ROMA – La corsa è uno degli sport per eccellenza, e ogni corridore ha delle proprie opinioni riguardo il modo di correre. Alcuni maratoneti kenioti per esempio corrono scalzi, appoggiando i piedi in modo molto diverso rispetto a chi invece si allena con le scarpe da jogging. I primi appoggiano su punta e cuscinetto plantare, i secondi sui talloni perché le scarpe ammortizzate da jogging possiedono tacchi più alti rispetto a suola e punta.
Quale sia però il metodo più naturale ed adatto per proteggere al meglio gambe, caviglie e fascia lombare è un argomento molto discusso. Molte ricerche sostengono che correre scalzi come i nostri antenati, appoggiando prima l’avampiede, sia il modo più salutare.
A caccia di risposte più precise i paleobiologi della George Washington University che in uno studio, di cui da conto il New York Times, sono andati ad osservare come corrono gli abitanti della tribù Dasanaach nel nord del Kenia, che non usano scarpe ma neanche hanno la tradizione della corsa, seppure siano fisicamente molto attivi. Lo studio, condotto su 38 uomini e donne Dasanaach impegnati in corse brevi programmate, è pubblicato su PloS One e ribalta la convinzione che la corsa a piedi nudi porti di per se’ ad appoggiare prima la punta. I soggetti Dasanaach hanno modificato l’appoggio del piede a seconda della velocità: principalmente talloni all’inizio per appoggiare poi anche pianta e poi avampiede con l’aumentare della velocità.
In sintesi Kevin Hatala, direttore dello studio, conclude che non esiste un modo più naturale per correre. E che la battuta anche sull’avampiede è la meno traumatica per il piede e lo scheletro perché ripartisce meglio Spiega Hatala: ”Ci sono differenti strategie biomeccaniche che si innescano sotto lo stimolo della corsa a seconda delle necessità e molto è ancora da scoprire”.