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Scerbanenco e spie

Creato il 04 giugno 2022 da Annalife @Annalisa
Ohnehimmelseele

Poiché ormai sembro indirizzata verso la revisione quasi completa dei romanzi di Scerbanenco, ho deciso di passare a un romanzo (del 1950 ma nella edizione 1987) che non ricordavo assolutamente di avere già letto e che ho già finito. Il salto dalla prosa secca, dura, delle avventure di Duca Lamberti, alla prosa dolente di questa nuova storia non è stato indolore. Tanto è vero che, pur avendo iniziato un altro nuovo libro dello stesso autore, ed essendone molto attratta, ho bisogno di fissare alcune delle impressioni che mi ha suggerito “Anime senza cielo”, prima di esserne distratta dai racconti che ho appena preso in mano e che, ancora una volta, hanno sfondo, ritmo, direzione diversa da quella cui mi ero appena abituata.

Intanto, di primo acchito, ho rimpianto l’asprezza e l’intensità dei gialli precedenti: qui, nonostante la scrittura sempre diretta e senza indugi, la storia inizia lentamente, come se, prima di partire con l’avventura vera e propria, una telecamera scorresse all’intorno a mostrarci la scenografia e i personaggi che popoleranno le pagine successive. E sono i personaggi di una storia triste, piena di miseria (concreta miseria), incertezza e mancanza di speranza nel domani. Ambientata inizialmente nella Milano del dopoguerra, in una squallida e trascurata pensione aperta a disoccupati, profughi, ambigui personaggi di diverse nazionalità, l’azione si sposta poi a Genova e Roma, seguendo la pista aperta al protagonista, che si sente perennemente inseguito e in pericolo. Come tanti altri come lui, senza più patria, senza casa, senza lavoro o quasi, si sente un’anima senza cielo, un Ohnehimmelseele alla tedesca, perché nemmeno un cielo gli è concesso di pensare come suo.

Lo sfondo è quello di una classica storia di spionaggio, dove tutti sospettano di tutti; dove gli stranieri di passaggio in Italia dopo la guerra cercano rifugio, stabilità e senso di sicurezza trovando invece sospetto, incertezza e assoluta sfiducia nel futuro. Tutti, anche quelli che a una svolta della vicenda si riveleranno essere vere e proprie spie, hanno dunque sul fondo questa loro incapacità di trovare un posto dove sentirsi a casa, così che la loro condizione di profughi alle volte emerge più dell’altra. Ancora una volta, colpisce la capacità di Scerbanenco di fare entrare il lettore in un’epoca, un luogo e una sensazione ben precisi (magari ricordando che Scerbanenco come profugo ha vissuto davvero).

C’è un’ambientazione per me inusuale, che mi ha mostrato una città ancora più grigia e desolata del solito, con personaggi e situazioni che non conoscevo in un dopoguerra dove perdurano le rovine del conflitto e dove sembra che i vincitori vogliano continuare a battersi su un nuovo terreno, tra sorveglianza, minacce, inseguimenti e fughe. A un certo punto, infatti, la cadenza del racconto, quasi impercettibilmente, accelera, e mentre continui a pensare che questa volta il ritmo è forse troppo allentato (i pensieri, i pericoli, le incognite sembrano tornare uguali e avvoltolarsi su sé stessi), ecco, mentre pensi questo, ti trovi invece a più di tre quarti della storia, a fare il conto non più soltanto con la paura, ma anche con il coraggio, l’affetto, la rettitudine, e quella venatura di speranza che l’autore tiene sotto traccia, condisce di amaro e di incertezza, ma finalmente ti concede.

Anche qui, a fare da filo rosso con tutti gli altri libri, la bella scrittura di Scerbanenco, piana, sicura, senza necessità di acrobazie o di colpi di scena così frequenti in questo tipo di soggetto.
Senza difetti, dunque? Non proprio, perché Scerbanenco scrive nel 1950 e per molti aspetti condivide la mentalità del tempo e una specie di lombrosiana propensione a incasellare i suoi personaggi non per l’aspetto, ma per la provenienza o le inclinazioni: così che una delle donne è “ostinata, tenace, come la gente della sua terra”, un’altra ride forte perché è romana, e così via. Peccati venialissimi, che non impediscono di gustare un romanzo di spionaggio forse ingenuo (oggi) ma forte e ben costruito.

Giorgio Scerbanenco
Anime senza cielo
Rizzoli, 1987
pgg. 336


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