Un libro ci racconta chi sono i veri organizzatori del “viaggio della speranza”
“Un network flessibile e refrattario alle più sofisticate investigazioni” capace di smuovere “una montagna di soldi”: così viene descritto lo “smuggling”, ovvero il traffico di migranti, nel libro-inchiesta “Confessioni di un trafficante di uomini” del criminologo Andrea Di Nicola e del giornalista Giampaolo Musumeci.
Gli autori hanno percorso le principali vie dell’immigrazione clandestina, dall’Est europeo al Mediterraneo, parlando con gli artefici del commercio umano. Nel libro vengono descritte le modalità operative e le varie fasi del “viaggio della speranza”: “il reclutamento, il trasferimento e l’ingresso nel paese di destinazione”, nonché i vari metodi di comunicazione utilizzati per non lasciare tracce, come il “sistema hawala” che si basa “su una rete di dealer, gli hawaladar, e sulla fiducia. Il denaro si muove tra due dealer, ma mai fisicamente”. Per comunicare tra loro, i trafficanti si servono invece di software come skype e di telefoni satellitari.
Uno dei maggiori punti di interesse del libro consiste proprio nel fornirci la visione dei diretti interessati, facendoci conoscere la storia di alcuni trafficanti. Ne emergono dichiarazioni a volte spiazzanti, come quella del siberiano Aleksandr che paragona la sua attività disumana a quella di Mosè, che definisce “il primo scafista della storia”.
Nel volume vengono inoltre sfatati alcuni luoghi comuni, tra cui quello che vede i trasportatori come gli artefici e gli organizzatori dello smuggling. Al contrario, gli scafisti sono solo la punta dell’iceberg di “un’industria, fatta di piccoli delinquenti, sì, a volte di miserabili, ma anche e soprattutto di grandi professionisti del crimine, di gente in doppiopetto, veri e propri uomini d’affari, il cui fatturato mondiale è secondo solo a quello della droga”. Lo scafista a volte è un migrante che si ripaga il viaggio in questo modo, mentre la gestione è nelle mani della criminalità organizzata che ha intessuto “un network globale che lucra sulla necessità di spostamento delle persone” e che frutta, secondo i dati dell’Onu, centocinquanta milioni di dollari l’anno solo per i trasferimenti dall’Africa all’Europa.
Altro luogo comune confutato, quello che vede Lampedusa come il principale punto di approdo dei traffici umani, anche a causa dell’attenzione mediatica dedicata quasi esclusivamente all’isola. Ma le mete sono tante: da Agrigento a Crotone, alla Puglia, e fuori dall’Italia la Grecia, la Turchia e in particolare l’enorme traffico che percorre i Balcani.
Un ultimo dato inquietante di cui ci avvertono i due autori, sollecitando l’Unione europea e gli Stati Uniti a una più attenta vigilanza, è l’interesse delle organizzazioni terroristiche internazionali nei confronti delle reti del traffico clandestino.
Marco Cecchini