Dietro il TAP: competizione per le sfere d’influenza

Creato il 06 settembre 2013 da Conflittiestrategie

La vicenda del gasdotto TAP, già esaminata sotto vari aspetti nel blog (vedi qui e qui), merita un ulteriore approndimento. Sia per provare a definire vincitori e vinti nella competizione sul Corridoio Sud in Europa che per i riflessi sui costi e sulla sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale in Italia.

Corridoio Sud: chi ha vinto e chi ha perso

Riprendiamo da una recente dichiarazione di  Al Cook  (BP): “Il punto di partenza di TAP sarà nei pressi di Kipoi, sul confine tra Turchia e Grecia, dove si connetterà con il TANAP. Da qui, il gasdotto Trans Adriatico continuerà onshore attraversando Grecia e Albania da est a ovest sino a raggiungere la costa adriatica. La sezione offshore inizia in prossimità della città albanese di Fier e passa sotto il Mare Adriatico sino alle coste della Puglia, in Italia, dove si collegherà alla rete di trasporto italiana operata da Snam Rete Gas. La lunghezza totale della pipeline sarà di circa 870 km di cui 550km in Grecia, 210km in Albania, 100km sotto il Mare Adriatico e la restante breve tratta sul territorio italiano”.

Soffermiamoci sul TANAP – acronimo per Trans Anatolian Pipeline – che è stato il vero jolly calato sul tavolo dei vari competitori per il Corridoio Sud. Il 26 giugno 2012 il Ministero degli Esteri della Turchia rilasciava una dichiarazione secondo cui l’Azerbaijan otteneva l’autorizzazione a far transitare 10 bcm del suo gas attrraverso il sistema esistente di gasdotti turco e l’opportunità di costruire un nuovo gasdotto trans-anatolico. In parallelo si firmava un accordo per la cessione di gas azero alla Turchia. Questo accordo ha cambiato completamente il tavolo da gioco, pur mantenendo in un primo momento una fondamentale ambiguità fra uno sbocco in Bulgaria oppure in Grecia, entrambe confinanti con la Turchia. Il nuovo gasdotto TANAP dovrebbe essere pronto per il 2018.

Un successo per l’Azerbaijan che si assicurava la proprietà e la gestione del TANAP (80% a SOCAR – 10% a ciascuna delle due società turche TPAO e BOTAS), ma un successo anche per la Turchia che con questo accordo, oltre ad ottenere entrate economiche da tariffe di trasporto, tasse, approvvigionamento di gas naturale, lavoro, getta le basi per la sua futura politica energetica in Eurasia: la Sublime Porta assume di nuovo il ruolo di cerniera fra due continenti. Con un occhio a tutta la regione del Caspio, in primis Turkmenistan ma in prospettiva anche l’Iran, che non potranno che connettersi al TANAP per eventualmente diversificare le loro vendite verso l’Europa.

Ma se con la Turchia le cose erano a questo punto sistemate, l’Azerbaijan doveva ancora ottenere il via libera anche dalla Georgia per concordare le condizioni del potenziamento del gasdotto Southern Caucasus, che corre parallelo al più famoso oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyan, percorrendo circa 250 km in Georgia. Il gasdotto Southern Caucasus, che porta attualmente circa 10 bcm di gas, dovrà essere potenziato fino ad almeno 20 bcm. Gli azionisti del gasdotto sono BP (25%), Statoil (25,5%) – partners di SOCAR nel consorzio Shah Deniz – l’azera SOCAR (10%), Lukoil (10%), TOTAL (10%), l’iraniana Naftiran (10%) e la turca TPAO (9%).

E’ del tutto lecito inferire che la Russia, considerate le sue speciali relazioni con la Georgia, abbia giocato qui un ruolo concedendo a SOCAR di liberare la strada in Grecia – da qui la rinuncia a sottomettere un’offerta impegnativa per la società di gestione dei gasdotti greci DESFA – in cambio della scelta, da parte di SOCAR, del TAP, meno invasivo del Nabucco West rispetto alle scelte geopolitiche russe in Europa SudOrientale. Se è vero infatti che il primo obiettivo strategico del Southstream è aggirare l’Ucraina, il secondo è l’affossamento del Nabucco.

Dunque i vincitori netti che si delineano in tutta questa vicenda sono Turchia ed Azerbaijan, con sullo sfondo la Russia che da un parte riesce a concludere accordi di vendita del suo gas con tutte le nazioni di transito del Southstream, allontanando da loro pericolosi concorrenti, ma dall’altra deve ancora vedersela con la Commissione UE per superare le difficoltà legate alle regole di unbundling (separazione fra gestione e proprietà dei nuovi gasdotti europei).

Una definitiva sconfitta dell’ambizioso progetto Nabucco, fortemente supportato da Bruxelles, che nella sua originaria “volontà di potenza” doveva trasportare 30 bcm di gas naturale per 3900 km dalla Turchia a Baumgartner in Austria, immaginando di approvigionarsi di gas dalla regione del Caspio, Iran compreso. Ma soprattutto doveva spiazzare Gazprom dal continuare ad essere il principale fornitore di gas nelle nazioni dell’Europa sud-orientale.

