Diario africano - 46/Sapore di Sale

Creato il 20 gennaio 2015 da Mapo
Uganda, 14 gennaio
Le mie scarpe non si sono ancora riprese dalla passeggiata nel fango del lago salato di Katwe.E' solo un piccolo lago naturale che a stento compare sulle mappe e, per qualche strana legge fisica, è più ricco di sale dell'acqua della pastasciutta. Così hanno pensato di tirarne un po' fuori.Katwe (che si pronuncia come se avesse l'accento alla fine) è una piccola cittadina ai confini del Queen Elizabeth National Park, il più rinomato parco naturale dell'Uganda che deve al suo nome nientemeno che alla regina Elisabetta. Quando si arriva quaggiù da una strada polverosa che costeggia la savana con i suoi immensi cactus e le sagome delle antilopi all'orizzonte, si ha l'impressione di arrivare in una di quelle città fantasma da Far West americano.
Le persone fissano la strada con fare annoiato affacciate alla porta delle loro botteghe, che tengono aperte più per passatempo che per reale necessità, i bambini giocano a rincorrere copertoni usati che rotolano secondo gravità e le donne scendono fino all'acqua per lavare i panni facendo attenzione ad ippopotami e coccodrilli. Mucche, capre e zanzare sono dovunque.Proseguendo in direzione ovest la strada si inerpica per un centinaio di metri, fino a scollinare su di un panorama che, al tramonto, si fa davvero mozzafiato. Qui hanno suddiviso buona parte della costa lacustre in tante piccole piscine artificiali, delimitate da strisce di terra che odorano di zolfo. In quelle più piccole la chimica fa tingere l'acqua di color rosso sangue. Sono piccoli giacimenti privati di circa 20-30 metri quadrati dove i proprietari stanno otto ore al giorno a mollo nell'acqua torbida fino alle ginocchia, i pantaloni alzati per non farli sporcare e il torso nero e nudo ad assorbire il sole.Paul ci vede arrivare da lontano, mentre è ancora chinato a raccattare fango dal fondo con una paletta improvvisata. E' un uomo di quasi quarantanni, muscoloso come un bronzo dell'antica Grecia e noto che a bordo vasca sono appoggiati degli scarponcini scamosciati e una camicia rosa acceso a denotare un certo stile. A quest'ora tarda è rimasto solo lui, tutti gli altri sono già andati a casa per riposare le ossa e mangiare carne e riso bollito con le famiglie.Una piscina come la sua, da queste parti, costa 500.000 scellini ugandesi, poco meno di 150 euro. Ci viene tutti i giorni, per tenerla pulita e per trovare sul fondo quei piccoli sassolini nerastri, così ricchi di sale. Me ne appoggia uno in mano e, sebbene riluttante, accetto di assaggiarne il gusto. Salato.Noto che ha le mani nere come se fossero fatte di pece e le braccia e le gambe sono puntellate da macchie livide e gonfie che non posso che imputare a questa permanenza forzata in un'acqua così ricca di minerali, talora nocivi. Eppure, spergiura, nessuno ha problemi di salute per via delle piscine. Da una parte credo sia meglio che non lo sappia.In città noto una baracca poco più grande delle altre con davanti un'insegna "Katwe Salt Company". E' chiusa, ma mi immagino un circolo di vecchi pescatori di sale che si trovano al tavolino per trattare il prezzo di un'oncia di questo oro bianco quaggiù così prezioso. Lo vendono a grossi gruppi industriali, alcuni in gran parte posseduti dal governo, che ne fanno sale da cucina o per conservare gli alimenti.Paul fa un lavoro terribile, eppure sorride senza fatica quando scatto una foto. Dietro è tutto uno sfondo fatto di stormi di aironi, un sole rosso che si specchia nell'acqua e quella foschia salata, che sale dal lago a metà tra sollievo e maledizione.

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