La ricerca scientifica moderna risale, come tutta la storia moderna, a quell’epoca possente che noi tedeschi chiamiamo col nome della grande sciagura nazionale allora occorsaci, la riforma, che i francesi chiamano la Renaissance e gli italiani il cinquecento, e che nessuno di questi nomi riesce a definire in modo esauriente. E’ l’epoca il cui sviluppo ha inizio colla seconda metà del secolo decimoquinto. La monarchia, appoggiandosi alla borghesia cittadina, spezzò il potere della nobiltà feudale e fondò i grandi regni, basati essenzialmente sulla nazionalità, nei quali si svilupparono le moderne nazioni europee e la moderna società borghese. E mentre ancora borghesia e nobiltà si azzuffavano, la guerra tedesca dei contadini additò profeticamente le future lotte di classe, portando sulla scena della storia non soltanto i contadini in rivolta (che non sarebbe stata cosa nuova), ma dietro di essi i nuclei iniziali dell’attuale proletariato, con la bandiera rossa in mano e la rivendicazione della comunanza dei beni sulle labbra. All’attonito occidente si rivelò un nuovo mondo, quello dell’antica Grecia, nei manoscritti salvati dal crollo di Bisanzio, nelle antiche statue venute alla luce scavando tra le rovine di Roma. Di fronte alle luminose immagini di quel mondo scomparvero gli spettri del Medioevo; l’Italia si elevò a una fioritura artistica senza precedenti, e mai più eguagliata, che sembrò un riflesso dell’antichità classica. In Italia, in Francia, in Germania sorse una nuova letteratura, la prima letteratura moderna; l’Inghilterra e la Spagna attraversarono poco dopo il periodo della loro letteratura classica. I limiti della antica orbis terrarum furono infranti, la terra fu veramente scoperta allora per la prima volta, e furono gettate le basi per il futuro commercio mondiale e per il passaggio dall’artigianato alla manifattura, che a sua volta rappresentò il punto di partenza per la grande industria moderna. La dittatura spirituale della Chiesa fu rotta; i popoli germanici la respinsero senz’altro nella loro maggioranza, mentre fra i latini si andava sempre più radicando una serena libertà di pensiero, ereditata dagli arabi e alimentata dalla filosofia greca recentemente scoperta, che preparava il materialismo del 18° secolo. Fu il più grande rivolgimento progressivo che l’umanità avesse fino allora vissuto: un periodo, che aveva bisogno di giganti e che procreava giganti: giganti per il pensiero, le passioni, il carattere, per la versatilità e l’erudizione. Gli uomini che fondarono il moderno dominio della borghesia erano tutto, fuorché limitati in senso borghese. Al contrario, il carattere avventuroso della loro epoca ha lasciato un’impronta, più o meno forte, su tutti. Non vi era allora quasi nessun uomo di rilievo che non avesse fatto lunghi viaggi, che non parlasse quattro o cinque lingue, che non brillasse in parecchie discipline. Leonardo da Vinci non era soltanto un grande pittore, ma anche un grande matematico, meccanico e ingegnere, alla cui opera devono importanti scoperte i più diversi rami della fisica. Alberto Durer era pittore, incisore, scultore, architetto, e ideatore inoltre di un sistema di fortificazione, che contiene già parecchie delle idee che saranno riprese molto più tardi da Montalembert e dalla moderna arte militare tedesca. Machiavelli era un uomo politico, storiografo, poeta, e insieme il primo scrittore di cose militari degno di nota dell’epoca moderna. Lutero non spazzò soltanto la stalla d’Augia della Chiesa, ma anche quella della lingua tedesca, creò la prima prosa tedesca moderna, fece sia il testo che la melodia di quel corale, pieno di certezza nella vittoria, che divenne la Marsigliese del sedicesimo secolo. Gli eroi di quell’epoca non erano ancora sotto la schiavitù della divisione del lavoro, che ha reso così limitati e unilaterali tanti dei loro successori. Ma la loro caratteristica vera e propria sta nel fatto che vivevano, e operavano quasi tutti in mezzo agli avvenimenti del tempo, alle lotte pratiche: prendevano posizione e combattevano anch’essi, chi con la parola e gli scritti, chi con la spada, parecchi con ambedue. Veniva da ciò quella pienezza e quella forza di carattere, che li faceva uomini completi. Gli eruditi di biblioteca sono le eccezioni: o gente di secondo e terzo rango, o filistei previdenti, che non volevano scottarsi le dita con il fuoco. L’atto rivoluzionario, con il quale la ricerca naturale dichiarò la sua indipendenza, rinnovando insieme, rinnovando insieme il gesto di Lutero che brucia le bolle papali, fu la pubblicazione dell’immortale opera con la quale Copernico, se pur esitando e per così dire in punto di morte, gettò il guanto di sfida all’autorità della Chiesa nell’interpretazione dei fenomeni naturali.
