INAUGURAZIONE MOSTRA “PERSONALE DI DINO BUZZATI”, Galleria “Il portichetto” - Nella foto: Il gallerista Guido Palmieri (a sin con occhiali) e dietro di lui Dino e Almerina Buzzati
Milano Arte Expo re-inaugura le mostre: 1000 mostre che hanno fatto storia. Aperta la nuova pagina STORIE E LUOGHI D’ARTE. Testo di Cristina Pamieri – Nella serata di martedì 24 gennaio 1967, alla presenza dell’artista e della moglie Almerina, viene inaugurata, presso la Galleria “Il Portichetto” di Rho, di proprietà di Guido Palmieri, la mostra personale di Dino Buzzati. Evento piuttosto unico nell’allora culturalmente un po’ sonnecchiosa cittadina, la mostra richiama numerosi visitatori, anche dalla vicina Milano, città adottiva del grande artista e scrittore, bellunese di origine. Numerose infatti le opere esposte, oggi fra le più note dell’autore, tanto da essere quasi tutte presenti nella importante retrospettiva a lui dedicata, nel novembre 2006, presso la “Rotonda della Besana”, in occasione della ricorrenza del centenario della nascita, curata da Maria Teresa Ferrari.
La Galleria “Il Portichetto”, aperta da Guido Palmieri nel novembre del 1965, alla quale affiancherà, nel febbraio 1968, anche “Il Triangolo” di Busto Arsizio, chiuderà i battenti nel dicembre 1972, quando Palmieri si trasferirà a Milano in Piazza De Angeli. Qui l’avventura sarà di breve durata. Palmieri rileverà infatti, nell’ottobre 1973, la “Galleria Cortina” di Via Fatebenefratelli, dopo averla diretta tra il 1969 e il 1970.
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INAUGURAZIONE MOSTRA “PERSONALE DI DINO BUZZATI”, Galleria “Il portichetto” - ALMERINA BUZZATI dietro di lei l’opera “La giacca”
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DINO BUZZATI
STORIE SCRITTE E DISEGNATE
“Il fatto è questo, io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa, le mie pitture quindi non le può prendere sul serio. La pittura per me non è un hobby, ma il mestiere; hobby per me è scrivere. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie” (Dino Buzzati, Vecchia auto, Lossa, Milano, 1968).
“Bisogna ammettere che il vero talento, presto o tardi si fa sempre strada, con maggiore o minore fatica a seconda della fortuna. Uno degli ostacoli maggiori è l’incasellamento per categoria. Io ne sono un esempio: per sbaglio qualificato, professionalmente come scrittore, incontro, come pittore, una barriera dinanzi a me. E color che amministrano gli onnipotenti mezzi di informazione sono disposti a mettere in vista un mio libro, ma rispondono con un ironico sorrisetto quando mi affaccio coi miei disegni e quadri”.
I misteri dei condomini, 1965 - “Nei grandi palazzi condominiali delle metropoli succedono tante cose, nella terzultima stanza a destra per esempio in questo momento è entrato un vampiro. In quanto alla donna in primo piano, che nasconde purtroppo alcune abitazioni interessanti, è Consuelo Fabian, che abita nella casa e fa la donna bersaglio nei baracconi.” Dino Buzzati
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Scopo di questo scritto è ricercare quel sottile, ma sempre presente, parallelo, contenutistico e di atmosfera, tra l’attività letteraria e l’attività pittorica di Dino Buzzati. L’antico dilemma, Buzzati pittore o poeta, è stato risolto da Buzzati stesso, che ha per tutta la vita utilizzato i due linguaggi nel medesimo tempo e con la medesima passione. Se sia venuto prima il pittore o il narratore, è ormai noto. Buzzati si dedicò in primo luogo alla pittura, e questa egli reputò, come leggiamo nelle dichiarazioni precedentemente citate, la propria vera vocazione.
Una vocazione ostacolata dalla famiglia, la quale considerava il problema per lo più da un punto di vista economico. A quanto pare la famiglia ebbe non solo la meglio, ma anche ragione, regalandoci il grande scrittore e giornalista che tutti conosciamo. Ma Buzzati continuò, per fortuna, a dipingere, instaurando – come ebbe a dire Carlo Bo – tra le due forme espressive un “sistema di vasi comunicanti”. Tanto che certe pagine sembrano più dipinte che scritte.
