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Dino Zoff come Diogene: “Dura solo un attimo la gloria”. Una lettura critica e un omaggio a un mito.

Creato il 28 settembre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
diogenedi Rina Brundu. Non ho parole per descrivere la qualità estetica della storia di vita che Dino Zoff ci ha regalato con la sua autobiografia. Non ho parole per descrivere l’irreale sensazione di “sorpresa” che mi ha colto mentre scorrevo le pagine di “Dura solo un attimo la gloria. Una vita” (Mondadori Editore, 2014). Forse é accaduto perché é raro, oggidì, scaricare un qualsiasi libro sul nostro Kindle, è desiderare di volerlo “comprendere” pienamente, fino alla fine, nella certezza che saprà insegnarci qualcosa; o forse è accaduto perché non mi aspettavo di trovare, da nessuna parte, neppure alla fonte, altro materiale che potesse ulteriormente accrescere, in un qualsiasi modo o maniera, la già sconfinata ammirazione che io, come milioni di persone in tutto il mondo mondo, ho sempre avuto per Dino Zoff.

Se fossi Diogene di Sinope che se ne va in giro con la sua lanterna, forse a questo punto potrei direi: “Ecco l’uomo!”. E non cito Diogene a caso. Lo cito perché uno degli elementi che mi hanno maggiormente colpito nel testo (oltre la buona qualità scritturale che spero non sia dovuta all’intervento di un qualche ghost-writer, oltre la “rivelazione” di un Dino Zoff uomo culturalmente accorto), è la vena per così dire filosofica che lo percorre dall’inizio alla fine. Fin dal titolo, che io trovo molto “apropos” e che dice tanto, se non tutto, dello Spirito Grande che sta scrivendo, che si racconta. Certo, di filosofia contadina si tratta, perché contadino lo era Mario, il padre tanto ammirato da Dino, l’uomo che con i suoi “robusti” insegnamenti ha plasmato l’essenza del figlio come nessuno; ma quello di (degli?) Zoff è certamente un caso in cui una tale linea di pensiero (che é azione), fa piena equazione con le necessità della “sostanza”, proprio come l’avrebbe preferito lo scontroso Diogene.

Tra i tanti elementi che potrei menzionare per perorare la mia causa, cito l’esempio della reiterata proposizione del concetto di “responsabilità”, sul “campo” come nella vita. Mi ha colpito inoltre l’estrema onestà di approccio alle situazioni vissute e descritte, la forte capacità di autocritica così come la ferma determinazione a togliersi anche il minimo sassolino dalla scarpa, nella perfetta convinzione che in fondo non sono quelli che contano, perché tutto passa, perché le questioni importanti del nostro esistere sono altre. Naturalmente, “Dura solo un attimo la gloria” è anche un racconto bellissimo di circa mezzo secolo della nostra storia sportiva (e non solo), una favola antica di quando il calcio era cosa seria ed era a suo modo un altro “cuore” pulsante del Paese. Non manca infine il resoconto di momenti “topici” della nostra più intensa attualità sportiva delle decadi appena trascorse, tutti vissuti in prima linea da questo personaggio straordinario, dagli anni di Riva (“Decenni di isolamento furono spazzati via dalle cannonate di Gigi Riva. I minatori del Sulcis, gli operai del Sud, i pastori dell’entroterra, gente che magari di calcio non capiva niente, il lunedì mattina entrava al bar e chiedeva: “Ma il Cagliari è ancora a sinistra?” e il barista rispondeva con tono rassicurante: “Sì, sì, a sinistra e in alto”), a quelli della Grande Juventus, dalla morte di Scirea alle critiche a Bearzot prima della vittoria in Spagna, dalle telefonate mattutine di Agnelli allo scazzo con Berlusconi.

Soprattutto, non manca il regalo della sua più privata storia di vita. Di una storia di vita che è exempla, modello da imitare sotto ogni punto di vista, specialmente quando si tratta di stabilire, mi ripeto, la misura di un uomo. Per tutto questo… long live Dino Zoff, il portiere più forte del mondo!

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Di seguito, il breve estratto presentativo di questo lavoro che copio direttamente dal sito dell’editore.

«Ho giocato a calcio per quarant’anni, di cui undici di fila, senza riposarmi mai, nemmeno per una domenica, nemmeno con la febbre e con gli acciacchi. Quarant’anni trascorsi con la faccia affondata nell’erba, o nel fango, o sulle righe di gesso dell’area di rigore, con gente pronta a staccarti la testa pur di arrivare un secondo prima di te su una palla. Qualche volta ho perso, più spesso ho vinto, ma questo non è così importante. Mi hanno chiamato mito, monumento, leggenda. Le mie mani sono finite in un francobollo commemorativo firmato da Guttuso. Ho giocato a scopone con Sandro Pertini, scherzato con Karol Wojtyla, viaggiato con Gheddafi, mi sono confidato con Gianni Agnelli. Ho conosciuto ladri, poeti, eroi, capi di stato, bancarottieri, alcolisti. E oggi, dopo tutto questo, posso dire che aveva ragione nonna Adelaide, friulana dura come il mogano ma dolcissima: “È passato Napoleone che aveva gli speroni d’oro agli stivali, figurati se non passa anche il resto”. Tutto cominciò proprio con lei, a pensarci bene. In un pomeriggio qualunque di sessant’anni fa, a Mariano. Collezionavo foto sbiadite di portieri, strappate dai pochi giornali che arrivavano in paese, e sognavo di diventarlo anch’io. Ma ero mingherlino, crescevo poco, e per questo mi faceva mangiare uova ogni giorno. Poi quel pomeriggio si mise a giocare con me: tirava le prugne in aria e io dovevo prenderle al volo. Era un gioco per modo di dire: nelle case dei contadini, il cibo non si spreca, mai. Quindi, se volevo continuare a giocare con lei, dovevo prenderle tutte. Iniziò così. E arrivò tutto il resto. Il pallone vero, l’Udinese, il Mantova, il Napoli, la Juventus. I momenti belli e i momenti brutti. I campioni visti da vicino, gente geniale, dal talento divino, Sivori, Pelé, Altafini. E poi ancora la panchina da allenatore, la Nazionale in ogni sua forma. Le coppe, i fischi, i record. Ma, soprattutto, sono arrivati gli uomini veri, quelli dritti e silenziosi come mio padre. Gaetano ed Enzo, Scirea e Bearzot, amici, fratelli, esempi. Persone devote alla cultura del lavoro, della serietà, consapevoli anche loro che tutto passa, tranne la soddisfazione e la serenità di chi ha fatto il proprio dovere, fino in fondo. È a quegli uomini e all’intelligenza dei loro silenzi che penso ancora oggi, settant’anni e cento mestieri dopo. Succede ogni giorno, all’improvviso, quando al circolo, al golf, o al parco con i miei nipoti, mi capita di sentire il profumo dell’erba. Allora non riesco a domare un brivido, una nostalgia bellissima, istintiva. E mi dico che sì, aveva ragione mia nonna, la gloria dura un attimo solo. Ma certi attimi, se li sai coltivare, possono durare una vita intera.»

Featured image, Johann Tischbein, Diogene cerca l’uomo


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