Data da quel momento l’emancipazione della ricerca naturale dalla teologia, seppure la separazione delle singole reciproche competenze si sia protratta fino ai giorni nostri e non si sia ancora compiuta in molte menti. Ma da quel momento in poi lo sviluppo delle scienze procedette con passi di gigante e aumentò di forza, si potrebbe dire, in che modo direttamente proporzionale al quadrato della sua distanza (nel tempo) dal suo inizio. Sembrava quasi che dovesse essere dimostrato al mondo che per lo spirito umano, il prodotto più alto del mondo organico, valeva da allora in poi una legge di movimento opposta a quella che regola la materia inorganica. Il lavoro fondamentale nel primo periodo, allora iniziatosi, della scienza naturale, fu l’impossessamento del materiale più immediato. Nella maggior parte dei campi, bisognava cominciare da materiale del tutto greggio. L’antichità classica aveva lasciato l’Euclide e il sistema solare tolemaico, gli arabi avevano lasciato la notazione decimale, i principi dell’algebra, i numeri moderni e l’alchimia; il medioevo cristiano nulla. In questa situazione prese naturalmente il primo posto la scienza naturale più elementare, la meccanica dei corpi terrestri e celesti e, accanto ad essa, al suo servizio, la scoperta e il perfezionamento dei metodi matematici. In questo campo furono fatte grandi cose. Alla fine del periodo, che è contraddistinto dai nomi di Newton e Linneo, troviamo che in questi rami della scienza sono stati portati a una certa compiutezza. I metodi matematici più essenziali sono stabiliti nelle loro linee fondamentali. Lo stesso è a dire per la meccanica dei corpi rigidi, le cui leggi fondamentali furono allora definitivamente stabilite. Infine, nell’astronomia del sistema solare, Keplero aveva scoperto le leggi del movimento dei pianeti, e Newton le aveva concepite come leggi generali del movimento della materia. Ma ciò che caratterizza in particolare questo periodo è la elaborazione di una data concezione generale, il cui nocciolo è l’idea dell’assoluta immutabilità della natura. Cioè: comunque il mondo naturale potesse essersi costituito, una volta dato rimaneva quale era fino a che fosse esistito. I pianeti e i loro satelliti, una volta messi in movimento dal misterioso primo impulso seguitavano a girare e girare nelle orbite ellittiche loro prescritte in perpetuo, o perlomeno fino alla fine di tutte le cose. Le stelle restavano per l’eternità fisse e immobili al loro posto, reciprocamente sostenendosi attraverso la attrazione universale. La terra era rimasta immutata da sempre o perlomeno dal giorno della sua creazione. Le cinque parti del mondo erano sempre esistite, avevano sempre avuto gli stessi monti, gli stessi fiumi, le stesse valli, lo stesso clima, la stessa flora e fauna, a prescindere solo dalle modificazioni apportate dalla mano dell’uomo o dalla coltivazione. Le specie vegetali e animali erano state fissate una volta per tutte al loro sorgere, il simile generava perpetuamente il simile. Fu già molto quando Linneo ammise che era possibile che sorgessero qua e là nuove specie per incrocio. La storia naturale poteva svolgersi solo nello spazio, in contrapposizione alla storia dell’umanità che si sviluppa nel tempo. Alla natura veniva negata ogni modificazione, ogni sviluppo. La scienza della natura, inizialmente così rivoluzionaria, si fermava d’improvviso di fronte a una natura nella quale tutto è oggi quel che è stato dal principio, e nella quale – fino alla fine del mondo o eternamente – tutto resterà come era dal principio. Di quanto la scienza naturale della prima metà del XVIII secolo era superiore a quella dell’antichità greca per conoscenza ed anche per analisi dei fatti, di tanto le era inferiore nel dominio ideale su di essi, nella concezione generale della natura. Per i filosofi greci il mondo era infatti qualcosa che è venuto fuori dal caos, che si è sviluppato, che ha attraversato un processo. Il mondo era invece per i ricercatori del periodo che trattiamo qualcosa di pietrificato, di immutabile, fatto – per i più – una volta per tutte in un sol colpo.
