Scherma e nuoto in chiave azzurra, due facce diversissime della stessa medaglia. Le Olimpiadi di Londra hanno confermato che lo sport del fioretto e della sciabola gode di ottima salute nel nostro Paese. L’Italia va fortissimo. Praticamente, da sempre. Da Mangiarotti alla Vezzali, passando da altri fenomeni che hanno raccolto gloria e medaglie in giro per il mondo, fino ai Giochi britannici in corso: azzurri sopra tutti con 7 medaglie, 3 ori, 2 argenti e 2 bronzi. Quando sale in pedana un atleta italiano, gli avversari sanno di rischiare tantissimo. Questione di tradizione, di percorsi che promettono traguardi straordinari e che per questo vengono rinnovati di volta in volta, senza soluzione di continuità.
Discorso diverso invece per il nuoto tricolore, che a Londra ha toccato il fondo della piscina per risultati e prospettive, e che non sembra trovare la strada per proporsi in modo importante nelle occasioni che contano davvero. Federica Pellegrini a parte – strepitosa interprete di quasi un decennio di successi che si sono interrotti, come è noto, nella disperatissima spedizione inglese – il nuoto di casa nostra non è mai riuscito a proporsi ad altissimo livello alle Olimpiadi. Il caso di Syndey 2000, sei medaglie e un’avventura da consegnare alla memoria delle cose più belle di sempre per numeri e protagonisti (Fioravanti e Rosolino su tutti), rappresenta, di fatto, l’eccezione che conferma la regola. Qualcosa non funziona. Non ancora, non più. (…)
La scherma italiana funziona da tempo. E’ un perfetto meccanismo che gira a meraviglia, con logiche e strategie che hanno dimostrato di valere tantissimo. Come dire, squadra che vince non si cambia. Ma perché loro sì e gli altri no? Qual è il segreto del successo della scuola schermistica azzurra? «Abbiamo un modello organizzativo che funziona – racconta a ilsole24ore.com Paolo Azzi, capo spedizione italiano a Londra 2012 e vicepresidente federale -. La nostra scelta, che non molti altri fanno, è di avere tante scuole sparse per il territorio. Il vertice del movimento non ha quindi base in un centro federale, come fanno tantissime altre federazioni. I nostri atleti hanno provenienza e maestri diversi e crescono in contesti diversi».
«Con tutte le difficoltà immaginabili per un approccio come questo, è una scelta che aiuta a valorizzare i giovani e a trovare nuovi talenti. E’ un sistema che a volte ci hanno criticato, soprattutto nei momenti più difficili. Ma i risultati confermano che la strada è quella giusta. Poi, naturalmente, c’è una qualità tecnica che viene addestrata da maestri che continuano ad aggiornarsi. Ecco perché da anni riusciamo a rimanere ai vertici della scherma internazionale». Sembra facile, tante scuole sparse sul territorio con un coordinamento centrale che non interviene sui modi e sui tempi della preparazione.
Se funziona, e funziona, lo dicono i numeri, perché non replicare questo modello vincente nelle federazioni che hanno bisogno di riprogrammare il loro futuro? Dice Azzi: «Non so se questo modello possa essere trasferibile ad altre federazioni, sarei presuntuoso se dicessi una cosa simile. Quello che posso dire è che le tante scuole sparse per l’Italia ci aiutano tantissimo a dare forma a un progetto vincente. E vario, eterogeneo. Sì, perché questo sistema ci permette di non appiattire le cose, di poter contare su sistemi e metodi di lavoro molto diversi tra loro eppure funzionali ed efficaci. In questo modo è anche più difficile che si esaurisca la spinta propulsiva nella produzione di nuovi atleti».
Dibattiti ovali – E se la soluzione per il rugby arrivasse da un colpo di fioretto?
Creato il 07 agosto 2012 da Ilgrillotalpa @IlGrillotalpaPossono interessarti anche questi articoli :
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