Diario africano - 51/Bang Bang

Creato il 07 febbraio 2015 da Mapo
"Siamo andati tutti quanti alla caccia del leon, bang bang".
Il vecchio refrain mi riporta istantaneamente all'asilo e sul tetto di questa gigantesca Land Cruiser che percorre a passo d'uomo il parco del Kidepo, in una mattina di fine gennaio.
Nord Uganda, piena stagione secca. Qui il Safari si chiama Game Drive e significa svegliarsi all'alba quando la savana è ancora incredibilmente fredda, guardare il sole che fa capolino infuocato dalle colline all'orizzonte e aver mal di chiappe per un paio di giorni, il sedere appoggiato sulle ruote di scorta legate sul tetto, una buca dopo l'altra. "Akuna Simba" - si dicono i driver attraverso i finestrini abbassati parlando in Swahili. Il leone, in effetti, tende a farsi desiderare. Giraffe, ippopotami, iene, elefanti, facoceri, zebre e strani uccelli dal becco allungato. Sembra persino di vedere gli immancabili leocorni, ma il re della foresta, quando il caldo è ormai asfissiante e siamo prossimi al mezzogiorno, ancora manca all'appello.

Il nostro ranger, con gli occhi ancora cisposi dalla notte in tenda, in effetti l'aveva detto: "Not guaranteed, but we try". È un ragazzo di 26 anni, si chiama Daniel e ha un cappello da baseball verde militare che non riesce a nascondere due occhi bovini con le palpebre abbassate a mezz'asta. Non ha l'aria di essere una volpe, sebbene dubiti della reale utilità delle volpi come esca per i grossi mammiferi predatori africani.
Il parco, un paradiso terrestre di 1200 km quadrati ("come l'Italia", esclama qualcuno mordendosi subito la lingua per la fesseria) ha più di 500 ranger, altro che regione Sicilia. Alcuni sono impegnati nell'assistenza ai turisti, altri nella salvaguardia del patrimonio faunistico e in iniziative di sostegno alla popolazione locale. Temo che cazzeggino parecchio, ma lascio che questo pensiero dietrologista all'italiana mi scorra alle spalle come la polvere rossa.
Daniel, come tutti i suoi colleghi, ha fatto una scuola di tre anni a Katwe, una cittadina al limitare del più celebre parco nazionale ugandese, il Queen Elizabeth National Park che si trova nel sud del paese. Me lo immagino sui banchi a studiare i punti cardinali con bussola e cartina, sparare col fucile e tentare di comprendere la complicata organizzazione familiare di bufali ed elefanti. Poi gli hanno messo una divisa verde marcio piena di stemmi colorati, due grossi anfibi neri dal microclima malsano e l'hanno spedito sui sedili davanti delle macchine dei Muzungu che cercano gli animali che disegnavano sin da bambini negli obiettivi delle loro costose macchine fotografiche. Ogni tanto, senza alcun preavviso, fa fermare la macchina, si mette in piedi sul cofano, guarda l'orizzonte attraverso il binocolo e poi, senza dire niente, fa cenno di proseguire.
Tutto intorno l'erba secca è così gialla che sembra di essere sul set de "Il Gladiatore", o nel logo sulla busta delle macine Mulino Bianco. Punti neri ovunque, come brufoli in potenza ma molto più grandi: sono i bufali, qui numerosissimi, che si spostano a mandrie. Sono quasi ciechi, ma hanno un fiuto raffinatissimo e riescono a percepire la presenza di un uomo da decine di metri di distanza. Si riuniscono in grandi famiglie che e vanno tutti giorni fino al fiume per dissetarsi. Quando un maschio viene giudicato dal branco incapace di procreare viene allontanato dalla ciurma. Il Bachelor condurrà una vita solitaria, finché, alla mercè dei predatori, verrà divorato una mattina qualsiasi, mentre si riposa al sole.
Quando sentono il rumore del motore le antilopi si fermano d'istinto, girano tutte la testa contemporaneamente e rimangono così, imbalsamate, a fissarci negli occhi fino a quando non diventiamo piccoli piccoli.
