È inutile accanirsi, è inevitabile: prima o poi, tutti i giorni, si finisce a parlare di Ebola.Questo spicchio di mondo chiamato Gulu, insieme vicino e lontano da una delle peggiori epidemie della storia moderna, è isolato solo in apparenza.Come uno scoglio nel mare, si erge un pó fiero del suo passato in prima linea, orgoglioso eppure esposto a tutte le intemperie di sorta, a cominciare da quelle mediatiche. Leggere ogni mattina, davanti alla tazza di the, che le vittime delle febbri emorragiche sono destinate ad aumentare esponenzialmente nei prossimi mesi, non è esattamente quello che succede in ogni pubblicità del mulino bianco che si rispetti.
Se anche uno non accendesse le notizie (perché siamo in un mondo in cui ormai il giornale non si apre, si accende) basterebbero gli ospiti di questa guesthouse immersa nel verde che, giorno dopo giorno, assomiglia sempre di più a una casa del grande fratello. Una delle prime edizioni, però.Come ogni porto di mare che si rispetti, si vive con l'incognita di non sapere chi ci siederà di fronte a cena, anche solo per un paio di giorni. Una strana famiglia allargata, talora premurosa e presente, ma composta da membri intercambiabili a cui, in fin dei conti, forse conviene non affezionarsi troppo.Tutti, dal più al meno esperto in materia di epidemiologia, malattie infettive e affini, si mordono la lingua per lunghissimi minuti di spasmo finché, non potendo più resistere, esplodono quelle 5 lettere che, fino a qualche mese fa, potevamo sembrare giusto il titolo di un best seller alla Michael Crichton: Ebola.Solo tre sillabe, che peró imperversano nei cartelli educativi appesi in ospedale, nelle chiacchiere della gente, sulle pagine di giornale e nei messaggi di chi mi scrive da casa.
Stasera, per esempio, dopo una lunga chiacchierata partita con lo scopo dichiarato di diminuire il livello di ansia e terminata inesorabilmente con l'effetto diametralmente opposto, ogni singolo starnuto si sarebbe tramutato in segno inesorabile del temibile contagio."Isolamento", "virulenza", "esposizione", "guanti" e cento altre parole delle quali la nostra lingua da occidentali imbottiti di antibiotico tenta da anni di fare a meno, tornano a riaffacciarsi così rinvigorite qui, dove le stelle sembrano grosse il doppio del normale, quasi tutte le sere manca la corrente e le punture lombari di fanno senza anestesia.
Verrebbe la tentazione di cedere al panico. Ma poi c'è la Nile, questa birra da mezzo litro che, non più abituato all'alcool, mi fa diventare euforico nel giro di 5 minuti; ci sono i Ciapati, piadine fritte che riempio di peperoni in agrodolce e accompagno con un po' di salame che viene da lontano; ci sono una serie di ospiti inaspettati in grado di stravolgere qualsiasi serata. Si chiamano Raffaella, Tiziano, Lucio, Luciano, Franco, Francesco, Adriano e sono italiani."Se per caso cadesse il mondo, io mi sposto un pó più in là", da verso sgangherato diviene filosofica panacea di tutti i mali.Karaoke e salame, la ricetta perfetta per dimenticarsi di tutto. Persino di Ebola.