Si sa che sono una volofobica, no? Lo Xanax non serve a una cippa, mi ci vorrebbe l'anestesia totale. Ero migliorata, ma da quando ho iniziato il mio nuovo lavoro a Stavanger, sono di nuovo precipitata (aiutooo!) negli abissi della mia fobia.
In aereo, durante i voli intercontinentali nascono amicizie, amori, si scoprono parentele e spesso si riamane incinta: "tesorino mio, la mamma e quello con il trolley rosso di Casalpusterlengo, ti hanno concepito tra Milano Linate e il Benito Juárez di Città del Messico."
Nei voli brevi, invece, è l'opposto. Nessuna sinergia, nessuna empatia temporanea o "tu saresti figlia del nipote di quel Leblanc che sta in Canada...?". Solo sguardi cagnazzi di gente incazzata nera perché deve andare a lavorare fuori città, oppure chiassosi gruppetti di individui in preda alla tarantola delle ferie (sono generalmente i più rompiminkia coi loro chiacchiericci e risatine inutili sul nulla da gita delle medie), o quando va bene le famiglie con pesti al seguito che ti chiedono sempre di cambiare posto con uno di loro, generalmente col figlio adolescente che siccome è adolescente allora deve essere tritacazzi a prescindere. Poi ci sono quelli che stanno rientrando a "casa", che sono i più dignitosi. Zitti e onesti: stiamo rientrando a casa, ce l'abbiamo scritto sul labbro pendulo inferiore e sullo sguardo da cocker.
Infine, sparuti qua e là, timorosi e vergognatissimi ci siamo noi: i volofobici. Personcine per bene che devono prendere aerei per forza, ma hanno una paura nera. Darebbero qualsiasi cosa pur di farseli a piedi, di corsa, sti centinaia di migliaia di chilometri. Sognano interminabili viaggi in treno, anche in uno di quelli vecchi delle FS dove c'era scritto vietato sputare sotto ai finestrini troppo duri da tirar giù.
Il motivo dello spostamento del volofobico non è importante. Può essere qualsiasi, tanto l'atteggiamento non cambierebbe. Pupille dilatate, fiato corto, pipì anche se è stata appena fatta, sudore freddissimo sul collo, mani rigide color bluastro, schiena monolitica che neanche il colpo della strega e sorriso forzato di quelli che spesso fanno i bambini per non piangere. Ad ogni sobbalzo dell'aereo, il volofobico cerca con l'occhio da fulminato lo sguardo della hostess per vedere se riesce a scorgere un velo di preoccupazione. In genere vuole soffrire in solitudine, non desidera attaccare bottone col vicino che potrebbe distrarlo per pochi secondi dal suo male: perché il volofobico è anche parecchio masochista.
Capita di tanto in tanto, che accanto a me sieda un tipo/una tipa, con tanta voglia di parlare. Sono minuti durissimi, che sembrano non finire mai. Ieri, sull'aereo che mi ha portato in Norvegia, accanto a me c'era uno, ma a me sono sembrati dieci. Un polpo con tre teste e una trentina di tentacoli, superaccessoriato con pc, telefoni, tablet, giornali, caramelle, delle cose che mi sono sembrati libri di cartone, giacche, giacchette, due paia d'occhiali, dopobarba a profusione, cravatte (due, una l'aveva comprata in aeroporto), le Hogan, una serie di braccialetti in cuoio e acciaio che pareva n'antico romano da biga, mancavano solo la scatola di pastelli, le crostatine e i walkie-talkie. E' arrivato dopo, quando quasi tutti erano sistemati, trafelato, sbattendo i gomiti a ds e a sn, con un trolley cigolante pesantissimo e una borsa a tracolla penzolante. L'avevo visto da lontano, ed avevo pensato 'vai, ora sto coso me lo trovo vicino'. E infatti. Avevo il sedile corridoio, e lui ovviamente era in quello finestrino. Per mettere su il trolley si è sbilanciato col bacino in avanti fino a colpirmi la testa nonostante mi fossi spostata con disgusto. Dopo minuti interminabili di sistemazione (e leva la giacca, e rimetti la giacca che fa freddo, e prendi la busta, e rimetti la busta di sopra, e tira fuori le caramelle, anzi no rimettiamo le caramelle nella borsa fregandomene se tiro gomitate alla vicina che stammmale) finalmente si siede al suo posto, con le gambe larghe, così i suoi ginocchi toccano i miei, ecco, accavallo le gambe e lo frego. Poi si ricorda di avere un telefono in tasca, compie manovre inutili da seduto per cercare di sfilarselo dalle chiappe, si alza in piedi sgomitandomi in faccia: lo stuart norvegese l'ammonisce lanciandomi un'occhiata di profonda comprensione. Intanto i motori rullano, io mi sento male. Lui si sporge per guardarmi in faccia: se prima mi stava solo antipatico, adesso lo odio.