Le zebre, con il loro manto principesco, sembrano in realtà animali un po' stupidi, una suggestione che nasce forse da una certa somiglianza con dei grossi asini. Mentre mi chiedo evolutivamente che senso abbia per la natura aver piazzato un gigante bersaglio bianco e nero nel bel mezzo di un paesaggio di tutt'altro colore, proprio davanti alla macchina una zebra attraversa la strada con un grosso pennuto bianco simile a una cicogna appollaiato sulla schiena. Credo si tratti della versione locale di usare le strisce pedonali.
Siamo talmente stanchi, letteralmente cotti e coperti di polvere che ci stanchiamo anche di sparare cazzate. L'ultima riguarda un branco di giganteschi roditori che corre su e giù da una grossa roccia che ricorda (anche questa, quale sarà quella vera?) quella dove hanno girato la scena iniziale del Re Leone: "Top of the rock".
In silenzio, un lento chilometro dopo l'altro, ci stampiamo negli occhi le immagini di epici combattimenti tra maschi di elefante a zanne affilate, giraffe che sembrano sfottere il resto della fauna mangiando le foglie da alberi altissimi e giganteschi alberi di cactus che stoicamente resistono alla calura.
Rogers Allers e Rob Minkott, i registi del cartone "The Lion King" di più di 20 anni fa che ho recuperato su Wikipedia, non hanno inventato niente. Ciondolati a destra e a manca sembra quasi di sentirne la musica.
E' una giostra che vaquesta vita chegira insieme a noie non si ferma maie ogni vita lo sache rinascerà oh! oh!in un fioreche fine non ha
Ivana Spagna - Il Cerchio della vita(Il Re Leone soundtrack)
E' tutto magnifico, ma Akuna Simba.
Sulla strada del ritorno, con le pive nel sacco, Daniel - credevo si fosse appisolato - si irrigidisce, fa segno di procedere piano e, quando siamo ormai molto vicini, indica un grosso termitaio sul ciglio della strada. La prima cosa che vedo sono dei grossi denti affilati.
I leoni, c'è da dire, si mimetizzano bene. Questa qui davanti, per esempio, è un gigantesco gatto marroncino che riusciamo a distinguere solo adesso che ci siamo quasi andati a sbattere contro.
Spegniamo il motore della macchina per non fare rumore. A tre metri da una leonessa a caccia, con un ranger che immagino possa impiegare circa 2 minuti di orologio ad imbracciare un fucile che sembra un residuato bellico, mi chiedo se è una buona idea.
I leoni - mi dico baldanzoso, come in una filastrocca - molto raramente attaccano l'uomo. Sarà anche vero, ma c'è un istante in cui ti specchi in questi occhi gialli e inespressivi, vedi una lingua rosa che si lecca i baffi (non è sempre bello quando i modi di dire trovano un raffronto nella vita vissuta?) e ti ricordi che tra il tetto della macchina e questo animale che ti può uccidere in almeno dieci modi diversi non ci sono le sbarre di ferro come al Parco delle Cornelle di Valbrembo, solo tre o quattro metri di aria torrida.
Dopo lunghi minuti in cui il silenzio è rotto solo dai click delle macchine fotografiche, avanziamo qualche metro, abbastanza da scoprire che dietro il grosso termitaio c'è un grosso leone maschio, accucciato tra la vegetazione con il trucco e parrucco da cartone animato al completo: folta criniera, lunghi baffi e immensi canini. "Mufasa!" esclamo stupito.
Daniel sembra molto contento, dice che siamo davanti a una cosa molto rara e nell'ordine ci racconta che la leonessa sta lì sopra per scrutare i bufali all'orizzonte aspettando il momento adatto per attaccarli, che in realtà è incinta e partorirà tra 5 giorni (deve aver frequentato un corso elettivo in "Età gestazionale dei grossi felini"), che i due leoni stanno insieme per pochi giorni durante l'amore per concepire i piccoli. Nel frattempo la regina, con calma elegante, scende dal trono, strofina il muso sulla spalla del marito e tutti e due si allontanano a passi lenti nell'erba alta. Se stiano andando a cacciare, partorire o fare l'amore temo non lo sapremo mai. Ma che battuta di caccia!
Bang bang.

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