Announo prometteva di sconvolgerci parlando di dipendenza da videogiochi, ma ha fallito la quest
Giovedì 21 maggio, durante Announo, è andata in onda un'anticipazione sulla puntata della settimana successiva della trasmissione. Il servizio di assaggio parlava del fenomeno League of Legends in Cina, connotandolo negativamente.
Brutto o bel servizio? Poco importa, visto che ha raggiunto il suo scopo. Ieri sera stavamo tutti lì davanti alla televisione con i forconi alzati in attesa che la solita teleinformazione violasse la sacralità del medium videoludico. Gran sacerdotessa della serata Giulia Innocenzi. Di nostro ci aspettavamo un bel dibattito demonizzante a base di politici indignati, psicologi allarmati, giovani scandalizzati e invece ci siamo ritrovati a vedere un guazzabuglio di servizi teoricamente incentrati sulla internet society, che hanno mescolato insieme alla rinfusa cyberbullismo, dipendenza da videogiochi, uso dei social network, suicidi, prostitute che si fanno selfie e chi più ne ha più ne metta. A contendersi la palma dell'ospite più inappropriato della serata hanno concorso Botulin Rodriguez, invitata per l'esperienza fatta con il suo video porno finito in rete (non ridete, suvvia), Antonio di Pietro, completamente fuori luogo e fuori ruolo visto l'argomento (come direbbe lui, che c'azzeccava?), la solita versione progressista dei giovani della De Filippi, quelli con idee zero, ma contrapposte con ardore, e ultimo, ma non per importanza, il vate Rocco Siffredi che ci ha illustrato la bellezza del porno libero sulla rete. Qualcuno potrà dire che è andato fuori argomento, ma in realtà la trasmissione era già andata completamente a donne di facili costumi (in tutti i sensi) quando è intervenuto lui, quindi in un certo senso si è dimostrato perfetto nella caoticità concettuale generale. Siamo rimasti delusi anche dallo psichiatra, che effettivamente c'era ma che si è limitato a parlare in modo generico del problema della dipendenza, con parole strappa applauso.
Insomma, e i videogiochi?
Di base la tesi della trasmissione non è stata "i videogiochi fanno male" o "internet fa male", ma "le nuove tecnologie che ruotano intorno a internet possono causare dipendenze o altri problemi se mal utilizzate".
Tutto qui? Purtroppo sì. I servizi erano costruiti tutti nello stesso modo, con inizialmente la descrizione folkloristica del fenomeno di turno, degradato piano a piano con l'inserimento di sequenze sempre più inquietanti, accompagnate da un intorbidimento delle musiche di sottofondo, che traghettavano verso i casi estremi di chiusura. Si parla di social network? Allora si mostrano prima i ragazzi che li considerano parte della loro vita quotidiana, per arrivare quindi al suicidio di una ragazza massacrata di offese per un video girato in discoteca e condiviso dalla sua cerchia di conoscenze. Si parla di videogiochi? Perché non far vedere quant'è colorato il mondo di League of Legends, sottolineando che intorno ci girano milioni di dollari, per poi finire a parlare di uno che è stato chiuso in casa per tre anni mangiando pochissimo e non lavandosi per giocare? Sinceramente, anche tra i videogiocatori, c'è qualcuno che può considerare positivamente un essere umano portato in fin di vita dalla passione per i videogiochi o per qualsiasi altra attività? Se un appassionato di cinema si sparasse in testa per rifare la scena della roulette russa di "Il Cacciatore" di Michael Cimino, qualcuno ci sprecherebbe sopra parole di elogio? Il problema è che oltre al caso estremo è mancato tutto il resto. L'errore di fondo è stato voler mettere nel calderone della trasmissione così tanti argomenti, senza approfondirne davvero nessuno. Da questo punto di vista gli ospiti vip della trasmissione si sono dimostrati totalmente inadeguati, parlando con formule generiche tanto per dare fiato alla bocca. I ragazzi non sono stati molto meglio. Qualcuno ha raccontato la sua esperienza, uno ha addirittura citato il PEGI, si è parlato di violenza e dipendenza come ne potrebbero parlare due amici ubriachi al bar, ma non si è andati oltre. Siamo a livello di commenti su Facebook espressi in forma orale, che poi forse sono l'unica forma di dibattito vero che ci rimane.
Muro contro muro
Insomma, il videogioco è stato connotato come al solito negativamente, ma senza gli eccessi tipici cui siamo abituati. Sinceramente abbiamo visto e letto di molto peggio di questo generico allarme contro il pericolo alienazione / dipendenza.
In realtà l'unico messaggio che ci è rimasto stampato in testa di tutta la trasmissione è che si è sprecata un'altra occasione di affrontare seriamente un settore che meriterebbe un po' più di rispetto dai media tradizionali, anche solo in termini di complessità dell'argomento trattato. A ingombrare il campo per l'ennesima volta c'era quella barriera che stabilisce un di qua e un di là, costruita sulla diffidenza reciproca. Da parte nostra, ammettiamolo, c'è una propensione alla reazione rabbiosa spesso esagerata, dall'altra parte però c'è ancora tendenzialmente quell'atteggiamento di chi si inoltra in un campo che gli è sconosciuto con la sola voglia di dimostrare delle tesi preconcette, che sono poi quelle che portano molti giornalisti a cercare sempre i casi estremi. Così facendo si ottiene sensazione, ma il fenomeno ne risulta inevitabilmente adulterato. Davvero non è possibile affrontare il videogioco in modo assennato e razionale, senza rappresentarlo inevitabilmente come una discesa all'inferno? Davvero non è possibile slegare il concetto di dipendenza da quello di videogiochi, dandogli una funzione specifica più ampia che prescinda dall'oggetto che lo fa manifestare?
Rocco ci salverà
Con questo non vogliamo sminuire alcuni dei problemi sollevati dalla trasmissione. Ogni nuova tecnologia di relazione comporta la nascita di nuove forme di socializzazione, che necessariamente vanno a raccogliere l'intero spettro di sensibilità da cui è composto il genere umano, violenza compresa. Non ci azzardiamo minimamente a ipotizzare una soluzione a problemi così vasti in queste poche righe, soluzione che nemmeno è detto che esista, data la complessità dell'argomento. Siamo anche coscienti che non è facile raccontare le nuove forme di comunicazione di massa nate con internet, che pretendono un isolamento costante anche quando si è insieme agli altri e che, nonostante siano immanenti, non si mostrano con facilità. Detto questo però, chiediamo anche che non si tenti di raccontare un mondo complesso e sfaccettato come il nostro con un servizio di pochi minuti ambientato in un universo a parte come quello cinese, dove l'isolamento della popolazione non è solo un problema della società virtuale, ma soprattutto una prospettiva politica, funzionale cioè al regime che controlla il paese. Se vogliamo, in forme molto diverse, è così anche da noi, ma affermandolo rischiamo di deragliare verso Bauman e non è questo il nostro obiettivo. L'unica cosa che conta è che a conclusione di tutto sia apparso san Rocco a dividere acque e argomenti con la forza dei suoi attributi. Ecco, davvero è possibile scandalizzarsi di una trasmissione la cui chiosa finale è stata affidata a lui?