Partiamo perciò da una considerazione generale sull’intera opera buzzatiana. Molti critici del ‘900 ricercarono la fonte della fervida fantasia di questo autore all’attaccamento ad una nobile eredità di riferimento: Poe, Camus e , soprattutto, Kafka.
Le radici invece sono piuttosto da investigarsi nell’interiorità di Buzzati e nella sua fuga dalla realtà, intesa sia come evasione dall’attuale (la guerra mondiale ed il fascismo) sia come diserzione dal reale in sé e per sé.
Ecco che qui troviamo la chiave che ci consente di rintracciare l’ intimo rapporto che lega quadri e testi. Un rapporto stabilito nel nome dell’ “immaginazione”, individuabile in quell’atmosfera di mistero e sospensione che caratterizza entrambi.
Toc, toc - 1957 - Sul più bello, quando meno ci pensavamo. E non ci fu rimedio.
Il mondo di questo artista infatti è un mondo magico, impenetrabile e imperscrutabile, molto attraente per il lettore che, incuriosito, giunge al termine della lettura con il fiato sospeso, con l’unico desiderio di conoscere quell’unica verità che capovolge tutto ciò che sino a quel momento sembrava essere vero. In particolare nei suoi racconti, che muovono per lo più da episodi tratti dalla quotidianità, improvvisamente la trama prende vita, l’atmosfera diviene surreale e in un attimo accade l’incredibile. Dietro l’apparente leggerezza della narrazione fiabesca si celano le importanti tematiche affrontate dall’autore. Molti i temi che ricorrono negli scritti di Buzzati, che procede nella propria indagine sul senso ultimo della vita senza mai abdicare a quell’alone di mistero e di caducità che percepisce essere il fulcro dell’esistenza umana. La dimensione dell’enigmatico fluire della vita, dell’assurdo e dell’attesa sono argomenti centrali tanto nei romanzi quanto nei racconti. I protagonisti degli scritti di Buzzati intraprendono il viaggio esistenziale procedendo verso l’ignoto, in possesso di un’unica grande certezza, che questo viaggio prima o poi finirà. In attesa del temuto evento, l’uomo, sentendosi solo, trascorre i propri giorni cercando di trovare un antidoto a tale insostenibile solitudine. Lo insegue ora nel proprio passato, anche quello che non ha vissuto, nel tentativo di ricomporre il mosaico della propria vita; lo intravede nel successo, nella gloria che gli proviene dalla vittoria sugli altri esseri umani, nell’amore, nel credo religioso.
Non è questa la sede per ricordare ed approfondire i più noti romanzi e racconti del nostro. Ricordiamo soltanto che, analizzandoli, troviamo lo straniante senso dell’inutilità della vita che fugge senza che noi si sappia affrontare il percorso dell’esistenza e la fine dei nostri giorni. Soltanto l’avvicinarsi della morte consente di prendere coscienza di quanto sia importante guardarsi dentro, riappropriarsi della propria natura, per trovare le risposte tanto bramate.
Torniamo alla dichiarazione: “…dipingere o scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie.”
Il delitto di Via Calumi , 1962 - E’ una vecchia storia. Del 1985. La ricordate? Giornali e popoli ne parlarono. Anche TV, qualche prudente accenno. Comunque, basta leggere." Dino Buzzati
Ed infatti Buzzati, il cui patrimonio artistico è stato avvalorato dalla critica e da numerose mostre a lui dedicate (ricordiamo quella alla Rotonda della Besana, inaugurata nel novembre 2006 in occasione della ricorrenza del centenario della nascita, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera, con il Comune di Belluno e con la partecipazione di Electa e curata da Maria Teresa Ferrari), dipingeva pagine di intensa narrativa.
Il quadro era per lui racconto, di vita, di fantasie, di sogni, di misteri. Di tutto ciò che angoscia l’uomo ma che gli fornisce anche un appiglio attraverso cui sopravvivere.
