Quello che segue è la sesta ed ultima parte del Diario di Don Lino pubblicato nel luglio 2005.
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"....... Sono come un novizio impaziente di entrare nel luogo del Mistero, della promessa."
26 febbraio 1998
Oggi, per la seconda volta (e sarà certamente l'ultima), ho introdotto il Ritiro ai Preti della diocesi. Avevo scelto 1 Cor 1 e 2. La Croce! Mi sono trovato nella più completa debolezza. La parola incespicava... il pensiero si smarriva... il fiato mancava... Niente di drammatico per me, parkinsoniano, ma non per l'uditorio, immagino. Non conosco ancora la reazione di Mons... che si è presa la responsabilità di darmi questo incarico, pur conoscendo la mia condizione di salute... Non conosco la reazione dei confratelli, ma alcuni segnali mi sembrano eloquenti.
15 marzo 1998 Anche oggi, nella Messa, e in particolare all' omelia (preparata con cura) grave difficoltà a parlare distintamente: le parole si inceppano, si accavallano. Poi, man mano che il discorso procede, e i muscoli si irrigidiscono, il respiro è sempre più contratto. Ho finito la Messa umiliato, con un senso quasi di colpa nei confronti della gente, qui convenuta e che ha diritto ad un adeguato nutrimento, che io non sono riuscito ad offrire. A livello cosciente aderisco a questa situazione con fede convinta nel mistero della debolezza. Eppure avverto, anche in questo sentirmi sconfitto, una non completa accettazione della mia realtà, il permanere di resistenze sottili, di attese, non dominabili al momento, che dimostrano quanto lungo e lento sia il cammino della piena liberazione dal mio io.
I 6 marzo 1998 Immagine del vetro La mia situazione mi si è definita con l'intuizione del vetro. Più il vetro è se stesso, cioè trasparente e pulito... così da lasciar vedere attraverso se stesso il paesaggio circostante, e meno "si fa vedere". Meno il vetro è se stesso perché sporco ed opaco, così da non lasciare passare la luce, e più "si vede". Avverto la spinta/chiamata e l'esigenza dello spirito a lasciar trasparire Dio attraverso tutta la mia vita. Ma sono/mi sento ancora troppo protagonista, non del tutto dimentico di me. E questo anche con me stesso. C'è ancora interferenza di me tra Dio e me e tra Dio e ogni altro (persona o avvenimento).
20 marzo 1998 Buon uso della malattia Devo vigilare per un buon uso della malattia. Non limitarmi a combatterla e accettarla. Non limitarmi a lavorare con quanto mi resta di sano. La malattia è un modo di essere diverso, dove il limite/negativo dà al tutto della persona una fisionomia nuova. Il colpo di scalpello che toglie una scaglia di marmo dà alla statua un tratto nuovo. È un negativo-positivo. La malattia è una scuola, tutta da imparare. La malattia è una disciplina, cui ubbidire. La malattia è una "offerta" specifica, accanto alle altre offerte, da offrire. Se chiude alcune strade/possibilità, favorisce la concentrazione dell'essere su quelle che restano aperte. Man mano che avanza e riduce il "fare", diventa una crescente spinta nella direzione dell'essere.
26 marzo 1998 Mi ritrovo attratto da vivissimi interessi culturali e sollecitato a raccogliere materiale, come se avessi vent'anni. E, invece, il tempo si è fatto breve. Avverto l'urgenza di concentrarmi su ciò che mi è dato da vivere, per non sciupare quel "porro unum" che nessuno può fare al mio posto.
03 aprile 1998 Non dovrei stupirmi eppure mi stupisco nel sorprendermi nel mio io/egoista ancora cosÌ sottilmente resistente. Mi sorprendo "luciferino" nel senso letterale della parola, cioè con la voglia, l'ambizione, la speranza di essere portatore di luce. Di essere ed avere qualcosa di esclusivo da far valere, da affermare, qualcosa di mio, di "io", che non debbo a nessuno... che mi distingua dagli altri, che garantisca una mia esclusiva superiorità. Mi sorprendo disposto a tutte le umiliazioni pur di poter salvare questa mia esaltazione... Indubbiamente ciascuno di noi è un soggetto unico, irriducibile... La fede cristiana mi ha fatto scoprire che non sono un ruscello che finisce, scomparendo, nell'oceano... Ma chi o che cosa mi costituisce nella mia unicità: l'atto luciferino di affermarmi come "microassoluto" (esponendomi ad essere alla fine un "tizzone fumigante"...) o il riconoscimento di essere "stato fatto" da COLUI CHE È? La mia verità è di essere specchio o vetrata, che esalta e colora la luce che riceve ma che non produce.
11 maggio 1998 L'errore più grande... anzi, la stupidità suprema, il peccato... nell' esperienza della malattia, tanto più se irreversibile, è di pottarla ripagandosi con piccole compensazioni. Proprio perché è questione seria, la malattia inguaribile va assunta con totale rigore di vita.
02 agosto 1998 Reale ésperienza di piccolezza. In questo primo giorno di convivenza estiva con Fede e Luce, si è accentuata la mia difficoltà nel parlare. La lingua si inceppa in modo grave. Questa nuova situazione mi pesa: mi vedo nell'impossibilità di comunicare normalmente con le persone, ma soprattutto di esplicare l'annuncio della Parola. Questa esperienza mi fa toccare con mano quanto cammino c'è da fare per vivere con fede e verità la propria debolezza. Mi sono sorpreso a pensare rivalse non divine ma umane mie, tipo: sorprendere con "pagine illuminanti"... con efficacia inattesa... (ma come opera mia!) quanti dicono o pensano: "Poverino!". Mi rendo conto che la "piccolezza" reale, sperimentata come sproporzione, quando si ha ancora un compito o un ruolo, o come totale insignificanza, quando non si è più niente... tale piccolezza, per essere assunta positivamente e non per rassegnazione, esige un assoluto intervento della grazia.
l 3 ottobre 1998 Dimissioni accolte Il nuovo Vescovo, Mons... accetta le mie dimissioni. C'è solo da precisare le modalità.
02 novembre 1998 Rigore Ho scritto al Vescovo, comunicandogli la mia opzione per il Seminario. Non ho né dubbi né particolari timori per questa scelta. Piuttosto avverto l'esigenza/spinta/attrattiva di affrontare la nuova vita, quando sarà e se sarà, con un criterio di rigore perché non si risolva in una operazione di tutto comodo. Il tempo che mi sarà dato, se mi sarà dato, è più che mai prezioso anche perché è l'ultimo. Non posso e non debbo buttarlo. Come chi è impegnato in un apostolato attivo si spende tutto in/per esso, così (anzi... più e meglio) io sono chiamato a fare nell'apostolato inattivo.
03 novembre 1998 Sono come un novizio impaziente di entrare nel luogo del Mistero, della promessa. Non sto seguendo un sogno ma obbedendo ad un richiamo, ad una combinazione di avvenimenti interiori ed esteriori. Ancora una volta un passo della S. Scrittura mi fa da stella (Fil3,13-14): .:. "Dimentico del passato", che - in realtà - è ancora ben presente, ma senza attaccamento o presunzione di tentare un bilancio: i conti si fanno alla fine... ma chi li fa? Voltarsi indietro non è, forse, morire impietriti? Tirarsi addosso il giudizio: "non sei degno di me?"; .:. “proteso verso il futuro", che ignoro nella sua quantità e qualità ma che so determinato dalla Tua presenza e giudicato dalla Tua misericordia; .:. "corro verso la meta". M'interessa la porta che si è spalancata e l'invito rivoltomi: "Entra".