di Donatella Piazza
Ed è proprio a 31 anni suonati che la mia nuova vita comincia. Anni fa pensavo che una frase del tipo “non è mai troppo tardi” era un qualcosa da pronunciare quando i capelli si tingono di grigio e le rughe si impossessano di quello che un tempo era un qualcosa di liscio o roseo. E invece…
È stato un giorno qualsiasi di luglio, di quei luglio dove a Palermo fa così caldo che sfogliare le pagine di un quotidiano diventa informazione mista a refrigerio. In questo fresco quotidiano scopro che a Palermo c’è la fabbrica dei croupier. Solitamente alla parola croupier segue una faccia interrogativa, di quella con uno dei due occhi mezzo chiuso, e poi i più audaci azzardano un “Aspetta, di preciso cosa fa un croupier?” Ovviamente una buona fetta sa cosa è un croupier e nell’ordine commenta come segue: miii figo, come i film di James Bond; ma allora poi scopri il modo per vincere e ce lo dici e facciamo un sacco di soldi; ma non sarà pericoloso? Riporto quanto detto in precedenza solo dopo uno studio compiuto in una popolazione con fascia di età compresa tra i 20 e i 70 anni e di diversa estrazione sociale.
Ebbene, semplicemente un croupier, o dealer, lavora in un casinò, sta dietro un tavolo verde e “offre” al cliente il servizio del gioco. Roulette, black jack, poker three card. Sorride, sempre educato, ben tirato e sa essere gentile e paziente anche con il cliente arrabbiato. Si sa al gioco si vince e si perde e se tu offri qualcosa sarai sempre responsabile del servizio offerto. E se la pallina gira, sei stata tu a lanciarla e sei stato tu a distribuire le carte vincenti o perdenti che siano. Come un fruttivendolo che vende la sua frutta non è stato lui a produrla ma ne è responsabile della vendita.
E così inizia la mia avventura: visto che la ruota non girava, ho deciso che l’avrei fatta girare io, quella della roulette; visto che la vita è fatta di scale io ho deciso di affidarmi a quella reale, in tutti i sensi. Sarà la patria di Sua Maestà Elisabetta II di Inghilterra, e uno dei centinaia di casinò che affollano la Gran Bretagna, a darmi asilo.
È alla fine dei tre mesi di corso che arriva l’interview via skype con un manager di un famoso casinò. A proposito, se andate in Inghilterra pronunciatelo senza l’accento; con l’accento indicherete esattamente quello che intendiamo noi senza accento.
Arriva l’esito positivo al colloquio e arrivano i dieci giorni per organizzare una nuova vita. Ed ecco che con un volo low cost, trenta chili a disposizione e una nuova vita davanti inizia la mia avventura a Birmingham – United Kingdom.
Si sa, trenta chili sono nulla per affrontare una nuova vita, il freddo polare e un paese dove non esiste il caffè espresso. Così, spazio alle priorità: caffettiera e scorta di Lavazza, qualche maglione pesante, due o tre libri e, filtrando filtrando, si arriva all’essenziale. Per il resto, c’è Primark.
Ma sono efficienti e tutto si risolve, la casa regge ancora e il piumone riscalda anche troppo. Quindi se comprate un piumone livello quattro ricordatevi di comprare un pigiama estivo, perché il riscaldamento funziona di continuo.
Uno dei pochi disagi del vivere in Inghilterra è la presenza dei due rubinetti nel bagno. Passi la guida a sinistra, che ti abitui pure al fatto che sembra stia guidando un cane o l’uomo invisibile; passi per l’assenza del bidet; passi per la maionese nell’insalata; ma i due rubinetti nel lavandino sono proprio scomodi. L’ingegno però arriva anche lì e facebook mi fa da maestro, con la bottiglia inserita tra due rubinetti a farne miscelatore. Perché i primi giorni l’idea era: mano destra primo rubinetto, mano sinistra secondo e hop hop, uno due uno due, fino a raggiungere una sorta di equilibrio fondamentalmente inesistente, allenamento pesante ogni mattina.
E così adesso la mia vita è qui. Ogni giorno vedo la gente che scambia soldi, gioca, vince, perde. In un solo minuto vedo puntato su di un piccolo quadrato l’equivalente del mio stipendio e spesso anche il doppio o il triplo, lo vedo scivolare via con una puntata non vincente, guai a dire perdente. Vedo la speranza negli occhi del giocatore, lo vedo ansioso seguire la pallina, lo vedo gioire, lo vedo disperato svuotarsi le tasche o riempirle. Gli regalo un sorriso e quando lancio la palline e dico “place your bets”, posizionate le vostre scommesse, penso che io la mia scommessa l’ho già vinta. Il rumore della pallina accompagna i miei pensieri. Gira veloce, poi si ferma. Qualcuno ha vinto. Calcoli, statistiche per alcuni, ma in realtà semplice casualità, la ruota gira. Fate le vostre scommesse ancora una volta che io la mia l’ho già vinta. Ed una volta a casa, quando il turno è finito, c’è sempre un bel piatto di pasta a ricordarci che siamo figli di mamma Italia, adottati dalla Zia Inghilterra.
Donatella Piazza ha fatto una scommessa e l’ha vinta. La sua storia, come tante altre, è il perfetto esempio di come la sconfitta di un’intera terra si possa trasformare in un successo personale. Volando da un’isola all’altra, dalla Sicilia all’Inghilterra, ha cercato e trovato l’opportunità di una nuova vita (lavorativa). Questa è la prima puntata del suo diario.