Aveva l’arte nel cuore, sentiva la continua necessità, anche nella sua attività di cronista, di dare un volto e una forma, nel modo più naturale possibile, alla realtà quotidiana, ma anche, come accennato, alle visioni oniriche, alle fantasticherie, alle sue proiezioni ed ossessioni. Con il segno poteva conferire un’ulteriore anima alla sua scrittura. E come nello scrivere affermava l’esigenza di raccontare le cose del mondo nel modo più semplice possibile (dichiarando che scrivere coincide col mestiere del giornalismo), allo stesso modo dipingeva senza conoscenze accademiche, senza virtuosismi, pittorici o cromatici, con una singolarissima, soprattutto per quegli anni, capacità narrativa.
La ragazza che precipita, 1962 - “Questa è la traduzione di un racconto che ho scritto e che si trova, a pagina 287, del bellissimo libro di racconti intitolato “Il colombre” che Mondadori ha pubblicato quest’anno” Dino Buzzati
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Le opere buzzatiane, scritte o dipinte che siano, coesistono per regalarci sempre un nuovo aneddoto, una curiosità, un messaggio di vita o di morte, caratterizzato da fantasia, malinconia, solitudine, umorismo, destino.
Sin dagli anni Venti, infatti, l’autore comincia a dipingere storie suggellate da didascalie spesso spiazzanti, brevi testi che accompagnano il disegno e che sono assolutamente inseparabili dalla parte figurativa. Essi costituiscono la chiave per cogliere tutto il valore poetico di questi lavori. Una sorta di completamento della figurazione in grado di svelare risvolti a sorpresa. Siamo di fronte ad un perfetto connubio di parola e immagine, di segno e di disegno.
Spesso i quadri sono ispirati a suoi racconti, o al contrario sono i dipinti che poi diventeranno storie, in un continuo rimando che fa del lavoro buzzatiano un sistema unico di incroci e autocitazioni.
La vampira, 1964 - "Non è che il sangue le piacesse poi tanto. Però era snob. Mandava sua sorellina in giro per la notte a suggere le vene. Il fatto è che la sorellina aveva un certo temperamento per conto suo." Dino Buzzati
La rappresentazione figurativa aiuta Buzzati a fissare il suo mondo, a raccontare cromaticamente e segnicamente il fatto di cronaca o il sogno più fantastico, ad inserire cani, gatti, mostri, prostitute, belle donne, tra cime, piazze , case, strade, in una Milano spesso reinventata secondo i ricordi delle sue zone d’origine, evocati dando alla città un volto nuovo. In un’atmosfera sempre sospesa fra terra e cielo, reale ed irreale, miraggio e verità.
Del resto la città, con sue molteplici atmosfere, i suoi frenetici ed inconsulti accadimenti, offre continui spunti per nuovi racconti ed ambientazioni.
In questa Milano visionaria calerà sulla scena la figura femminile, la donna, protagonista di tanti scritti ed opere pittoriche, spesso al limite della riverenza, ma senza mai scadere nella volgarità.
Come possibile evincere osservando attentamente i dipinti, l’immagine umana è sempre penetrante, forte, collocata in uno spazio singolare in cui cose e persone sembrano presenze metafisiche (come nella lezione dechirichiana). Il disegno è spogliato di tutti quei particolari decorativi che servirebbero a deviare la percezione unitaria dell’insieme. Il ritratto per lo più frontale, l’espressione dei personaggi ferma, il taglio cubista dello sfondo architettonico sono caratteristiche ricorrenti in tutta la produzione buzzatiana. Le tavole sono quasi sempre a colore pieno, a volte acido e affilato, altre morbido e ombroso, prive della nuvoletta testuale tipica dei fumetti tradizionali ma – come spiegato – corredate da didascalie a complemento dell’immagine.
Le simbologie si ritrovano negli scritti come sulla tela: la giacca appesa che significa assenza, i vetri rotti e i teschi metafora della donna che porta distruzione, ma soprattutto la città-montagna. Il Duomo che sembra una cima, gli alpinisti in scalata che affacciandosi nelle grotte scoprono degli appartamenti. Belluno, sua città natale, e Milano, dove vive e lavora, strette in un’unica immagine.
