder tempo a buttarla giù, o che a meno di cogliere in fragrante cercano sempre nell'armadietto a fianco a quello in cui ci si è nascosti, mentre spesso e volentieri l'azione diventa così lineare e coercitiva che potrebbe giustificare una revisione peggiorativa del concetto di "trial and error" nei manuali di cattivo game design.

Addio freni inibitori

A mantenere ad alti regimi l'interesse ci pensa il pregevole lavoro fatto in termini narrativi e scenografici. Oltre all'effetto "Opposing Force" di veder luoghi e vivere fatti che già conosciamo attraverso la prospettiva di un personaggio differente, un espediente sempre di gran presa quando si tratta di arricchire un universo di base senza avere l'autonomia creativa e produttiva del seguito vero proprio, a convincere è la correzione del tiro. Outlast era già un titolo estremamente violento e deviato, che inzuppava tutte e due le mani nel sordido, le estraeva e tirava quello che aveva trovato in faccia al giocatore, martellandolo con una vis horror oppressiva e lancinante. Era davvero difficile da immaginare, ma Whistleblower riesce ad alzare ulteriormente la posta, arrivando a violare senza attenuanti di circostanza la sfera della sessualità e a portare in scena un nuovo teatrino di perversioni che in taluni casi sconfinano nel vero e proprio torture porn, alla Hostel. Ma non è solo degenerazione. Red Barrels sembra aver guardato anche alla virtù e al bello. Anzi, alla virtù e al bello che non ci sono più, assimilando la lezione di BioShock che viene ricordato in alcuni passaggi dal taglio decadente e nostalgico, in cui si affacciano concetti che ricordano vagamente la poesia, l'arte e l'amore. Simile ma diverso, ovvero il segreto per una buona espansione, che ha l'obiettivo di confermare e rimettere in discussione il format di origine. E questo a Whistleblower riesce alla grande, con tutti i pregi e i difetti che lo caratterizzano, che siano suoi o ereditati dall'incubo riuscito a metà di cui è la progenie.


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