Il Reuters Institute for the Study of Journalism ha rilasciato i risultati della seconda edizione del suo studio annuale “Digital News Report”, studio sulle abitudini di consumo dell’informazione online/digitale in Europa, Italia compresa, e Stati Uniti.
L’introduzione del rapporto dedica poche righe di focus al sistema mediatico di ciascuna nazione. Per quanto riguarda l’Italia si legge:
Silvio Berlusconi’s Mediaset empire operates Italy’s top private TV stations, and the public broadcaster, Rai, has also been subject to political influence. Between them, Rai and Mediaset dominate Italy’s TV market, which remains the main source of news for the bulk of the population. The Italian press is highly regionalised, reflecting the country’s history and character. Most newspapers are privately owned, often linked to a political party, or run by a large media group. Newspaper readership figures (overall) are low compared to other European countries.
Il rapporto si compone di 112 pagine. Come di abitudine, se il tema vi interessa, che sia a titolo personale o professionale, consiglio caldamente la lettura integrale dello studio al di là della mia personale sintesi ed interpretazione.
Nelle nove nazioni prese in considerazione esiste uno zoccolo duro di quelli che vengono definiti “news lovers”, persone fortemente interessate all’informazione di attualità, che si aggira tra il 17 ed il 27% a seconda dei Paesi [Italia 24%]. L’interesse verso l’informazione aumenta al crescere dell’età con la fascia over 55 ai massimi livelli e quella 18-24 ai minimi. Elemento da non trascurare sia in termini di ampliamento dell’audience che a livello di prospettive e facili profezie sulla morte ampiamente annunciata della versione cartacea dei quotidiani.
La tavola di sintesi sottostante riepiloga le preferenze di lettura per ciascuna piattaforma. Nel complesso emerge, o meglio si conferma, che chi è interessanto alle notizie ha un approccio multipiattaforma; ciascun supporto informativo è complementare non alternativi. Per quanto riguarda specificatamente l’Italia, nazione con la minor penetrazione di Internet tra quelle prese in esame, la percentuale di persone che privilegia la versione tradizionale [la carta] è quasi doppia rispetto all’online nonostante il sondaggio sia stato svolto online e dunque inevitabilmente tagli fuori tutti coloro, i tanti [sigh!] che non usano Internet in questo “belpaese”.
Nel nostro Paese il 19% degli intervistati afferma di essere disponibile a pagare per informazione online/digitale. Vedendo le percentuali, nettamente inferiori, delle altre nazioni si capisce quanto necessaria sia un abbondante taratura tra dichiarato e realizzato.
Tra fonti d’informazione tradizionali, newsbrand, aggregatori e social media & blog in tutte le nazioni, Italia inclusa, prevalgono le prime. Emerge però come l’accesso diretto ai siti web dei quotidiani sia inferiore all’accesso attraverso motore di ricerca e social network. Aspetto che si acuisce in Italia, come mostra la tavola sotto riportata, e che parrebbe confermare quanto anticipato ieri. Condivisioni e commenti sui social network, congiuntamente al passaparola offline con amici e colleghi, sono le forme più diffuse di amplificazione dell’informazione.
In termini di format è da sottolineare l’apprezzamento abbastanza diffuso del live blogging, la produzione di un post, di un articolo che, secondo la definizione dell’Urban Dictionary, copra un evento, solitamente in ordine cronologico contrario, dal più recente al più “vecchio”, con aggiornamenti regolari, solitamente con distanze temporali ridotte nell’ordine dei minuti, arricchendolo con elementi multimediali e richiami ad altre fonti sia interne che esterne, con l’Italia in pole position in tal senso. Ennesimo aspetto da non trascurare per le implicazioni che genera.
Se, tra tutti, c’è un aspetto da sottolineare di quanto emerge dal rapporto del Reuters Institute for the Study of Journalism è l’evidente necessita di lavorare sul brand [si lo so si chiama marketing, abbiate pazienza, se interessa vi spiego come funziona] da parte delle testate poichè il campanello di allarme che squillava con forza dalle anticipazioni di ieri è fragoroso, assordante ed oltre modo allarmante al tempo stesso. Cattivo utilizzo dei social network e ricorsa alle pagine viste rischiano di portare davvero fuori strada il valore del brand delle testate. Come si suol dire, a proposito, su Twitter, ed ora anche su Facebook, #sapevatelo.
Ulteriore sintesi del rapporto viene fatta dal direttore del Reuters Institute nel video sottostante [ma leggetevi il rapporto per farvi la vostra idea, eh!]