Soprattutto la donna e la città, come detto, ritornano a popolare la pittura di Dino Buzzati ancora e ancora, come soggetti complementari, necessari l’uno all’altro. L’ambiente non è solo un puro scenario funzionale alla figura, ma un luogo con una precisa anima ed identità che l’artista vuole suggerirci, anche se spesso con pochi accenni segnici. Compare la Milano del Duomo, della Scala, dei grattacieli, ma anche la Milano sconosciuta ai più, quella dei rioni nascosti, della vita paesana nel cuore metropolitano, dei fitti caseggiati, della desolazione e della povertà, delle botteghe, della miseria ma anche della fiera dignità. La stessa, per intenderci, che troviamo descritta e raccontato nel romanzo “Un amore”, che fa da sfondo alla vicenda dei protagonisti e con essi è sicuramente il terzo attore della scena e che è tratteggiata con un realismo incisivo.
Ma compare spesso, nelle storie dipinte, anche la Milano privata, sovente protagonista delle sue “Cronache Figurate”. L’autore si insinua nelle case, nel privato e sprigiona la propria fantasia, descrivendoci in sequenze a riquadri ciò che vi accade. Spesso le protagoniste sono giovani sensuali, audaci, calate in storie di agguati, di supplizi e assassini, di piacere masochistico. Donne oggetto di desiderio, ma anche di crudeltà. Del resto per Buzzati la donna, come possiamo ravvisare anche nei racconti e nel già citato romanzo “Un amore”, è mistero, piacere, ma anche angoscia e disperazione, icona di salvezza e dannazione, principio e fine.
Il solo amore infatti non è mai sufficiente per colmare il vuoto interiore se l’uomo non ha ancora trovato se stesso. Questo è e rimane, per l’autore, il primo obiettivo. Le più volte l’essere umano rincorre la persona amata, solo nella propria individualità, tentando di trovare in lei le risposte alle proprie inquietudini piuttosto che frugare dentro di sé, e quindi non arrivando a percepire null’altro che ulteriore senso di vuoto.
Tornando al Buzzati pittore, notiamo come il nudo sia centrale nella produzione. Diventa una definizione figurativa, una ricerca segnica che tende sempre più alla sintesi. La donna è da spogliare, ma per toglierne la maschera e svelarne l’anima. Il suo cammino artistico, che raggiungerà l’acme nell’opera “ Poema a fumetti”, sembra avere proprio questo obiettivo ossessivo. Buzzati stesso affermava:
“Parecchi mi hanno rimproverato l’eccessiva frequenza, nelle pagine, di ragazze nude disegnate con accento libertino. Io l’ho fatto per tre motivi: primo, la nudità mi sembra il costume più adatto nel mondo dei più; secondo, disegnare dei nudi è più gradevole e stimolante che disegnare delle persone vestite (almeno per me); terzo – e qui direte che mi do la zappa sui piedi, ma perché essere ipocrita? – pensavo che l’ingrediente fosse producente agli occhi del pubblico”.
(Corriere della Sera, 8 febbraio 1970)
La casa dei misteri “Alle cinque”, 1965 - "Non si sa come, dalla casa contrassegnata col numero 6 in Via Lucifredde, arrivano, nelle ore altissime della notte, delle voci, degli urli, dei gemiti, delle invocazioni. Cosa sarà?" Dino Buzzati
“Poema a fumetti” è un libro singolare, edito da Mondadori nel 1969, che all’epoca suscita in molti, e per motivi diversi, sorpresa e sconcerto, ma che sempre più rivela risvolti intriganti.
In Italia purtroppo il fumetto non ha mai goduto della giusta considerazione. Generalmente la cultura ufficiale si limita ad ignorarlo. Quando se ne occupa ne tratta come di un mondo per l’infanzia, abitato da topi e papere antropomorfi. Per fortuna alcuni singoli personaggi geniali non hanno mai nascosto di considerare il fumetto una forma narrativa degna di interesse e rispetto (da Fellini a Eco).
