Diary

Creato il 18 febbraio 2014 da Narratore @Narratore74

Formato: Brossura
Lunghezza: 287 pagine
Prezzo: 7,00 €
Lingua: Italiano
Autore: Chuck Palahniuk
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Sinossi
(dalla quarta di copertina)
Da quando ha sposato Peter, enigmatico compagno di corso alla scuola d’arte, Misty è venuta ad abitare sull’idilliaca Waytansea Island. Ora Peter, dopo un oscuro tentativo di suicidio, giace in coma all’ospedale. E Misty tiene questo diario – come facevano le mogli dei marinai costrette a lunghe separazioni dai mariti – per quando (semmai) tornerà alla coscienza.
Ma basterà questo a tenere lontane le ombre, a separare il dolore dalla rabbia permettendo alla logica di fare il suo sporco lavoro?

Impressioni
Che dire?
Ormai mi sono fatto una certa esperienza con le opere di Palahniuk e l’unica cosa certa è che non esistono certezze.
Quando si prende un suo libro ci si deve aspettare di tutto, senza mezzi termini, e questo Diary non fa eccezione.
Un romanzo a tratti complicato, soprattutto per il suo modo contorto di affrontare un tema come l’arte in maniera disturbata e cinica (nessun artista può considerarsi tale se non soffre le pene dell’inferno), ma che riesce, con non poche provocazioni, a demolire i preconcetti che siamo abituati ad avere nei confronti della società moderna.

Ammetto che è stata una lettura difficile, più di altre, e spesso mi sono ritrovato a chiudere il libro per riflettere su concetti e frasi che avevo appena letto.
Aspetti come la tristezza, il dolore, la rabbia, sono qui dipinti con una crudeltà che spiazza, che intontisce fino a portare il lettore verso il ciglio di un buco nero da cui è possibile sentire il tanfo del degrado e della disperazione. Impossibile non venir trascinati, fosse solo per un breve momento, nella mente dei personaggi, Misty per prima, il cui compito è avvolto da un alone sporco e sudicio.

Il confronto, l’ammissione di non essere al livello di chi prima di noi ha calcato lo stesso sentiero, è forte, se non fosse che si tratta di uno scontro impari.
L’arte vista come un essere vivente, che si nutre di dolore e di tutto ciò che è considerato male, solo ed esclusivamente per avere in dono una piccola parte di ciò che è davvero il talento. Ma al tempo stesso l’arte è il metro di paragone con cui valutare un’intera società, con i suoi lati oscuri, le sue leggi ingiuste e la logica contorta che risiede negli animi di chi cammina su questa terra.

Tralasciando per un attimo le sue care ambientazioni urbane, così cariche di disprezzo da esserne sature, Palahniuk ci travolge con qualcosa di nuovo, che sconfina nell’horror e nel grottesco, in un caleidoscopio di brutture e deliri degni di un visionario del secolo scorso.
Il personaggio di Misty è perfetto nella sua lotta contro l’accettazione di una vita mediocre, una vita che si è scelta suo malgrado e che l’ha portata dove non sarebbe mai voluta essere. Il suo è un viaggio in caduta libera, sospinta da un vento teso e scuro che promette di essere marcio fino all’osso e ripaga con l’avverarsi degli incubi peggiori.
Una lotta contro un destino, contro una volontà superiore che esiste da molto prima di lei e ancora le sopravvivrà, in un circolo scandaloso di violenze psicologiche e traumi insuperabili.

Non mi sento di consigliarvi la lettura.
Non perché il romanzo non meriti, anzi. Ma dovete sapere che leggerlo porterà solo a due naturali conclusioni: o lo amerete, e allora le mie preoccupazioni saranno state inutili, o lo troverete pessimo, al punto da rischiare di non terminarlo.
Io sto caldamente nel primo gruppo ma non posso certo parlare per tutti.
Sappiate solo che leggere Palahniuk non è mai una bella esperienza per il vostro stomaco, e stavolta lo è ancora meno.
Fidatevi.


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