diritti: averli e non saperlo

Creato il 21 ottobre 2011 da Valepi
Ieri sera, mentre leggevo l'intervista di bismama su alfemminile, ho avuto un'illuminazione.
Mi è tornata alla mente una vicenda che avevo completamente rimosso e che mi ha fatto arrabbiare oggi ancora più di allora.
A dirla tutta all'epoca nemmeno mi arrabbiai, nemmeno mi resi conto di quanto quel sistema mi aveva condizionato e, oggi, è proprio questa la cosa che più mi fa rabbia.
Ma andiamo con ordine. La domanda fatta a bismama è questa
Come si comporta lo Stato con una giovane donna incinta? Sei stata aiutata in qualche modo? E chi ti aiuta nella vita di tutti i giorni?
 e la sua risposta è stata questa
Non credo che la mia giovane età desse diritto a qualche privilegio particolare rispetto a chi diventa madre in età più avanzata. O almeno, se esisteva un'agevolazione del genere, io non ne ero a conoscenza. Non ho avuto alcun aiuto esterno in nessun senso. Anzi, ad esempio, alcuni organi della zona che dovrebbero sostenere le ragazze/donne in gravidanza non funzionano come previsto; nè a livello informativo nè pratico.
Nella vita di tutti i giorni, fortunatamente, sono presenti le nonne, oltre al papà, e ogni tanto posso contare anche sulla baby sitter.

e io, in preda ad una sindrome da teletrasporto spaziotemporale, in un attimo mi sono ritrovata a ormai più di 3 anni fa, ad annunciare al mio capo che ero incinta e a rischio e a dirgli che, per i successivimesi avrei abbandonato la baracca.
All'epoca, seppure ufficialmente ex dottoranda in carriera all'università, avevo un contratto come consulente con un'importante agenzia del ministero che mi permetteva di vivere e di portare avanti un progetto interno all'università su cui in passato avevamo sudato sangue per la progettazione. Lavoravo fianco a fianco con una delle amministrative più cazzute dell'università e mi scontravo ogni giorno per portare avanti la mia visione da consulenteespertaricercatrice che non sempre coincideva con quella dell'amministrativaburocrate, ma mi piaceva da matti.
La cosa migliore che seppe dirmi il capo, oltre a chiedermi ipocritamente perchè piangevo, io piangevo perchè sapevo che non sarei tornata e lui mi assicurava che sarebbe andato tutto bene... falso falsissimo... ehm... dicevo... la cosa migliore che seppe fare lui fu dirmi "Certo ora, dovremo pensare a... insomma, se rinunci al progetto, dai le dimissioni, almeno quei soldi potranno andare a qualcun altro"
Nella mia ingenuità mi sembrò addirittura la soluzione migliore, lasciare il posto ad una collega, d'altronde se io non lavoravo, che diritto avevo a continuare a far parte del progetto?
Fu l'amministrativaburocrate a farmi riflettere, quel giorno casualmente insieme anche al coordinatore dell'agenzia ministeriale. Quello che mi dissero in poche parole fu: hai un contratto che ti copre fino alla fine della gravidanza (che culo!), che ti garantisce malattia e gravidanza, perchè devi dare le dimissioni? è un tuo diritto. Starai a casa senza stipendio per i mesi in cui non potrai lavorare, ma almeno per i mesi coperti dai contributi dell'INPS potrai avere i contributi che ti spettano di diritto per la tua gravidanza.
Non riuscivo nemmeno a concepire di avere dei diritti, di poter essere tutelata nei periodi in cui non lavoravo, malattia gravidanza inps erano per me, precarissima della carriera universitaria parole tanto lontane quanto irreali.
Faticai non poco a convincermi che era la cosa giusta da fare. Per un sacco di tempo continuai a sentirmi in colpa per non aver lasciato il posto ad una collega (che peraltro dopo pochi mesi prese effettivamente il mio posto con un altro contratto) e per l'idea di ricevere del denaro senza lavorare. Ero troppo dentro a quel malefico sistema per poter accettare di avere dei diritti.
Per la cronaca, parte della progettazione fatta da me fu pagata, alla fine, alla moglie del capo, perchè ufficialmente una parte del progetto partì mentre io ero a casa a letto e in nessun modo riuscirono a giustificare che quella progettazione fosse stata fatta da me, ma io ho avuto tutti i contributi che mi spettavano e ancora ringrazio me stessa e chi mi ha convinto a "concedermi" il diritto di accettare i miei diritti.
Parallelamente un'amica, assunto da una ditta privata, rimase incinta: la ditta non solo non le pagò gli stipendi per il periodo in cui lavorò, ma si fregò anche i contributi dell'INPS (che, invece di andare direttamente a lei, come era capitato con il mio contratto, nel suo caso dovevano passare attraverso l'azienda).
Cominciai a rendermi conto del fatto che "avevo avuto culo" ad aver in quel particolare momento quel particolare contratto.
Cominciai a rendermi conto del fatto che non dovrebbe essere una questione di culo la tutela delle lavoratrici in gravidanza.
Cominciai a rendermi conto veramente di cosa significa inseguire una carriera precaria. Quella carriera che mi era sembrata tanto figa fino a quel momento cominciò a splendere un po' meno e a mettere in mostra lo sfruttamento, l'eccesso di sacrifici, la necessità di essere a disposizione H24 a 5 minuti di distanza, altrimenti sei fuori: via! avanti un altro.
Posso capire perchè avevo dimenticato quella mattinata a colloquio con l'amministrativaburocrate, oggi le sono infinitamente grata per essere stata così ligia alla regola e alla burocrazia e per avermi aperto un po' gli occhi.
La rabbia però è difficile da mandar via: anche se ormai ho fatto un passo avanti, mi sto costruendo un'altra vita, una nuova profesisonalità, continuo a sentire che mi hanno rubato qualcosa.

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