Difendere la terra: la lotta dei maya in Guatemala

Creato il 27 agosto 2014 da Vfabris @FabrizioLorusso

[Riporto questo articolo di Marco Cavinato dal Guatemala - CarmillaOnLine]

In Guatemala le popolazioni che si organizzano di fronte agli interessi delle grandi imprese stanno frenando l’espansione dello sfruttamento minerario, idroelettrico e delle monocolture che distruggono le loro terre e la loro forma di vivere. Dal 2008 le comunità hanno raggiunto una coordinazione a livello nazionale, grazie alla quale gruppi di lingua e cultura differenti si sostengono a vicenda nelle lotte territoriali e si ritrovano unite nel reclamare con forza la Consultapopolare come diritto fondamentale per la propria autodeterminazione, lottando per il riconoscimento di questa contro una classe politica che cerca di delegittimarla con ogni mezzo. I conflitti nei territori indigeni legati alla terra e alla difesa delle risorse comunitarie in Guatemala hanno profonde radici storiche. La rivoluzione del 1944 portò a elezioni libere e democratiche che furono vinte da Jacobo Arbenz, il presidente che verrà ricordato per aver nazionalizzato buona parte delle terre del paese e averle redistribuite alla popolazione nullatenente. Le terre in questione fino ad allora appartenevano principalmente alla United Fruit Company, la multinazionale statunitense che commerciava banane e frutta tropicale in tutto il continente (l’attuale Chiquita).

Uno dei maggiori azionisti della compagnia, John Foster Dulles, era il fratello del capo della CIA: la compagnia ha avuto un ruolo e una responsabilità diretta nel golpe organizzato dal governo di Eisenhower nel 1954 che ha riportato il territorio guatemalteco nelle mani di governi fantoccio ma soprattutto delle multinazionali statunitensi. Con i governi che si sono susseguiti da allora le cose non sono cambiate.

Soprattutto negli anni settanta e ottanta, con il pretesto di una minaccia comunista e in piena Guerra fredda, i governi al potere si sono resi responsabili di centinaia di massacri, 200mila morti o scomparsi (più dell’80% indigeni maya) e 450mila sfollati: il conflitto, conclusosi ufficialmente nel 1996, ha rappresentato la fine di tutti i movimenti sociali e indigeni di protesta.

Nonostante i livelli estremi di violenza di quegli anni e la lor eredità di sangue, emerge oggi un nuovo fermento sociale che attraversa il paese: uno dei casi più emblematici è l’organizzazione dei popoli maya d’Occidente (dipartimenti di Huehuetenango, San Marcos, Quetzaltenango, Quiche, Sololá, Totonicapán) che si sta estendendo a tutto il territorio. In Guatemala sono ufficialmente riconosciute 24 etnie e 22 di queste sono di origine maya. Le ricche risorse minerarie ed energetiche del Guatemala sono sfruttate quasi esclusivamente da imprese straniere e transnazionali che, di fatto, contribuiscono a renderlo uno degli stati più poveri del pianeta. Negli ultimi decenni si è registrato un aumento significativo delle concessioni per l’estrazione mineraria, per le centrali idroelettriche e  delle monocolture come la palma africana o la canna da zucchero. Lo sfruttamento minerario, dell’energia idroelettrica e del petrolio del paese vengono riassunti dall’espressione ‘’modello estrattivista’’.

Per capire meglio come le popolazioni, attraverso la Consulta, possano sfidare l’attuazione di questo modello, ho incontrato Francisco, uno dei leader della resistenza della zona di Huehuetenango, membro del Consejo Huista (in lingua k’iché’ si scrive wuxhtaj e vuol dire fratelli) e del CPO, il Consejo de Pueblos Maya de Occidente. La zona di Occidente, da dove viene Francisco, è stata la prima a far rivivere l’assemblea popolare ponendola come alternativa alla politica dei partiti ‘’che sono sempre dalla parte delle ricche imprese e mai della gente’’.

È significativa l’esperienza della resistenza dei maya k’iché’ della zona di Sipakapa contro la compagnia mineraria Marlin, di proprietà dell’impresa canadese GoldCorp (pare però che dietro ai canadesi si nascondono grossi interessi statunitensi, tanto per cambiare).
Dagli anni novanta GoldCorp ha cominciato a comprare concessioni e licenze per scavare in un territorio sempre più esteso, speso grazie a raggiri e approfittandosi della povertà materiale delle comunità della zona. Preoccupati dalla volontà dell’impresa di espandere la sua proprietà al loro municipio, le donne e gli uomini di Sipakapa si sono mobilitati manifestando alle autorità il loro totale rifiuto di qualsiasi tipo di scavi che avrebbero distrutto le loro montagne.

