Di quella volta che mi ritrovai sola a Buenos Aires

Da Giulia Calli @30anni_Giulia

era un desiderio che covavo da tempo, ma il coraggio per metterlo in pratica non c'era mai. Si nascondeva sotto scuse e vicissitudini della vita di ogni giorno, ero arrivata ad accantonarlo come qualcosa per cui "avevo perso il treno". Invece se c'è Viaggiare da sola oltreoceano una cosa che i trent'anni mi hanno insegnato è che c'è un tempo per tutto, e che l'auto censura è la prima cosa che io stessa posso superare ed eliminare.

Quindi un anno fa sono partita per il mio viaggio in Argentina. La meta la sapevo già da tempo, su quella non avevo dubbi: volevo tornare in America Latina, e l'Argentina mi sembra un buon compromesso per viaggiare serenamente da sola.

La parte più difficile di un viaggio è comprare il biglietto. Fatto quello, il resto è in discesa. A volte - molto poche per la verità, ma mi è capitato - comprare il biglietto può essere il primo passo ma anche l'ultimo. Una volta realizzato il fatto che nessuno poteva obbligarmi a partire o a restare a casa, e che solo io ero padrona dei miei movimenti, sono entrata più fluidamente nella fase dei preparativi. Naturalmente (sono o no un' ero emozionata ma anche in preda a mille paureitaliana ansiosa?) . Mi rassicuravo pensando che, se all'ultimo non me la fossi sentita, sarei potuta rimanere a casa, semplicemente.

Ad aprile dello scorso anno ho comprato un biglietto per Buenos Aires, un diretto di Aerolineas Argeninas che il 10 ottobre, da Barcellona e in 12 ore, mi avrebbe portato nella capitale porteña. Avevo prenotato il mio mese di ferie per ottobre e lasciato che il tempo passasse, fra letture, fantasie e piccoli programmi di viaggio. Non avevo intenzione di arrivare in Argentina con un itinerario già stabilito: avevo previsto dei capisaldi, pochi luoghi che volevo assolutamente visitare, ma nient'altro.

L'idea iniziale infatti era quella di fermarmi alcune settimane per fare volontariato con un'organizzazione di Buenos Aires che si occupa di progetti di integrazione sociale nelle comunità più disagiate della città. Volevo conoscere, non solo viaggiare. E dopo l'esperienza in Perù di qualche anno fa, volevo ripetere l'esperienza del viaggio integrato nella vita quotidiana della gente del posto. La scelta dell'associazione era stata lunga e accompagnata dalla lettura di moltissimi forum di opinione, volevo a tutti i costi evitare di convertirmi in una volonturista.

Purtroppo da lontano non è facile essere sicuri che l'organizzazione di volontariato a cui ci si rivolge sia davvero meritevole e che impieghi i volontari per attività effettivamente produttive per la comunità. Pur essendomi documentata tanto e aver cercato più materiale possibile per corroborare la mia scelta, solo quando arrivai a Buenos Aires, in quella che era chiamata la "Casa del Volontario", mi resi conto che avevo sbagliato.

Ero sbarcata a Buenos Aires alle 4 di mattina, e un gentile tassista mi aveva accompagnato fino alla porta di casa, nella centrale Avenida de Mayo, fra la Plaza de los Dos Congresos e la famosissima Plaza de Mayo. Quando avevo nominato al tassista il quartiere in cui si trovava la scuola dove avrei dovuto realizzare il mio progetto di volontariato, storse la bocca e mi disse che dovevo fare molta attenzione, ma se mi avesse accompagnata qualcuno del posto non avrei avuto problemi. Ottimo inizio, pensai.

Rimasta sola sul pianerottolo, avevo suonato il campanello convinta che qualcuno mi stesse aspettando, come da accordi, ma non era così. Avevo dovuto attendere l'arrivo di una ragazza dell'associazione di cui fortunatamente avevo il numero, perché venisse ad aprirmi e a darmi le chiavi della mia stanza. La "casa del volontario" in cui avrei dovuto soggiornare era in realtà il più classico ostello in cui vivevano molti ragazzi che erano arrivati a Buenos Aires per fare volontariato durante il loro gap year, l'anno fra il liceo e l'università.

La mattina li incontrai in cucina, dopo un sonno disturbato e rumoroso, la mia camera dava esattamente sul patio di un locale notturno. Da quelle prime chiacchiere capii che l'associazione a cui avevo voluto dare fiducia, gestiva effettivamente dei programmi di volontariato, ma i volontari erano lasciati a loro stessi, con poche istruzioni e discussione nulla sugli obiettivi dei loro progetti. Mi spiegarono che non era previsto che qualcuno dell'organizzazione mi accompagnasse, sarei potuta andare alla scuola con una ragazza di 18 anni tedesca che già svolgeva lì il suo volontariato. Alle mie domande su come era organizzata l'associazione e su quando avrei visto le persone con cui avevo scambiato tante email prima del viaggio, le ragazze, sgranocchiando dei cereali, mi risposero che li avrei visti ben poco, probabilmente solo per la riunione di accoglienza, due giorni dopo il mio arrivo.

Effettivamente andò così: non riuscii a vedere ne sentire nessuno se non due giorni dopo il mio arrivo, ma io avevo già deciso. Non avevo intenzione di fare volonturismo, di vivere in un via vai di diciottenni in gap year ne di impegnarmi in un volontariato senza una guida seria da parte dell'associazione. A malincuore dovetti riconoscere che non ero riuscita a evitare quello che temevo, e rinunciai all'idea del volontariato.

D'improvviso il mio viaggio assumeva un tono distinto, il mio mese in Argentina si apriva completamente a una nuova prospettiva: ero da sola e dovevo cambiare piani al più presto, per non perdere tempo.

Le prime ore a Buenos Aires, insomma, non erano state delle più facili. Avevo dormito poco o niente, la zona della città in cui mi ero sistemata era semi deserta per via di un giorno di ponte, i negozi nelle vicinanze erano chiusi e non avevo una connessione internet. Io, che non ero mai entrata in uno Starbucks se non a Londra anni e anni prima, cercai il più vicino sperando di trovarci una connessione wifi funzionante. Cosa che non fu. Ma ricordo quella strana necessità di rifugiarmi in un luogo che avesse una parvenza di conosciuto. Gli scherzi della globalizzazione.

Decisi di passare un'ultima notte all'ostello, giusto in tempo per scoprire che la mattina dopo sarebbe arrivata una squadra di disinfestazione da cimici per la stanza a fianco alla mia. All'alba, zaino chiuso, scesi a fare colazione con medialunas e cappuccino in un bar con una connessione wifi operativa: nel giro di poche ore, e grazie al sempre presente AirBnb, avevo trovato una nuova sistemazione in città.

Quella stessa mattina andai a vivere a casa di Gina, nel quartiere di Recoleta.

Raccontatemi di quella volta in cui anche voi vi siete sentiti improvvisamente soli in una città sconosciuta, di che città si trattava?

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