In questi ultimi due mesi in cui la mia vita ha imboccato una strada diversa, ho dovuto imparare di nuovo a gestire una quantità di tempo libero a cui non ero più abituata. Inizialmente non è stato facile: nonostante fosse la cosa che più desideravo nell’ultimo anno e mezzo, sgretolare la mia forma mentis da agenda superorganizzata con slot di mezz’ora per ogni attività giornaliera, plasmata da un decennio di lavoro in una multinazionale e di (non)vita da pendolare, non è stato immediato, ci ho dovuto lavorare.
Ho dovuto impormi di abbandonare l’idea di una tabella di marcia, di una giornata programmata nelle attività e nei tempi, con una netta divisione tra i doveri e i piaceri, perché altrimenti non sarei riuscita a liberarmi della pressione delle cose da fare, anche quando queste corrispondono a cose che si vogliono fare e non che si devono fare: fermarsi un momento, respirare, concedersi il lusso di perdere mezz’ora a guardare il cielo fuori dalla finestra e strappare in mille pezzi la to-do list mentale della giornata.
Due mesi sono volati via ad una velocità che non mi aspettavo, durante i quali mi è stato chiesto diverse volte “adesso che non fai niente, non ti annoi?”.
In questi due mesi ho fatto colazione con calma a casa, come ho desiderato ogni giorno degli ultimi 9 anni di colazioni saltate o consumate davanti al pc dell’ufficio.
Ho studiato cartine e planimetrie, quartieri e mezzi pubblici; ho cercato di capire una città e ho scelto una casa.
Ho preso misure, deciso colori, montato mobili fino a tarda sera e ho cucinato a mezzanotte gli spaghetti alla bolognese perché Mister voleva proprio quelli.
Ho incontrato agenti immobiliari, facchini, idraulici ed elettricisti; ho fissato appuntamenti, spedito documenti, fatto richieste di permessi.
Sono uscita di casa per fare delle commissioni che era ancora notte.
Ho mangiato okra dopo 10 anni al ristorante indiano di martedì, dimenticato che il supermercato chiude alle sei di sera e ripiegato sul take away.
Ho riscoperto passioni, letto per ore, scritto per giorni interi.
Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempo per amare.) Rubato a cosa? Diciamo, al dovere di vivere. Daniel Pennac
Ho fatto ordine, aperto cassetti dai quali sono uscite cose dimenticate da anni, ho letto vecchie lettere e cartoline, ho dato via vecchi vestiti e preparato valigie e scatoloni.
Ho coccolato di sera Caramello, finché ne aveva voglia, senza preoccuparmi dell’ora.
Ho camminato di mattina presto, per chilometri, spronando i miei genitori a starmi dietro; ho fatto colazione con il cornetto riscaldato per me da mia madre di mercoledì e ho fatto shopping con lei in un giorno qualunque della settimana.
Ho visitato paesini graziosi dell’entroterra francese, ho aiutato mio padre a stilare itinerari di un viaggio in camper in Bulgaria, ho preso l’aereo quattro volte, ho prenotato voli per i mesi a venire e ho viaggiato altrettanto con la fantasia.
Sono andata al cinema con i colleghi di giovedì, ho dormito a Roma e ripreso il treno vuoto il giorno dopo salutando i miei compagni pendolari che viaggiavano in direzione opposta stretti l’un l’altro come sardine.
Ho smesso di avere l’emicrania 4 giorni su 7.
Ho smesso di avere il rimorso di essere in costante debito verso me stessa.
Ho accettato inviti a cena che rimandavo da mesi.
Ho fatto visita ad amici che hanno comprato casa nuova.
Ho rispolverato con calma il mio curriculum, risposto ad annunci di lavoro e scritto email di piacere. Il telefono no, ancora lo vedo come una fonte inesauribile di lamentele sterili e parole fastidiose che bucano i timpani, che non riesco ad usarlo con disinvoltura.
Ho scalato il Promontorio del Circeo e avuto le ossa rotte per tre giorni.
Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero. Aristotele
Mi sono fatta domande, ho trovato alcune risposte, tante altre ancora no, e ho avuto certezze, insicurezze e convinzioni che non mi abbandoneranno mai.
Ho apprezzato il mio tempo, l’ho riempito e lasciato vuoto a mio piacimento. Non mi sono mai sentita inutile, non produttiva; non ho mai avuto la sensazione che stessi sprecando tempo, nella mia mente non si è mai insinuato quel pensiero scomodo che ti assale quando ti impegni a fare cose che non vorresti fare, o passi tre ore della tua giornata su un treno per un tragitto che ne richiederebbe la metà e le giornate se ne vanno via, una dietro l’altra, come fotocopie di un’istantanea scattata anni fa. Non mi sono annoiata, nemmeno un giorno degli ultimi 70.
Ho preso una pausa perché rivolevo il mio tempo e nel tentativo di imparare a ritagliarmelo in giornate future diverse da queste, ho deciso di iniziare dal riprendermelo tutto. Ho chiuso nell’armadio i completi, le camice bianche e i tacchi; ho smesso di portarmi i file Excel a casa per elaborarli il fine settimana e a pensare all’agenda del lunedì già la domenica sera e, nonostante ciò, ho provato sempre un senso di pienezza a fine giornata e la certezza di non voler essere una di quelli che, nei periodi – o anche solo nei giorni – senza lavoro, si annoierebbe.Nessuna cosa ci appartiene, soltanto il tempo è nostro. Seneca