Tra il miracolo economico e le profonde trasformazioni sociali e di costume, i mitici anni Sessanta portano vistose novità anche nella considerazione di questo linguaggio, che esce dal ghetto della fruizione infantile e illetterata per affermarsi come narrativa per adulti, sperimentando nuove sensibilità artistiche e anticipando nuovi valori. Ė il trionfo di Diabolik e Kriminal, di Barbarella e Valentina, della rivista “Linus”.
Nell’interesse onnivoro che nutriva verso la comunicazione visuale e le sue modalità narrative, Buzzati aveva rivolto al fumetto un’attenzione di tutto rispetto, dedicando qualche pagina persino a Paperino e a Paperon de’ Paperoni: “Come appunto i più geniali personaggi della letteratura romanzesca e del teatro, essi sono, con tutti i loro indistruttibili difetti, creature ogni giorno e in ogni avventura un po’ diverse da se stesse; hanno insomma la variabilità, l’imprevedibilità, la mutevolezza tipiche degli esseri umani. E per questo riescono affascinanti. E universali.” (dall’introduzione al volume “Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni”, Mondadori, 1968)
È interessante notare non solo la data di pubblicazione di questa introduzione (un anno prima dell’uscita di “Poema a fumetti”) ma anche l’accento conferito da Buzzati alla parola “letteratura” e il riferimento più o meno esplicito alla narrazione.
Tavola da “Poema a Fumetti”, 1968 - “Non scherzate ragazzi / Il pericolo è serio / Ecco due sono scese / Dal tranvai del desiderio” Dino Buzzati
“ Poema a fumetti” di Buzzati, racconto disegnato e “parlato” utilizzando basi fotografiche e suggestioni molteplici (libri illustrati, fumetti italiani e stranieri, fotografia d’avanguardia, pop art), è il testamento di un intellettuale affermato che, superata la soglia dei sessant’anni, decide con coraggioso entusiasmo di rimettersi in gioco, sfidando alcune delle convenzioni culturali imperanti.
Riproponendo l’antico mito di Orfeo ed Euridice, Buzzati evoca un immaginoso inferno contemporaneo. Orfi è un moderno cantautore ed Eura la sua innamorata, una ragazza che la morte si porta via nel fiore degli anni. Orfi la vede scomparire una sera nella porticina di una villa misteriosa che sorge proprio di fronte a casa sua. Sembra un’ombra, non una giovane teenager e, infatti, non è lei ad essere viva, ma la sua anima. E la porticina è lo sbocco in superficie dell’inferno, un moderno Ade che ha il suo terminale terrestre in via Saterna, la via di Orfi, in una immaginaria via del centro di una per altro realissima Milano. Buzzati nel poema celebra straordinariamente la vita, in un inferno immaginario dove ogni morto rimpiange con rassegnazione il soffio vitale ormai dimenticato e passa l’eterno nulla a ricercare anche le più piccole cose che fanno dell’esistenza un’esperienza unica.
L’opera ripresenta i classici temi buzzatiani (mistero, morte, amore). Fonde la visionarietà della pittura dell’artista, nella dimensione “popolare” del fumetto, con il racconto fantastico: questa forma espressiva, frutto di una sperimentazione, rappresenta indubbiamente una novità per l’Italia.
Chiunque si interessi di rapporti fra visualità e scrittura, di mescolanze e incroci di linguaggi e di generi, di sperimentazioni artistiche e letterarie non può non rimanere affascinato da questo capolavoro, che costituisce una fonte inesauribile di suggestioni e sollecitazioni, anche perché si avvale di molti di quegli elementi che oggi definiremmo caratteristici del post-moderno: la contaminazione dei generi e la disinvolta irriverenza verso la tradizione (la tecnica del fumetto applicata a un grande mito epico-lirico), l’uso generoso del nudo, i richiami alla pop art e insieme l’ardita riscrittura di opere e motivi di altri artisti e il gioco delle autocitazioni.
