«Posso farti una domanda»? Così iniziano sempre le conversazioni tra due vecchi amici che si ritrovano ogni giorno, sul tardo pomeriggio, a passeggiare in piazza, dopo l’ennesima giornata trascorsa al caldo sole d’agosto.
Questa volta l’argomento è di particolare delicatezza, viste le infinite sfaccettature che di volta in volta ne delineano i contorni, e così, quasi in segno di riverente consapevolezza, i due compagni di via ne iniziano a parlare sottovoce, con un fare quasi clandestino.
Dopo un frivolo scambio di pareri sul costante aumento delle temperature e sul menu del pranzo ecco che, come un macigno staccatosi da una parete di roccia, precipita tra i due la quotidiana matassa da sbrogliare, e il rumore sordo dello schianto si rivela assordante.
«Posso farti una domanda»? Chiede con la solita aria scanzonata e allo stesso tempo malinconica il più grande dei due. «Spara pure» gli rispose come al solito l’altro. A guardarli non sembravano affatto amici, in antitesi su tutto, eppure legati da un fanciullesco desiderio di crescere insieme. Tra i due, però, c’era chi ha sempre avuto fretta di bruciare gli anni e chi, invece, non ne vuole affatto sapere di arrendersi all’inesorabile
trascorrere delle stagioni della vita.
«Mi sapresti dire cos’è quella sensazione che ti prende alla gola e al petto quando rivedi una persona a distanza di tempo? Intendo però una persona davvero importante, più di quanto non lo sia un vecchio amico, con la quale hai condiviso una buona parte di quello che sei».
Lo sguardo dell’altro, aggrottato dall’inaspettata domanda, sembra quasi voler presagire il proseguo dell’interrogativo, scrutando con attenzione il viso dell’interlocutore che mano a mano s’accende di vita. «Sto parlando – continua – di quel dolore forte al petto, della mancanza del respiro, dell’aumento del battito del tuo cuore, che senti quasi voler venir
via dal petto».
«Ho capito, ti sei spiegato» risponde l’altro, ma mentre fa per continuare viene subito interrotto dal primo, il quale oramai, come un fiume in piena, non s’arresta e prosegue.
«So che stai per dirmi, ma te lo dico io cos’è! Potrà anche non sembrarti vero, ma quella sensazione, quel sentimento che ti stringe al cuore senza farti respirare è…il rimorso! Sì, è proprio il rimorso! Il rimorso che sia finita nel modo sbagliato, è il rimorso di non esserti accorto che quanto davi non corrispondeva a quanto, invece, ricevevi. È il rimorso di aver
sentito un’altra persona parte di te e che ora ti accontenti molto banalmente di ignorare. Incredibile vero? Ami qualcuno e desideri solo il bene per entrambi, ma alla fine ti rassegni all’idea che anche tu non sei diverso dagli altri, che anche tu hai tradito te stesso prima che i sentimenti altrui».
Un attimo di silenzio cala tra i due, proprio mentre il sole rosso sta sparendo dentro le montagne. Nemmeno una folata d’aria fresca riesce a rasserenare il silenzioso e pacato interlocutore di quella che adesso sta diventando davvero una discussione troppo importante.
Effettivamente quanto detto lo ha lasciato pensieroso, tant’è che con lo sguardo perso nel vuoto sta cercando di capire, di valutare, se può condividere il pensiero dell’amico.
Così mentre cerca di riorganizzare le idee il primo continua: «È un bel po’ che ci penso, che penso al possibile rimedio per evitare di ritrovarsi in questa situazione, che oserei definire “sentimentalmente claustrofobica”, da più parti mi è stato detto che l’unica
soluzione è quella di affidarsi al vecchio adagio popolare del “chiodo schiaccia chiodo”. Ma mi rifiuto di credere che un tale rimedio possa davvero funzionare! Una volta qualcuno mi ha scritto: “Non avere la capacità di stare da soli non è sintomo di forza dell’amore che si può provare per chi si tenta di dimenticare o rimpiazzare! Significa solo non avere la coerenza dei proprio sentimenti”, e devo dire che non posso non trovarmi d’accordo. Soffocare una storia passata con delle nuove significa solo ammettere, più che altro a sé stessi, che in fondo non è poi così importante il passato dal quale si tenta si fuggire».
Quando sembra arrivare una pausa in un continuo fiume di parole, ecco pronta la replica del savio compagno di camminata.
«Ho capito e ti stai sbagliando! …Amore! Ecco come si chiama quella sensazione, non rimorso. Per quanto il rimorso resti parte integrante della nostra vita per frasi non dette, gesti non fatti, ecc, è solo l’Amore a farci provare la cascata di sensazioni alla quale ti riferivi. L’Amore è un insieme di sentimenti nudi e crudi, violenti, duri, reali, egoistici,
altruistici, ecc… ma sono pochi i fortunati che possono dire di averli provati davvero. L’Amore è come un fuoco estinto che cova anche al freddo e che dopo una ventata di emozioni si riaccende quasi per magia».
Sorpreso da una risposta simile l’altro s’ammorbidisce ipotizzando un compromesso: «E se alla fine ci stessimo sbagliando entrambi? Se una risposta valida non ci fosse? Se si dovesse ricercare il perché in ogni diversa storia? Non potrebbe forse essere così»?
«Beh, certo che potrebbe essere anche così, non ho detto di avere la verità assoluta io, però caro amico due sono le cose voglio dirti prima di congedarmi, la prima è che in fondo nulla è perduto se non siamo noi a volerlo perderlo realmente, e la seconda è che il mestiere dell’Angelo è duro assai, riflettici»!
E così all’imbrunire del giorno termina l’ennesimo dialogo tra due solitudini, e stavolta, di quanto detto, c’è tanto da metabolizzare.