È nata così a Sipakapa la prima consulta popolare del Guatemala riguardante l’insediamento di progetti minerari nel giugno del 2005. Nonostante non sia arrivato alcun riconoscimento da parte dalle autorità verso questo esercizio democratico e popolare che ha visto la partecipazione della quasi totalità della popolazione, la gente si è opposta con fermezza agli intenti d’ispezione dell’impresa, semplicemente bloccandogli il cammino. Come ricorda una donna di Sipakapa, “il potere dell’impresa sono i soldi, però noi abbiamo il potere di non farli entrare’’.

L’esperienza di Sipakapa ha messo in allerta varie comunità minacciate dall’interesse delle imprese per le loro abbondanti risorse: è così che hanno iniziato a crearsi le consulte in vari territori abitati dalle popolazioni maya. Nel 2008 è nato quindi il Consejo de los Pueblos Mayas de Occidente, che collega le lotte delle comunità in tutto il paese (la O dell’acronimo viene ormai letta come ‘’Organizados’’, perché non è più un fenomeno ristretto solo alla zona di Occidente). Il CPO nasce come parte del movimento indigeno internazionale, e ha anche l’obiettivo della ricostituzione dell’identità originaria dei popoli maya visto che ‘’dalla colonizzazione a oggi abbiamo subito un’espropriazione della nostra forma di vivere, di pensare e della nostra spiritualità’’.

Nei municipi di Huehuetenango e San Marcos l’esperienza della Consulta diventa presto una realtà imprescindibile, la partecipazione è mediamente del 90% mentre alle elezioni politiche non va a votare più del 40% dei membri delle comunità. È importante ricordare però che nelle comunità dove le imprese operano già da tempo le cose sono più difficili per chi si oppone a queste: a mezzora da Sipakapa si trova San Miguel Ixtahuacán, dove ho incontrato Maudilia, Umberto e Crisanta, dell’organizzazione ‘’Defensores de la Madre Tierra’’ che mi hanno parlato della situazione nel loro municipio.

GoldCorp in questa zona ha iniziato le negoziazioni nel 1996, e ha ottenuto la licenza per iniziare i lavori di estrazione nel 2005. Da allora ha comprato tutto e (quasi) tutti.
“Dal principio hanno dato moltissimi soldi alla municipalità, hanno finanziato la costruzione o la ristrutturazione di scuole e chiese, senza mai farsi mancare il loro ritorno di pubblicità”.
Arrivare in una comunità contadina in mezzo alle montagne, in cui la gente vive da anni del raccolto delle proprie terre, e portarvi palate di soldi ha ostacolato la formazione della Consulta, perché sembra che letteralmente GoldCorp sia stata in grado di distribuire abbastanza quetzales (la moneta guatemalteca) da poter rendere la distruzione della montagna e l’inquinamento delle acque dei problemi trascurabili per la maggior parte della gente.

Il legame tra l’impresa e la municipalità a San Miguel è indissolubile da anni: “E’ l’impresa a formare e a scegliere i maestri delle scuole e i medici delle cliniche”, mi spiegano. In una zona dove la disoccupazione è altissima GoldCorp paga piuttosto bene i giovani laureati per andare nelle comunità a convincere la gente ad accettare i nuovi progetti. Organizza grandi feste invitando i gruppi locali più apprezzati e offrendo da mangiare, per questo la gente sembra fare più fatica ad accorgersi che per la prima volta una generazione di bambini non ha imparato a nuotare perché il fiume è inquinato (anche se qualcuno continua a lavarci la verdura).

I Defensores de la Madre Tierra hanno organizzato un “tribunale di salute”: un fine settimana di visite gratis in una clinica ai cittadini di San Miguel per stabilire e quantificare malattie e danni derivati dalla contaminazione dell’aria e dell’acqua. Il lunedì GoldCorp ha organizzato un grande evento regalando un assegno gigante corrispondente a centinaia di migliaia di euro al sindaco con festa annessa. Intanto muoiono gli animali che si abbeverano al fiume Cuilco e tre ragazzi sono paralitici da quando hanno nuotato nelle sue acque.

Fortunatamente però le imprese non sono ancora riuscite a far entrare il loro denaro ovunque.
La Consulta nasce come risposta comune al modello estrattivista che da decenni si è imposto in Guatemala. Si tratta di una vera e propria espropriazione messa in atto da imprese straniere sempre protette dal governo. Questa espropriazione “è territoriale ma anche ideologica, perché distrugge le basi fondamentali della nostra visione del mondo, colpendo la terra e l’acqua che per noi rappresentano la vita”.

Il modello estrattivista è un’espropriazione totale perché estrazione mineraria, del petrolio e sfruttamento dell’energia idroelettrica sono fortemente connessi. Infatti, come dice Francisco, “senza energia non ci sono miniere”. Oggi sono 80 i municipi che hanno istituito la propria Consulta, e se per il governo guatemalteco era facile svincolarsi dalle pretese della popolazione di una sola zona, “organizzati a livello nazionale abbiamo molta più forza”. Per i maya il territorio è qualcosa di imprescindibile, fortemente legato alla propria vita e alla propria spiritualità. “La terra è tutto, è la nostra vita. Senza la nostra terra non siamo niente”.