In esso, come in tutta la pittura buzzatiana, i richiami alla pittura del Novecento sono molteplici. Si ritrovano spunti, rielaborati e rienterpretati, della pittura di De Chirico, Picasso, Magritte. I primi approcci di Buzzati alla pittura coincisero del resto con la conoscenza dell’arte metafisica di Giorgio De Chirico e di Alberto Martini, e solo in seguito il nostro fu influenzato dal surrealismo francese di Chagall e Magritte. E’ tuttavia, in un secondo momento, il venire a contatto con le neoavanguardie artistiche degli anni Sessanta che segna la fase artistica più matura e originale di Buzzati, da collocare, come detto, nel contesto della “Pop-art” italiana. Infatti, pur restando fedeli all’istanza immagine più parola, negli anni le “storie dipinte” si evolvono. Le rappresentazioni metafisiche ispirate a De Chirico lasciano il posto al surrealismo figurativo fino ad avvicinarsi, nel ’60, alla pop art con tanto di colori accesi e oggetti comuni.
Nelle ultime opere, fra cui “Poema a Fumetti”, si coglie perciò una personalissima sintesi dei vari linguaggi artistici d’avanguardia. La scoperta del nuovo, del trasgressivo, che rompe decisamente con la tradizione figurativa, aiutato anche dall’immaginario fantastico che la società di massa americana mette in scena, colpisce Buzzati, che si fa interprete di una Pop art italiana, trasferendo nella sua ultima produzione racconti del nostro tempo, del pensiero dell’uomo moderno.
Surrealista di seconda specie, anziché rendere onirica la realtà consueta, come nella pittura metafisica, cerca di ricavare la magia, il surreale, da figure e situazioni inventate con una linea precisa e pulitissima.
Nel poema lo vediamo così spaziare dalle suggestioni surrealiste alla Dalì, quando si tratta di rappresentare la stanchezza, l’orrore, l’allucinazione, all’utilizzo del format delle illustrazioni da rivista erotica e popolare quando disegna le donne nude; utilizzare i tratti convulsi e i tratti morbidi per esprimere, in una sequenza, i cambiamenti di umore di un personaggio. Ma il meglio di sé Buzzati lo ha sempre dato, pittoricamente, quando si tratta di creare un’immagine metamorfica, in cui l’oggetto è in bilico fra due forme (oltre che Poema a Fumetti, a proposito si veda il dipinto Duomo di Milano). Va rammentata inoltre la sua passione per le miniature e per il particolare: numerosi sono infatti le tavole che rappresentano piccole masse, così come lo sono quelle che mettono in risalto particolari anatomici come bocche, occhi, volti.
Merito quindi di Buzzati è stato senz’altro quello di aver partecipato attivamente alla compenetrazione tra pittura e fumetto, che ha avuto numerosi seguiti.
Ci sono artisti, come Roy Lichtenstein, che hanno utilizzato il fumetto come tecnica pittorica per fare un’operazione sul linguaggio, ma senza minimamente interessarsi al vero valore dello stesso, che è la narrazione. Dino Buzzati invece ha creato un fumetto autentico, adottandone la tecnica povera, scarna, efficace, i colori piatti, la scansione narrativa schematica, la complementarità tra testo scritto e disegno.
La giacca (1967) Dino Buzzati
Soprattutto va sottolineato come il tema introspettivo e malinconico sia da considerarsi un’assoluta novità in un contesto comunicativo ancora molto intriso di imprevisto, di comicità, di pornografia e di violenza, tutte peculiarità che Buzzati sfiora appena, se si eccettuano alcune scene sadomaso.
Autentico capolavoro della letteratura disegnata, “Poema a fumetti” è quindi un’opera unica ed inquietante. Buzzati ha modo di giocare con stili e soluzioni grafiche per coinvolgere immancabilmente il lettore. Sebbene non tutti i disegni siano tecnicamente perfetti, hanno una forza impressionante e rendono alla perfezione atmosfere e stati d’animo, angoscia e mistero. Buzzati saccheggia cinema, pittura e letteratura per questa opera citando apertamente alcune delle sue fonti.
Appassionati e studiosi di Buzzati non hanno potuto che trovarvi una straordinaria “summa” del mondo dell’artista bellunese, dei temi che attraversano tutta la sua opera, dei suoi sogni, delle sue angosce e ossessioni, delle sue domande sulla vita, sulla morte, sull’amore, sul sesso.
CRISTINA PALMIERI