Ma, al contrario, il vecchio dagli occhi di ghiaccio riparte esattamente da dove aveva lasciato, interpretando un osservatore di talenti per una società di baseball dal carattere burbero e ostile (facilmente riconducibile a quel Walt Kowalski reduce della guerra di Corea), alle prese con la perdita incombente della vista e con un giovane esperto di computer che non vede l’ora di mandarlo in pensione per rubargli il posto.
Ricorda una variante più modesta dello splendido “L’Arte di Vincere” la pellicola di Lorenz: si parla di talenti da scovare, di tecnologie all'avanguardia per farlo e dei vecchi metodi da lasciarsi alle spalle. Questo in apparenza almeno. Perché la sceneggiatura scritta da Randy Brown poi si amplia e va ad accentrarsi sul rapporto padre-figlia-interrotto tra Gus – il personaggio di Eastwood – e Mickey, la figlia-avvocato interpretata dalla bravissima Amy Adams. Ecco che allora il cuore effettivo del racconto viene a formarsi, amplificato come se non bastasse dall'entrata di Justin Timberlake, anche lui osservatore di talenti e aspirante cronista dei Red Sox.
Il fragoroso ritorno di Eastwood perciò si svela assai meno memorabile di quello che ci si poteva attendere, ciò nonostante funge da potentissimo catalizzatore per la sponsorizzazione di una onestissima opera prima che andrebbe apprezzata in gran parte per l’alchimia dei suoi protagonisti e per la competenza registica e di scrittura mostrata dai suoi rispettivi artefici.
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