La scienza era ancora inceppata dalla teologia. Cercava ovunque e trovava sempre come conclusione un impulso esterno, che non poteva essere spiegato dalla natura stessa. Se anche l’attrazione, battezzata pomposamente da Newton gravitazione universale, era concepita come proprietà intrinseca della materia, da dove proveniva mai la inspiegata forza (centrifuga) tangenziale che all’inizio aveva data origine alle orbite dei pianeti? Come erano sorte le infinite specie delle piante e degli animali? E come innanzitutto era comparso l’uomo, che indubbiamente non esisteva ab aeterno? A tali domande la scienza naturale rispondeva unicamente o quasi chiamando in causa il creatore di tutte le cose. Copernico inizia questo periodo scrivendo la lettera di licenziamento alla teologia; Newton lo chiude con il postulato del primo impulso divino. La più elevata idea generale alla quale si innalzasse quella scienza naturale era l’armonia prestabilita della natura, la piatta teleologia di un Wolff, secondo la quale i gatti sono stati creati per mangiare i topi, e i topi per essere mangiati dai gatti, e l’intera natura per mostrare la saggezza del creatore. Torna ad altissimo onore della filosofia d’allora il fatto che non si facesse fuorviare dal limitato stadio delle conoscenze naturali del suo tempo, il fatto che essa – da Spinosa ai grandi materialisti francesi – mantenesse fermo il proposito di spiegare l’universo da sé stessa, lasciando alla scienza dell’avvenire le giustificazioni di dettaglio. La prima breccia in questa pietrificata concezione della natura fu aperta non da uno scienziato ma da un filosofo. Nel 1755 apparve la Storia generale della natura e teoria del cielo di Kant. La questione del primo impulso veniva messa da parte; la terra e l’intero sistema solare apparivano come qualcosa che si è formato (etwas gewordenes) nel corso del tempo. Se la maggior parte degli scienziati avesse meno sofferto di quella ripugnanza al pensiero che Newton esprime con il monito: Fisica, difenditi dalla metafisica!, essi avrebbero potuto trarre da questa geniale scoperta di Kant conseguenze che avrebbero loro risparmiato infiniti errori di indirizzo, incalcolabili perdite di tempo e di lavoro in direzioni sbagliate. [Invece] lo scritto di Kant restò senza risultati immediati fino a che, molti anni dopo, Laplace e Herschel non ne svilupparono il contenuto, giustificandolo più da vicino, e mettendo così onore, poco a poco, l’ ipotesi della nebulosa. Nuove scoperte diedero ad essa finalmente la vittoria… E’ però lecito dubitare che la maggioranza degli scienziati avrebbe presto acquistato coscienza della contraddizione di una terra mutevole che ospita organismi immutabili, se la concezione, appena alla sua alba, di una natura che non è, ma diviene e trapassa; non avesse ricevuto soccorsi da altre parti. Sorse la geologia, e rivelò non solo strati terrestri successivamente formatisi e sovrappostisi l’uno sull’altro, ma anche gusci e scheletri di animali scomparsi conservati in questi strati, tronchi, foglie e frutti di piante non più esistenti. Era necessario decidersi e riconoscere che non soltanto la terra nel suo insieme, ma anche la sua superficie attuale e le piante e gli animali che su di essa vivono avevano una loro storia nel tempo. Un tale riconoscimento venne fatto al principio abbastanza controvoglia. La teoria delle rivoluzioni della terra di Cuvier era rivoluzionaria nelle parole e reazionaria nella sostanza. Essa sostituiva infatti all’unico atto di creazione tutta una serie di ripetuti atti creativi, trasformava il miracolo in un carattere essenziale della natura. Lyell per primo portò un ordine razionale nella geologia, sostituendo alle improvvise rivoluzioni, suscitate dai capricci del creatore, la gradualità di una lenta trasformazione della terra. La teoria di Lyell era ancor meno conciliabile delle precedenti coll’ipotesi delle specie organiche fisse. Una graduale trasformazione della superficie terrestre e di tutte le condizioni di vita su di essa portava direttamente alla graduale trasformazione degli organismi, al loro adattamento alle variazioni dell’ambiente, alla mutabilità delle specie.
La nuova concezione della natura era, nei suoi tratti essenziali, ormai completa: ogni rigidità di legami era stata sciolta, ogni fissità scomparsa: tutto ciò che era stato ritenuto definito e stabilito per sempre in un aspetto preciso era divenuto mutevole; si era dimostrato che l’intera natura si muoveva in un perpetuo flusso. Siamo così oggi ritornati alla concezione dei grandi fondatori della filosofia greca, che vedevano il carattere essenziale di tutta la natura, dalle parti infime alle massime, dal granellino di sabbia al sole, dai protisti agli uomini, in un eterno nascere e trapassare, in un incessante flusso, in un moto e in un cangiamento senza tregua. Con questa differenza essenziale però: mentre per i greci si trattava di geniale intuizione, per noi tutto ciò è risultato di una rigorosa ricerca scientifica sperimentale, e si presenta quindi in forma molto più definita e chiara. -Engels-(tratto dall’introduzione alla Dialettica della natura)
UMANITA’
La massa misera
ha finito di mendicare
e più non può cadere
nell’oscurità della notte.
Lo sconforto medita
nelle infinite forme
cerca di essere ricomposto
e assume aspetti diversi
tutti esclusi e ripugnanti.
E l’umanità si evolve
e nell’aria il profumo del sapere
cerca la sorella, il fratello, l’uguale;
e il fratello cerca il fratello
e la sorella cerca la sorella,
sul vecchio, secco e spento,
s’innesta fiero il germoglio
anteriore all’apparir da lontano
diventa ora in tutto l’immediato
non più novella speranza
per gli innocenti animi
nell’avvenire arride e avanza.
-Renzo Mazzetti-
(Antologia CHORUS, IBISKOS editrice Risolo Empoli, aprile 2010)