Che tradotto in soldoni, più o meno, significa: vale la pena di conoscere la persona che c'è dietro un film che amiamo alla follia o dietro un ruolo che ci ha fatto impazzire?
Il mio problema è che, fin da piccola, sono convinta che quelli che lavorano nel cinema abbiano un potere speciale, tipo supereroi (altrimenti come si spiega che loro sono lassù e noi no?).
Devono avere davvero una marcia in più per riuscire a fare questa cosa: farci credere di stare soffrendo quando sono felici, di essere americani quando sono inglesi, di avere una famiglia quando sono soli.
Per non parlare di quello che dirige tutto questo finto mondo. The Director of it All. Quello deve essere veramente bravissimo.
E dato che fanno la cosa che mi piace di più al mondo, io - molto ingenuamente e infantilmente, sono pronta ad ammetterlo - vorrei anche che fossero all'altezza dei sogni che costruiscono.
Vi assicuro che potrei raccontare (e a volte l'ho fatto, in questo blog) episodi meravigliosi, addirittura nel campo del sublime. E altri divertenti e buffi, altrettanto piacevoli. Incontri che mi hanno lasciata con una sensazione di felicità insensata, del tutto illogica, che nella vita di tutti i giorni è un regalo prezioso a cui non ho nessuna voglia di rinunciare.
Chi fa delle cose belle non può essere una brutta persona, giusto?
E più mi capitavano begli incontri più mi convincevo di questo teorema di Zazie.
Alcuni anni fa ho vissuto un episodio negativo, uno solo, che mi ha segnato così tanto che nemmeno oggi sono in grado di raccontarlo (lo faccio a voce, cercando di sdrammatizzarlo e di riderci su, ma dentro di me è ancora tutto buio). E ieri sera me ne è capitato un altro, piccolo ma fulminante, che mi ha riportato con i piedi per terra e mi ha fatto di nuovo pensare al famoso dilemma: è meglio conoscerli o no, i nostri idoli? (perché sì, lo so che ci sono persone che non hanno bisogno di idoli, e le invidio parecchio, ma io ne ho bisogno, non posso farci niente).
Alla presentazione del libro di un amico, si è presentato un famoso attore e regista francese.
Un uomo per cui ho davvero una grande stima. Ho visto quasi tutto quello che ha fatto, e moltissimi film in cui ha recitato. Dato che la situazione era molto informale, con poche persone, e un aperitivo in corso durante la firma del libro, vedendolo da solo che non faceva niente, mi sono permessa di avvicinarlo. Gli ho chiesto se gli potevo dire che lo ammiravo molto, pensando che questo avrebbe generato una micro-conversazione. E invece la mia uscita ha generato solo del gelo. Lui mi ha guardato, malissimo, e mi ha detto: No, non può, e se n'è andato lasciandomi in uno stato che potete facilmente immaginare.
Il mio problema non è l'umiliazione personale (non è la prima, non sarà l'ultima), ma il fatto che questa cosa, adesso, mi farà andare di traverso di tutti i film che farà o in cui reciterà. Perché sì, lo ammetto: per me la cosa più difficile al mondo, e lo dico con grande tristezza, è separare l'artista dalla sua opera. Me ne dovrei fregare, direte voi. Certo, lo capisco. Lo capisco a livello razionale, ma non riesco assolutamente ad accettarlo.
La mia amica Laura, per tirarmi su il morale, mi ha citato Diderot, il quale nel suo Paradosso sull'Attore, spiega che in pratica (spero di aver capito bene) un attore si dimostra tanto più bravo quanto più quello che riesce ad esprimere sulla scena è lontano da se stesso.
Ecco, allora, in base a questa teoria, vi assicuro che l'attore di ieri sera si meritava sicuramente un Oscar. Lo Zazie d'Or, invece, se lo può proprio scordare!