Di satira politica e di ignoranza e sul perché era meglio Emilio Fede del direttore del Financial Times europeo (che dovrebbe dimettersi). Sulla “Morte che ride leggendo Charlie” di Vauro, bellissima!

Creato il 09 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
di Rina Brundu. Pazzesco! Ma qui lo scrivo e qui lo nego: era decisamente meglio l’Emilio Fede dei tempi “eroici” del TG4, almeno si sapeva sempre da che parte stava e soprattutto non faceva differenze: censurava indistintamente tutti i denigratori di Berlusconi! Ad un tempo se ne sbatteva della datata deontologia giornalistica e il messaggio era chiaro: o così o cambia canale! Non è azzardato concludere quindi che da una simile prospettiva di visione, di approccio alla professione, l’ex direttore Mediaset fosse giornalista intellettualmente onesto, onestissimo!

Una qualità, l’onestà intellettuale, che a giudicare dall’imbarazzante affaire dell’articolo The gunmen in Paris attacked more than a Muslim-baiting magazine di Tony Barber, il quale, nel suo duplice ruolo di direttore europeo del Financial Times e di giornalista-opinionista – ha definito il modus operandi dei vignettisti uccisi nell’assalto alla sede di Charlie Hebdo “stupido”, sembrerebbe invece mancare nella redazione di quel blasonato giornale. E quando scrivo “imbarazzante” non mi riferisco tanto al ridicolo tentativo di cancellare il malfatto dopo le centinaia di commenti di protesta dei lettori, quanto piuttosto alla naïveté, anche culturale, che denuncia il pezzo in questione.

I casi sono due infatti: o dobbiamo parlare di “naïveté” culturale o dobbiamo parlare di ignoranza tout-court. Mi perdonerà Barber, ma leggendo il suo articolo mi viene davvero da pensare che egli non abbia alcuna idea di cosa sia la satira, che cosa fanno e come sono i fumettisti. “Noi che viviamo di satira siamo, che piaccia o no, degli istintivi. In noi domina quell’elemento ludico, infantile, anche inopportuno come spesso sono inopportuni i bambini, un elemento che non si fa intimorire dalle minacce di un gruppo di intolleranti” ha detto Vauro (tra l’altro al centro, credo, di qualche polemica su questi argomenti, ma qui preferisco citare “questo” Vauro), al giornalista dell’Espresso Castellani Perelli. E ha detto bene. Al suo dire bisognerebbe aggiungere che quel tratto “inopportuno” è l’essenza-importante che distingue il vignettista-impegnato da un disegnatore qualsiasi. Ad un tempo è rimando dell’essenza-importante che distingue gli uomini liberi dalle pecore. La libertà di satira non si tocca, non si addomestica, e non c’é dogma religioso che tenga da questo punto di vista! Come non bastasse riesce davvero difficile immaginare un possibile-Dio creatore del nostro straordinario universo – forse del multiverso dentro cui il primo esiste -privato di un sostanziale senso dell’umorismo, ovvero del suo spirito-intelligente.

Personalmente non ho apprezzato diversi lavori di Charlie Hebdo, mentre alcune vignette sul Corano – un testo sacro per centinaia di milioni di persone – mi hanno infastidito parecchio, così come mi infastidisce tutto ciò che non è rispetto dei credo altrui. Qualsiasi siano. A dirla tutta mi seccherebbe anche se solo leggessi La metamorfosi di Kafka è merda. Tuttavia è indubbio che qui siamo di fronte a un momento di scelta: scegliere la sacralità dei dogmi o scegliere la libertà di espressione? IO STO CON LA SECONDA! Ripeto, non c’é religione che tenga! Le religioni si rispettano ma il rispetto non deve diventare scusante per mettere freni inibitori al nostro spirito irriverente, alla capacità creativa in noi, che é tutto! Tutto ciò che fa la differenza tra l’esistere e il vivere! Detto altrimenti, la satira è soprattutto una nostra capacità “concentrata” in grado di farci ridere persino di tutti i nostri dolori, finanche della nostra stessa morte, proprio come ha dimostrato molto bene lo stesso Vauro nella sua bellissima vignetta dedicata alla strage di Charlie Hebdo (vedi featured image).

Che con queste mie ultime affermazioni non siano d’accordo Tizio e Caio che commentano a scazzo in calce in questo o in quell’altro sito mi sta bene (l’espressione preferita sembrerebbe essere “se la sono cercata!”), ma che la significazione di questi semplicissimi-concetti (la cui definizione è però costata la vita a infiniti spiriti grandi nel corso dei secoli) non “arrivi” a giornalisti del calibro di Barber mi preoccupa. Così come mi preoccupa il concetto di “giornalismo” che evidentemente ha questo professionista. Gli garantisco però che il giornalismo, anche quando è fatto da giornalisti che si occupano di tematiche di Business, non è solo business; non risolve, insomma, nel solo conoscere a memoria i bilanci delle società d’affari coccolate da Forbes: di fatto, se vuole fare solo affari faccia il businessman, professione onorevolissima e lucrativa!

Dalla sua presente occupazione però dovrebbe dimettersi, subito!, sarebbe più onorevole per lui e per il giornale che lo pubblica!

Featured image, la bellissima vignetta di Vauro, grazie all’autore qualora passasse di qui.

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