Dies Irae: ossia angeli caduti e fanatismo popolare

Creato il 12 ottobre 2011 da Aleister94

Nel 1976, il ragionier UgoFantozzi (Paolo Villaggio), nel secondo film dedicato alle sue disavventuregirato da Luciano Salce, era costretto, secondo quanto rivelato dalla vocenarrante, a recarsi ogni settimana in ditta per ordine del direttore ProfessoreGuidolbaldo Maria Riccardelli, appassionato di cinema d’essai, per assisterealla proiezione delle sue pellicole preferite. Chi conosce il film, sa benecome ad un certo punto il Ragioniere per antonomasia salga sul palco durante ildibattito e lanci il potente grido liberatorio: “Per me, la corazzata Kotiomkin(ossia la corazzata Potemkin, nda) è una CAGATA PAZZESCA!”, seguito subito dopodagli iperbolici “novantadue minuti di applausi”. Tuttavia, il capolavoro diEjzenstein non è il solo ad essere preso di mira da Paolo Villaggio, nella suaindomita rabbia contro un determinato tipo di cinema. A finire sotto accusasono anche “L’uomo di Aran” di Flaherty e “Dies Irae” di Carl Theodor Dreyer. Èsu quest’ultimo che concentreremo la nostra attenzione. Carl Theodor Dreyer è stato unodei maggiori cineasti della storia. Di origine danese, ha confezionato diversicapolavori, che giustamente rientrano nella definizione di cinema d’arte erappresentano, insieme ai film di Kubrick, Kurosawa, Bergman, Fellini e pochialtri, alcuni dei rari esempi in cui il cinema si realizza pienamente comearte. Dopo l’esordio, l’affermazione con film muti, tra cui lo splendido “Lapassione di Giovanna d’Arco” e una crisi di critica e botteghino, nel 1943arriva Dies Irae, il primo dotato di dialoghi. Lungi dalla spropositatalunghezza attribuita da Fantozzi-Villaggio, il film ha una durata abbastanzabreve (poco più di un’ora e mezza), eppure è così denso e ricco di contenuti dasembrare più lungo. La storia è ambientata in Danimarca, nel 1643: lospettatore non si ritrova dinanzi una corte principesca, un florido villaggio oquelle componenti tipiche dei film in costume, specie sul Seicento, cosìconcentrati sulle vicende di cappa e spada della più aristocratica nobiltà. Lavicenda si svolge tutta in un villaggio dal sapore medioevale,nell’ambientazione come nei costumi e nelle usanze, un paese in cui ancoraardono i roghi delle streghe e l’Inquisizione fa da padrona. Absalon, unpastore protestante, è sposato con Anne, figlia di una donna sospettata distregoneria e che proprio Absalon, pur essendo membro dell’Inquisizione, salvòdalle fiamme del rogo per amore della moglie, molto più giovane di lui. Il rogodi un’anziana donna, anch’essa sospettata di stregoneria, e il ritorno a casadel figlio di Absalon segneranno l’innescarsi di una nefasta serie di eventi.La storia è pervasa da una forte ambiguità. Fino all’ultimo non è chiaro se ledonne protagoniste del film siano veramente in grado di padroneggiare poterimalefici o se siano semplicemente vittime della follia e della suggestione delpopolo. A ciò contribuiscono i lunghi silenzi, gli sguardi, i giochi di luce eombra che accompagnano le entrate e le uscite di scena dei protagonisti, idialoghi spezzati che sembrano avere più di una possibile conclusione, lastoria in sé. Dreyer crea un affresco storico veritiero, a tratti duro egrottesco, in cui sembra di sentire echeggiare le parole del Dies irae, la piùinquietante delle preghiere della liturgia cristiana, che dà il titolo al filme che è recitata nella scena iniziale e in quella finale dalla voce fuoricampo. A visione ultimata, ne viene fuori un mondo destinato alla dannazione:la linea di demarcazione tra salvabili e dannabili è così sottile da essereinesistente, ognuno dei personaggi sembra essere destinato al fuoco eterno. Nonè possibile riscontrare un solo personaggio positivo: persino Absalon,fondamentalmente buono, non suscita compassione alcuna. Avviene così che Dreyertracci dei profili psicologici carichi di forti ambiguità, tormentati, ricchidi conflitti mai sanati, figure schiacciate dal peso della colpa e dal comunesenso del peccato, che domina l’epoca dei roghi. Su tutte, spicca la figura diAnne, angelo tormentato del focolare, anima sensuale e dannata, moglie timorosaeppure repressa, amante innamorata e sfrenata. Dreyer ne traccia un ritrattooscuro, basato sulle sue apparizioni in scena e su battute in absentia, arrivando ad allestire sin dal primo minuto una sortadi processo, alla fine del quale ella diventa un angelo caduto eppure, nonostantetutto, innocente, prova ne è la sua quasi eroica uscita di scena. La scena finale, in cui Anneconfessa di essere stata causa della morte del marito a causa di un pattodiabolico e la chiusura con le ultime parole del Dies irae, non contribuisce asciogliere i dubbi dello spettatore. Diverse sono infatti le possibiliinterpretazioni: una, che è tipica del mondo protestante e in particolar modocalvinista, vede l’umanità come predestinata alla dannazione, eternamentetentata dal demonio, priva di vera bontà, ma nonostante tutto amata da Dio; unaseconda, vuole che il film sia una parabola contro il fanatismo religioso e intal caso, “Dies irae” sarebbe da collocare all’interno di un cinema impegnato,laico e libertario, moderno nel vero senso del termine; da un altro punto divista, esso sarebbe un’analisi freudiana delle pulsioni di amore e morteinterne nell’essere umano nonché nell’istituzione della famiglia. Niente, sivede, è facilmente interpretabile.Cosa dire di più? “Dies irae” èsemplicemente un capolavoro. Tematiche (che, per il modo in cui sonoaffrontate, lo rendono già sublime) a parte, le tecniche formali che loaccompagnano segnano notevoli passi avanti nell’evoluzione della settima arte:i primi piani sui volti dei personaggi sono paragonabili solo a quelli diEjzenstein nell’attenzione ai tratti somatici, alle loro contrazioni edistensioni, il gioco di luce e ombra è un espediente dai risvolti psicologicie le scene d’interni sono girate con un gusto per il buio e il claustrofobico,espedienti questi che Dreyer eredita dall’espressionismo tedesco e che fa suoi,rinnovandoli e migliorandoli, firmando così un capolavoro assoluto.
di Pippo Di Mauro.
VOTO: *****
Regia: Carl Theodor DreyerSceneggiatura: Carl Theodor Dreyer
Produzione: Carl Theodor Dreyer
Interpreti principali: Lisbeth Movin, Thorkild Roose
Anno: 1943

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