Protagonista e io narrante è un uomo la cui giovinezza è una scoperta tra i sudari di una fine prossima. Una fine tra le altre, s'intende, adagiata su un soporoso e saporito pagliericcio siculo, presto pronto a raccogliere altri analoghi spettri. Attraverso la sua lingua riottosa a ogni freno, compiamo un viaggio che ignora la reticenza tra le coltri di una malattia tutta sintomi e cromatismi, nomi e storie, senza una cura e con un unico improbabile demiurgo.
Mariano Grifeo Cardona di Canicarao, separato, abita con i suoi pazienti nel sanatorio e impartisce loro tutti i riti dell'arrivare e del dipartire. Si abbandona, è vero, a improbabili vanità dialettiche e a ludico versificare, ma nessuno osa mettere in dubbio il suo ieratico e capriccioso privilegio di smistare previsioni di morte e di vita. Prestigiatore tra i suoi balocchi, il Gran Magro - come viene chiamato, con asimmetrico ossimoro - segna le stagioni, passa tra i suoi pazienti più o meno col passo dinoccolato di don Chisciotte tra le sue storie, certo del prossimo arrivo di un'altra, per via di un male inesauribile.
Ma quello filosofico non è l'unico versante sul quale si disperde il nostro drammatico protagonista: c'è l'incontro taciturno e poi complice con la spiritualità un po' problematica di padre Vittorio e naturalmente c'è l'amore. Marta, ex ballerina, risiede anche lei nel sanatorio alla Rocca, ma naturalmente nell'altra ala, protetta da una residenza di suore, da un segreto che tiene per sé e dalla sua fine così prossima. Tuttavia, questo passato misterioso e questa carne così provata dalla vita, e dalla morte, non è irraggiungibile. I due si leggono e si ascoltano nei messaggi di un bambino che la malattia ha colpito tanto da non renderlo più problematico in termini di contagi o di aggravio: la fine è segnata. E se l'amore tra i nostri Piramo e Tisbe (divisi - più che uniti - dal loro sesso) resiste, è solo perché entrambi credono: l'uno nel nome della vita, l'altra nel segno della morte.
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