Ora che è ufficiale che le carni rosse, soprattutto quelle lavorate, sono state classificate come cancerogene dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la domanda più frequente è: l’allarme ridurrà i consumi di carne e salumi? Ovviamente una risposta certa è al momento impossibile da dare, ma è vero allo stesso tempo che anni di dibattiti in materia e la crisi economica hanno in qualche modo condizionato le abitudini dei consumatori. Quello che sappiamo, intanto, è che i consumi alimentari e non alimentari sono tornati a crescere, in Italia (rispettivamente dell’1,4% e dello 0,3% nei primi otto mesi del 2015) e in Europa. Già questo è un fatto positivo: la spinta dei consumi, quindi una risalita della domanda interna, è fondamentale per consolidare la ripresa. Altra questione, però, è stabilire in quali termini un bene venga consumato. Diverse associazioni di categoria, ad esempio la Coldiretti, hanno osservato che l’Italia non è un paese a rischio in questo senso, essendo la nostra una carne sana e priva di particolari trattamenti industriali. Tuttavia, allarmismi giustificati o meno (si consideri che l’Oms ha precisato come siano i dosaggi e le durate d’esposizione a rendere il rischio reale e non solo teorico), il consumo di carni rosse e lavorate risultava essere comunque in diminuzione da diverso tempo. A inizio 2014, a fronte di un calo generale dei consumi (comprese le spese dedicate al tempo libero e alla salute), il 38% degli italiani dichiarava di avere rinunciato agli insaccati e stagionati (+8% rispetto a 12 mesi prima) e il 31% alla carne (monitor socioeconomico di Tecnè, gennaio 2014). Circa a metà anno (maggio 2014) miglioravano i consumi di pasta, pane e latte, dei prodotti per la prima colazione e di frutta e verdura, mentre rimanevano stabili, ma in un quadro negativo, i consumi di carne, pesce, latticini, insaccati e stagionati. Restando a recenti elaborazioni Tecnè la quota di famiglie che ha ridotto la qualità dei prodotti acquistati negli anni della crisi, soprattutto quelli di fascia alta, è pari al 42%. Nello specifico, dal 2007 ad oggi, sono calati del 19% gli acquisti di carne bovina. In compenso altre ricerche hanno evidenziato il “successo” dei cibi bio o indicati per le diete di tipo vegetariano o vegano, spesso meno convenienti, ma che confermano l’affermarsi di nuove tendenze salutiste. Ad ogni modo il timore che ora venga colpito un settore chiave per l’agroalimentare italiano è abbastanza alto. “Il settore agroalimentare in Italia contribuisce a circa il 10-15% del prodotto interno lordo annuo, con un valore complessivo pari a circa 180 miliardi di euro”, ricorda a tale proposito Assica-Assocarni. E comunque, nel nostro paese, il consumo medio di carne è decisamente ridotto rispetto alle quantità indicate a rischio dall’Oms.
(anche su T-Mag)
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