Differenziare la città: “un lavoretto pulito”

Creato il 18 giugno 2013 da Trame In Divenire @trameindivenire

by GIUSEPPE VINCI 

«Dei tentativi fatti dall’uomo per rimodellare il mondo in cui vive, secondo i propri desideri, [la città] è il più duraturo e nel complesso anche il più riuscito. E così, imdirettamente e senza una chiara consapevolezza della natura delle proprie azioni, l’uomo nel creare la città ha creato se stesso».

[Robert Park, Sociologo Urbano 1864-1944]

La città è un po’ come la casa in cui viviamo. Tocca amarla e tenerla in ordine. Tocca pulirla, se si vuol viverla bene. Poiché, nel vivere la casa, come la città, creiamo e realizziamo noi stessi, la nostra essenza e immagine intima.

In casa, come nella città, vige il diritto collettivo. A meno che la casa e la città non siamo soli nel viverla. Per quanto, in casa come in città capita di dover ricevere ospiti, accoglierli e metterli a proprio agio. E se chi la abita pensa a sé stesso come il primo tra gli ospiti, il rapporto con la città necessariamente è destinato a mutare. Fatte le dovute eccezioni.

Aristotile amava dire che “siamo quello che pensiamo”. Non era il solo, né il primo a pensarla così. Lo dicevano i Veda, più di quattromila anni fa. Le nostre azioni, i nostri costumi, etici, sociali, sono il frutto del nostro pensare. Il pensiero ci modella. Così è anche per la città.

Secondo il geografo David Harvey,  Il diritto alla città non è soltanto un diritto all’accesso di quanto già esiste, ma il diritto di cambiarlo. Noi dobbiamo essere certi di poter vivere con le nostre creazioni. Ma il diritto di ri – fare sé stessi attraverso la creazione di tipi qualitativamente differenti di socialità urbana è uno dei più preziosi diritti umani”.

Pensare la città, dunque, non è solo un diritto, ma anche un dovere: collettivo. La città, così, non può che essere partecipata, nelle differenze e per scongiurare le indifferenze. E’ una questione di educazione e volontà, politica e quindi collettiva, giacché la città è nel diritto/dovere di chi la vive, ospiti compresi. Così la città  risulta essere la sommatoria delle funzioni esponenziali delle differenze che annullano le indifferenze.

La raccolta rifiuti (tra gli altri servizi), conseguenza ultima (ma non l’unica) del vivere la città (soprattutto quando il rifiuto è differenziato), può essere considerata la sintesi-riflesso del pensare collettivo la città. Del resto, secondo un adagio contemporaneo, “siamo quello che mangiamo” e quindi non solo quello che pensiamo, ovviamente. Ma si potrebbe dir lo stesso di quello che nell’indifferenza “rifiutiamo”.

A Bari, ma non è l’unica città della Puglia (ce ne sono anche di più piccole, anche più piccole di Fasano, la città in cui sono nato e in cui vivo), la raccolta dei rifiuti è fatta in casa, a cura dell”azienda municipalizzata, compresa la differenziata. A scanso di equivoci e soprattutto a scanso di indifferenze e delle mafie. Non certo come avviene in talune realtà locali, laddove si passa da un azienda all’altra, come se si passasse dalla padella nella brace, e con i carboni ancora ardenti di società nel turbine di condanne e  inchieste giudiziarie.

Oltre a risparmiare e a dare maggior e miglior lavoro ai locali, la raccolta fatta in casa è vissuta con maggior interesse ed economicità, trasparenza e senso di responsabilità. Poiché oltre alla città, anche un’azienda è come la casa in cui si abita, e come tale andrebbe vissuta. Anche se, a dire il vero, della città di Bari non proprio si direbbe. Eppure, il comune di Bari, oltre a puntare sulla gestione casalinga e integrata del ciclo dei rifiuti, punta, e fa bene, a comunicare/educare, senza trascurare il ricorso alla satira, ironizzando sulla contraddizione/commistione mafia/educazione.

La campagna di comunicazione/educazione nel rapporto città/rifiuti del capoluogo pugliese è stata affidata a Proforma, la quale ha fatto davvero “Un lavoretto pulito” e a regola d’arte.


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