- Paura, eh? Ahah. Italiana, giusto?
- Eh? Io? No, si.
- Sei di Pisa?
- No.
- Viaggi per lavoro?
- Si, no...
- Ma sei a Oslo? Io prima volta in Norvegia, in genere vado verso est per la...
- Se non le spiace...(prendo il libro su Billy Wilder)
- Ma no! Figurati!
...
- Ah ma vedo che ti piace il cinema!
- Un po'...
- Io sono un PATITO di cinema!
- Eeh, immagino.
- Che cinema? Italiano, americano, ...?
- Mah, tutto...facciamo francese.
- Hai ragione, sai! Un po' lenti i film francesi, però...
- Però, cosa?
- Però belli!
- Non ho mai capito perché il concetto di 'lentezza' debba essere correlato a quello di 'bruttezza'
- Ma no, magari noia.
- Ah. La noia è anche nei tempi serrati.
- Ma lo sai che mi stai facendo riflettere?
- Si?
- Vuoi bere qualcosa?
- E che siamo al bare?
- Ahahahahahahah! Simpatica! hihihi (sghignazza)
- Cmq, no grazie.
- Non dovresti avere paura, lo sai che l'aer...
- ..è il mezzo di trasporto più sicuro, losoloso.
- Ahahah! Senti, e l'attore francese che più ti piace?
- Mah, facciamo Noiret?
- Fortissimo, sì. Scommetto che ti piace anche Alain Delon! (sorride ammiccando)
- Eh beh...
- Eeeeh, belluomo, ma come attore bof...
- 'Bof', ha solo marchiato a fuoco parte importante della cinematografia francese, ma va beh...
- Eh si, c'ha pensato Visconti a marchiarlo a fuoco! Ahahahah (ride sommessamente)
- Non è colpa tua se hai le Hogan.
- Cosa?
- Dicevo: non è colpa tua se hai le Hogan.
- Vuoi dire che me le hanno imposte? Guarda che ti sbagli, non sono uno che va dietro alle mode o altro. Comunque potresti anche essere un po' più cortese.
- Hai ragione sulla cortesia, è che dietro alla frase su Visconti fa capolino il vuoto compresso. I belli: quando non si può dire che sono froci, allora sono passati sotto al pederesta di turno. Concetti poveri che tendono ad esaltare una psicologia da macho di periferia italiota che per dimostrare la sua supremazia da duro che te apre in due, deve guardare ad est perché ad ovest di Bucarest le Hogan non fanno effetto e lo schifano tutte.
Occhei, l'ultima cosa non gliel'ho detta. Gli ho detto invece:
- Ahah! Ma no, scherzavo! Scusa.
- Aaah. Ti chiami?
- Se non ti spiace, riprenderei la lettura.
- Beh dai, sei passata dal lei al tu, è già qualcosa.
- Tantissimo.
- Scusa, ti spiace se passo che devo andare in bagno? Se vuoi prendi pure il mio posto, l'ho tenuto caldo! (fa l'occhiolino)
.....
- Beh, allora buona permanenza in Norvegia, ti lascio il mio biglietto da visita, nel caso tu...
Mi porge un biglietto da visita con ottomila titoli davanti al nome che leggo a malapena. Ho il maldipancia, mi lacrimano gli occhi e mi gira la testa. Ho dovuto trattenere la paura e l'orrore insieme. Passando da uno specchio mi vedo e non mi riconosco, due occhiaie spaventose su un viso bianco mi fanno sembrare un panda. Esco fuori dagli Arrivi e respiro a pieni polmoni l'aria che profuma di legno e aghi d'abete. Mi guardo nello specchietto del taxi e vedo che sono tornata normale. Il tassista zitto e cortese mi sembra una divinità da adorare. Mi rilasso, telefono, faccio un po' di cazzi miei, parlo con persone che stimo. Amici. Mi levo le scarpe.
Prima di un lungo viaggio in aereo mi faccio crescere la barba. Per partire mi vesto da straccione, mi imbottisco di sonniferi e dormo quasi tutto il tempo. Nei momenti di veglia leggo libri orripilanti con copertine inquietanti tipo Le Teste di Giuseppe Genna.
La mia misantropia è letale. Non per gli altri, per me. Morirò vestito di stracci, puzzolente e con un thrilleraccio tra le mani scritto da uno qualsiasi, misantropo come me, morto come me.
Alessandro Edoardo Leblanc