Diario di altre vacanze. Di quelle che non stiamo facendo.

Da Fededragogna
Volo MilanoTokyo gennaio duemilasette
Marco Polo del cazzo. Vedo la Cina. Neve sui finestrini. Una landa desolata, una risaia abitabile poi. L’occhio non si chiude, anzi si chiude e vede solo palpebra. Non si può volere non volere. Questo succede già con te. E ora col dormire.
Di fianco, una coppia di flashati a mandorla ronfa in mille posizioni.
Ha ciabatte d’ordinanza. Lei la mascherina anche. L’aria svampita, la macchina fotografica come prolungamento del tronco e del viaggiar volgare: tutto un trucco. Sono lucidi, paranoici e attendisti. Ma lucidi.
Posso stare immobile 12 ore su una poltrona con le ginocchia in bocca e tre soli bicchieri d’acqua in dotazione. Posso soffrire la sete per educazione.
Sono pronto per il peggio, datemelo. Spazio più stretto e meno acqua.
Quella di fianco ha fatto colazione, poi si è rimessa la mascherina. Si liscia i capelli e parla col marito.
I viaggi lunghi in aereo sono come quelli in carrozza. Sale solo chi se lo può permettere ma quando si scende si è tutti più brutti, più sporchi, più sciupati. Come in film in costume, che vorresti poter sentire l’odore, il loro odore, per capire veramente di cosa si parla.
Imparare a odiare potrebbe essere una delle chiavi per cominciare a scrivere.

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