La parola “Mini” rendeva la seconda “trail” meno impegnativa: una buona occasione per un test relativamente “indolore” di una specialità mai affrontata prima. Relativamente, appunto, perché si trattava sempre di quattordici chilometri.
Qualeche esercizio di stretching, e nel frattempo capto commenti frammentari e poco confortanti sulla durezza del tracciato: “Salita di nove chilometri…”; “ discesa ripidissima…occhio al terreno”.
Mika è al solito vogliosa di affrontare una nuova avventura e abbaia festosa. Io non abbaio, mi limito a sorridere. Si parte e la strada s’impenna quasi subito, con un primo tratto che obbliga alla fila indiana. L’immagine che si affaccia ai miei occhi sembra tratta da un dipinto di Brugel il Vecchio: centoottantasei dannati percorrono tra la palta la stretta salita di un inferno dantesco. Il sorriso mi si congela sul viso. Per fortuna il pendio finisce in breve e una corta discesa di affidabile asfalto accoglie i piedi già adornati di mota. Si entra in un bosco, e poi ricordo sopratutto una SALITA INTERMINABILE. C’erano da superare 600 metri di dislivello. Ne ero conscio dall’inizio, ma quello che sembra un dettaglio trascurabile, quando leggi distrattamente le informazioni sul percorso, diventa una crudele realtà quando devi conquistarne ogni singolo metro.
“Questo paese non ha discese?” fa un runner accanto a come avesse captato il mio stesso pensiero in quel preciso momento. Scorgo lì davanti Stefano e Mika. Li raggiungo approfittando di una loro breve sosta al ristoro. Ingrano la quarta e mi butto nella prima discesa che mi trovo davanti, recuperando molte posizioni. C’è poco da fare…ci sono nuove salite che incombono dietro ogni curva, nascoste dietro ogni dosso. Sono ripreso da quasi tutti quelli che ho superato. Il mio fisico non si arrende al terreno, sebbene il mio trottare non possa certo competere con chi mangia pane e salite.
Mi trovo, ad occhio e croce, a metà gruppo dei partecipanti.
La salita terminerà al decimo chilometro. O forse undicesimo. Mi butto giù per quanto posso, ma il pendio è talmente ripido da farmi desistere da discese imprudenti. Lungo uno stretto tratto (e fortunatamente corto) mi ritrovo a percorrere un costone con dei pendii a strapiombo a destra e sinistra. Cos’è, un videogioco? Mi aspetto quasi una liana che mi penzoli davanti, cui aggrapparmi per superare un qualche abisso che si spalanchi sotto i piedi.
La discesa è costellata di rampe artificiali in legno che mi fanno supporre sia frequentata per prove di downhill. In certi tratti non scendo, frano giù direttamente a zig zag per non accumulare troppa velocità. D'un tratto, dopo un ultimo ruzzolare giù da un mini canyon, tra lo scampanìo festoso delle campane del paese, è benedetto asfalto, è pianura. E’ finita. Ultimo chilometro. Il mio primo e forse ultimo trail finisce. Che fatica ragazzi.
La posizione? 94esimo su 186 in classifica generale. Ventesimo, invece, su 41, della mia categoria (D45).
P.s Vorrei denunciare pubblicamente il comportamento antisportivo di Mika che, non paga di avermi superato di nuovo, mi ha rubato dalle mani un pezzo di pane con nutella prelevato al ristoro, approfittando subdolamente di un momento di distrazione.