È quindi lo stesso modo ancestrale di vivere la terra che obbliga moralmente chi non ha perso la spiritualità tipica di questo popolo a organizzarsi per difenderla. È fondamentale in questo contesto notare come grazie alla Consulta le comunità siano riuscite a organizzarsi soprattutto in maniera preventiva  di fronte agli interessi estrattivi: per esempio nel caso delle miniere le mobilitazioni iniziano già quando la comunità diviene  consapevole di un interesse da parte dell’impresa, prima che venga concessa  la semplice esplorazione: questo spesso ostacola qualsiasi forma di ispezione, bloccando sul nascere  gli intenti di sfruttamento minerario.

“L’esercizio del diritto alla Consulta per noi è fondamentale: la Consulta è giusta, legittima e legale”. Questo strumento si è trasformato nella strategia centrale della resistenza delle comunità, tanto condivisa per tre ragioni principali. Innanzitutto l’assemblea è una pratica ancestrale dei popoli maya per i quali la partecipazione è sempre stata fondamentale, “le decisioni della nostra gente sono sempre state collettive, mai individuali”. Un’altra ragione è il conflitto interno che ha fatto sanguinare il paese: tanto orrore così recente ha reso la maggioranza dei sopravvissuti (sono molti quelli che sono dovuti scappare e che sono tornati in questi anni) allergici alle armi e scettici rispetto a qualsiasi forma di lotta violenta.
Va inoltre considerato il fatto che lo stato del Guatemala nella sua costruzione storica ha escluso ed emarginato gli indigeni dal principio, nonostante questi rappresentino circa il 40% della popolazione totale, quindi fino a che non ci sarà una seria riforma dello stato, è facile intendere la sfiducia delle popolazioni originarie verso le istituzioni.

Razzismo e discriminazione contro gli indigeni continuano a essere forti in Guatemala e, nonostante i livelli di partecipazione alla Consulta siano largamente maggiori rispetto alle elezioni politiche, questa non è stata riconosciuta dal governo, che però in alcune occasioni ha cercato di regolamentarla organizzando forme di Consulta gestite dai partiti: “Abbiamo sempre detto ‘no’, che la Consulta è l’espressione della nostra autodeterminazione e la devono organizzare le popolazioni senza intermediari”, spiega Francisco con orgoglio. Il CPO si sta mobilitando in vari modi per il riconoscimento ufficiale della Consulta, che rappresenta solo un primo passo contro il modello estrattivista: “Stiamo lavorando alla ricerca di alternative politiche e economiche al modello neoliberale. Cerchiamo anche di capire come affrontare il potere e l’aggressività delle imprese che con vari mezzi entrano nelle comunità per dividerle internamente. Il governo è sempre dalla loro parte, e cerca in tutti i modi di criminalizzare la nostra lotta accusandoci di essere terroristi e nemici dello sviluppo”.

La repressione contro chi si organizza contro gli interessi delle multinazionali delle miniere non si ferma solo alle persecuzioni legali. Da una parte queste hanno portato a vari arresti di membri del CPO negli ultimi anni, visto che solo qui, nella zona di Huehuetenango, due militanti del Consejo sono stati uccisi negli ultimi tre anni. Ma d’altra parte, denunciano nelle comunità, “sono sempre più frequenti le aggressioni fisiche come forma diresponsabilizzare i nostri leader, che poi sono gli stessi che vengono accusati di terrorismo” e, ancora una volta, il doppio gioco della criminalizzazione-aggressione diventa lo strumento per combattere la resistenza organizzata contro i grandi interessi.

All’inizio di agosto nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) messicano, organizzato dall’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) nel caracol de La Realidad, in Chiapas, è stato riassunto senza mezzi termini uno dei concetti chiave per il sottocontinente latinoamericano: “La guerra contro i popoli indigeni dura da più di 520 anni e il capitalismo è nato dal sangue dei nostri popoli. In questa nuova guerra di conquista neoliberale la morte dei nostri popoli è la condizione di vita di questo sistema’’. Nei territori del Guatemala segnati dal dolore, dal sangue e dalle ingiustizie le popolazioni originarie si sono riprese la parola in un processo di resistenza che qui viene anche definito di re-esistenza. Comunità con lingue e culture differenti sono guidate dalla consapevolezza che solo organizzate e soprattutto unite possono far fronte agli interessi dei poteri forti, perché nella lucha conta molto di più ciò che si ha in comune e, in questo caso, si tratta soprattutto dell’interesse per la difesa delle proprie terre e della propria vita.


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