...dietro la banalità di divieti innocui

Creato il 13 gennaio 2012 da Bruno Corino @CorinoBruno

Al filosofo Roberto Escobar...… l’anno nuovo è appena cominciato, e per fortuna ancora non sonoemerse nelle cronache giornalistiche notizie riguardanti fatti eclatanti didiscriminazione. Sì, perché in Italia abbiamo l’insana abitudine di sollevaretalune questioni soltanto quando vi sono fatti brutali da schiaffare in primapagina, allora scattano analisi su analisi, domande su domande per giorni egiorni, fino a che l’argomento si satura e quindi non si ha passa a parlared’altro…certi fenomeni vengono presi in considerazione soltanto quando hanno un che di spettacolare...…eppure, alcuni meccanismi discriminatori sono sempre inatto, quotidianamente, se non li vediamo è perché non siamo in grado diriconoscerli, e non perché non esistono…Vengono alla luce soltanto quando diventano eclatanti,espliciti, chiari ed evidenti…A quel punto, è difficile ignorarli, far finta che nonesistono e girarsi dall’altra parte…   Per provare quanto sostengo, chiediamoci ad esempio: perchénell’ultimo decennio appena trascorso sono apparse, specialmente nelle cittàdel Nord, una serie di «ordinanze» comunali che imponevano una casistica di restrizionie di divieti?Molte di queste ordinanze stabiliscono il divieto disdraiarsi sull’erba dei parchi pubblici, di lavarsi alle fontane, di farepic-nic sui prati, di dormire di notte sulle panchine…Ordinanze innocue, all’apparenza, non indirizzate, almeno inmodo esclusivo agli immigrati. Soltanto in alcuni casi si trova qualche riferimentoesplicito, ma passano del tutto inosservati…  Com’è che all’improvviso i nostri sindaci ebbero questoforte impulso all’ordine e alla pulizia? Non importa che alcune città sianoimmerse nella spazzatura, l’importante è che gli “stranieri” non usino i pratiper far picnic o che usino le fontane pubbliche per lavarsi…E sì, perché un residente non va a fare i picnic sui pratiné usa le fontane pubbliche per lavarsi al mattino…Certo, il divieto vale anche per loro, ma loro non hannobisogno di questo divieto… A cosa serve allora un divieto del genere, a chi èindirizzato e cosa implica soprattutto? Ogni divieto segnala ciò che bisogna “escludere” dal propriocomportamento per essere incluso in una comunità. Segnala ciò che non devefar parte delle proprie abitudini quando si vuole far parte di una particolarecomunità. Più i divieti, le proibizioni si moltiplicano e più si rafforza ilsenso di appartenenza all’interno di una data comunità, a un datoconsorzio umano…Vietare di servirsi di parchi pubblici vuol dire renderequei spazi non disponibili ad essere fruibili a chi non fa parte dellacomunità. Poco importa che l’Estraneo, prima dell’ordinanza di divieto, usasseo non usasse quello spazio pubblico. Prima dell’ordinanza magari l’Estraneo neancheaccedeva a quegli spazi, sebbene ne avesse la facoltà. Il problema non è saperese quegli spazi erano o non erano frequentati da quella categoria di personeappartenenti allo status di “straniero”, il problema è come si traduce questanon-disponibilità resa possibile dall’ordinanza per l’Estraneo.Attraverso questi divieti si sottrae all’Estraneo un ambitoprecedentemente disponibile. Maggiori sono i divieti maggiori diventano lerestrizioni. Maggiore sono le restrizioni maggiori sono le possibilità di poter individualizzare l’Estraneo. L’aspetto più importante da cogliere sta proprio nelfatto che più si riducono gli ambiti per il Sé altrui più lo si identifica. Lo si identifica non comepersona, bensì come categoria sociale, vale dire come “emarginato”, come“estraneo”…Ogni divieto segnala un’alterità o una differenza:vale a dire ha la funzione di rimarcare i comportamenti o gli agenti che sonoestranei a quel determinato ambito. Perciò divieto pone una presa didistanza rispetto all’altro, a chi è diverso, è estraneo. Senza divieto cisarebbe “assimilazione”, indifferenziazione… Lo stesso accade se non ci fossero confini artificiali…D’altro canto, anche chi è il bersaglio dell’ordinanza deverispettare la regola: l’ambito deve essere percepito come estraneo al proprioSé, e quindi deve rendersi consapevole che per essere ammesso dovrebbe assimilarsial punto di vista di chi ha posto la regola. Detto in altri termini, la regolaescludente serve ad affermare la diversità dell’altro rispetto al proprio Sé. Spesse volte la motivazione che accompagna un divieto o unaproibizione di questo tipo fa uscire allo scoperto la rappresentazione che siha dell’altro o, come ho detto, si tenta di farlo rientrare nella categoria acui si crede che l’altro appartenga. Se una ordinanza vieta agli stranieri diusare i parchi pubblici per motivi di “ordine pubblico”, siamo di fronte a unaregola escludente e discriminante: l’essere straniero è uno status, non è unascelta; e questo status viene descritto e percepito come un potenziale pericoloper la comunità, cioè secondo la categoria appropriata per identificarli cometali…