Ma la strada per vendere il gas in Europa è ancora lunga. La decisione finale dell’investimento – in gergo FID – nel Corrodio Sud sarà presa solo verso la fine del 2013 e coinvolge come abbiamo visto molti attori con interessi diversi in un’area piuttosto soggetta a mutamenti sia dentro che fra gli Stati. Fra i tanti contrasti non del tutto risolti metteremo in luce quello fra BP e l’Azeirbaijan che è arrivato al suo apice nell’ottobre 2012 quando il Presidente Aliyev, a proposito di un’inatteso declino della produzione di petrolio dei pozzi azeri, dichiarò: “… le false promesse date alla società nazionale SOCAR sono inaccettabili. Nel mondo degli affari non c’è posto per tali comportamenti, è impossibile”. Al di là delle dichiarazioni, comunque insolitamente forti, la questione reale è costituita dai crescenti interessi dell’Azerbaijan a sfruttare le sue enormi riserve di gas naturale come risorsa finanziaria nazionale e geostrategica. Il che implica riuscire a posizionarsi come attore decisivo lungo tutta la catena del valore, infrastrutture comprese (vedi acquisto della greca DESFA). Il che non è del tutto in linea con la strategia di BP che deve limitare ulteriori uscite e rientrare in fretta degli investimenti fatti finora. Ogni ulteriore ritardo nella FID suonerebbe come un colpo diretto alla fattibilità stessa dell’infrastruttura. Sta di fatto che nell’azionariato del TAP, dopo la svizzera Axpo, la norvegese Statoil e la tedesca E.ON, si sono aggiunti nel 2013 l’azera Socar, la francese Total, la belga Fluxys e la britannica BP (20%).

Anche in questo caso è lecito pensare che la Russia, con cui BP ha recentemente concluso importanti accordi per lo sfruttamento di nuovi giacimenti artici ed incroci azionari consistenti con ROSNEFT, abbia giocato un ruolo nell’appianare i rapporti e non certo senza garanzie sul piano geopolitico ed economico.

Sarà quindi decisivo verificare quale sarà il prezzo del gas praticato ai suoi clienti dal Consorzio Sha Deniz (in cui è decisivo il ruolo dell’Azerbaijan)  e confrontarlo non solo con quello praticato da Gazprom ai clienti del Southstream – prevalentemente collocati nell’Europa sud-orientale – ma anche con quello del GNL in arrivo ai vari terminali europei sia dal Qatar che, in un prossimo futuro, dagli USA.

TAP: costi e benefici per l’Italia

La missione dichiarata del TAP è portare il gas azero sui mercati europei. Dunque l’Italia dovrà garantire la connessione ed il trasporto del gas azero attraverso la rete di gasdotti di SNAM RETE GAS. Ciò comporta investimenti per la nuova tratta in Puglia – dal punto di arrivo del TAP a San Foca (LE) alla dorsale SNAM –  per l’aumento di capacità della rete e per l’inversione di flusso nelle connessioni con TRANSITGAS e TAG ai confini con Svizzera e Austria. La presenza di Fluxys  nell’azionariato del TAP acquista dunque senso quando si ricordi che Fluxys acquisì nel 2011 proprio da ENI la proprietà ed i diritti di commercializzazione della capacità di trasporto dei gasdotti svizzeri (TRANSITGAS) e tedeschi (TENP). Sarà dunque la belga Fluxys a posizionarsi come principale distributore del gas in Europa sulle fondamentali direttrici sud-nord e viceversa permettendo al gas azero di essere ditribuito fisicamente in Francia, Germania, Belgio ed anche UK. A questo occorre aggiungere che secondo Al Cook (BP) il TAP è progettato a sua volta per consentire l’inversione del flusso di gas permettendo quindi, in linea di principio, di alimentare Albania e Grecia con il gas del Nord Africa, ovviamente sempre attraverso la rete SNAM. La quale ha tenuto a confermare di non avere alcun interesse ad una partecipazione nel TAP.

La retorica mainstream, recentemente alimentata anche dal Presidente del Consiglio Letta durante il suo incontro con il Presidente Aliyev, ci racconta di una storia di successo che porterà l’Italia ad aumentare la sicurezza dei suoi approvvigionamenti – mediante diversificazione delle fonti – e la competitività del suo apparato industriale – mediante riduzione del prezzo del gas per aumentata competizione fra i fornitori. La realtà è abbastanza diversa. Il gas azero disponibile per i consumi italiani – tra l’altro in diminuzione da anni con scarse prospettive di ripresa – sarà molto limitato, essendo presumibilmente per lo più bloccato da contratti a lungo termine, con altre nazioni europee, necessari per recuperare l’ingente investimento del Corridoio Sud nel quale l’Italia è completamente assente. Quanto al prezzo del gas azero, abbiamo visto come esso possa essere orientato anche – se non unicamente – da accordi geopolitici fra i quali quelli fra Azerbaijan e Russia saranno i più determinanti, visto che il Southstream è probabile arrivi ad essere in produzione prima del TAP e considerata l’evoluzione delle scelte, molto lucide e coerenti, fino a qui condotte da Baku nel proteggere i suoi interessi nazionali. L’Italia sarà dunque sì un paese di transito del gas naturale diretto verso altri importanti mercati europei – aumentando la liquidità del suo Punto Virtuale di Scambio, condizione necessaria per diventare un hub – ma che questo ne aumenti prestigio e ricchezza è tutto da vedere. Come scrivevamo nell’agosto del 2012: “La “nazione” ridotta a pura geografia, con quel tanto di compenso di intermediazione da pagare da parte di chi vuole utilizzarla per propri interessi. Destra e Sinistra a fare ammuina sulla scena elettorale ogni tanto, sull’ammontare delle tariffe che il “poppolo” dovrà pagare perché il sistema vada avanti senza troppe scosse”.

L’unico fatto maledettamente concreto e significativo resta dunque che il TAP è il primo gasdotto della storia italiana che non sia targato ENI.


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