“Giocare con la creta era un po’ come maneggiare la pasta del pane. Le donne di casa si riunivano prima dell’alba alla vigilia delle feste e mi trovavano in attesa di partecipare al loro gioco. Ciascuna con abilità e fantasia creava ritmi e uno stato di attesa che durava poi nella lievitazione e nella cottura.” Scriveva Maria Lai, il cui medium per antonomasia è da ricercare nel rito della panificazione, espressione della cultura millenaria sarda dal significato profondamente simbolico assimilabile alla maternità ma soprattutto alla creazione artistica, dal momento che secondo gli insegnamenti del suo maestro Arturo Martini: “la scultura deve diventare come pane che lievita”.
Ed è proprio dalla metafora del pane come forza rigeneratrice e inarrestabile della natura, come nutrimento del corpo, della mente e dello spirito che prende avvio la mostra curata da Simona Campus, primo progetto ufficiale della neo direttrice dell’Exma.Introdotta dalla sezione dedicata agli artisti del Novecento sardo, Pani e Madri si snoda in senso cronologico ad iniziare dalla scultura bronzea di Francesco Ciusa Il Pane, opera giovanile appena successiva alla celebre Madre dell’ucciso, che rappresenta una donna nell’atto di impastare e che appartiene alla serie delle figure austere e compatte a rimarcare simbolicamente la natura dei sardi.
L’opera cede il passo a un piccolo e inedito feticcio in mollica di pane di Maria Lai, la così detta mazzina (bambola da fattucchiera) ironicamente battezzata Ex voto, che prende posto insieme a Cuore mio e La pietra della felicità, riconducibili alle storie di Maria Pietra, colei che scelse di trasformarsi in pietra per salvare da morte certa il suo bambino.Associato all’abbondanza, alla fertilità e all’eros, il rito della panificazione è stato per Costantino Nivola una delle tematiche imprescindibili nella sua ricerca artistica che vede donna-madre-terra unirsi a costituire una cosa sola per, inevitabilmente, “dare forma al tempo”. A rappresentare questo grande artista, in mostra due bellissime piccole Madri in marmo bianco e nero.
Intermedie per datazione (primi anni Sessanta) le materiche Maternità di Primo Pantoli, artista insofferente alla sardità diffusa all’epoca, sono opere di rottura e di grande forza espressiva ottenute con diverse soluzioni formali che nascono dalle suggestioni del soggiorno londinese e aprono lo spazio alle opere di artisti e designer contemporanei. Tra queste degne di nota le immagini rigorose nell’impostazione e patinate nella realizzazione – lontane da un’identificazione prettamente regionale – di Fabiola Ledda, che la ritraggono protagonista come in trance davanti al pane, con un atteggiamento di sacrale osservazione; i Giardini di passaggio di Adelaide Lussu, metafora del ciclo dell’esitenza; Sisters di Antonello Carboni che attraverso foto e video immortala due sorelle in Kurdistan intente nella lavorazione del pane.
E se l’interpretazione di Roberto Ruggiu verte sul lato erotico della panificazione attraverso immagini bondage di anime e manga per Kanisteddas e Eclipses, Maria Diana affida ai gioielli in porcellana, oro e platino la realizzazione di raffinati cereali diffusi tra i popoli nel mondo. Chiudono l’esposizione, egregiamente allestita da Salvatore Campus e Sabrina Cuccu con l’ausilio di tavole utilizzate per la lavorazione del pane, i celeberrimi Semi scolpiti nel basalto da Pinuccio Sciola – posizionati all’entrata ma visibili anche dall’interno – artista, non a caso fermamente convinto che “L’arte non è un fatto puramente intellettuale. Bisogna continuare a zappare, arare e seminare pietre, perché germoglino e tornino a fecondare la terra.”
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