A diciassette anni avrebbe voluto pensare solo a divertirsi. A diciassette anni gli hanno amputato la gamba sinistra. Con la destra, in bici, è riuscito a raggiungere la vetta più alta del mondo.
Se gli chiedi se sia stata solo la rabbia a farlo diventare un vincente, sorridendo, ti risponde: “Non ho mai provato quel sentimento. Mi sono solo fatto forza per non essere schiacciato dal dolore e dalla disperazione”. Ha sempre pensato a tirar su il morale ai suoi genitori, che vedeva soffrire in silenzio.
Questo è Andrea Devicenzi, www.andreadevicenzi.it nato a Cremona nel ’73, che, in seguito ad un gravissimo incidente stradale – era in sella alla sua moto e si è scontrato in modo frontale con una macchina – ha perso un arto. Era il 28 agosto del 1990 ed aveva, appunto, 17 anni. Li aveva compiuti da poco più di un mese.
Ma cosa è successo dopo quella disgrazia? “Si è trattato – replica – di ricostruire la mia vita da zero, cambiando in modo radicale i miei progetti. Nel settembre successivo all’incidente mi sono iscritto ad una scuola per conseguire il titolo di “operatore d’ufficio”, breve, solo due anni, ma che mi ha fatto conoscere ed imparare l’importante uso del computer. In quel periodo mi è stata vicina tutta la mia famiglia. Ma sono stato io, con la mia forza, ad aiutare i miei ad uscire molto velocemente dal tunnel della disperazione. Volevo che si cominciasse insieme daccapo. Una nuova vita. L’incidente ha scompigliato anche l’esistenza dei miei genitori. Io e mio padre non potevamo più sperare di lavorare insieme. Di conseguenza svaniva il sogno di vedere mia madre sempre a casa e di non farla andare più a lavorare”.
Testardo Andrea è andato avanti. Non si è mai arreso. Ma come ha fatto? “Penso sia stata la gran voglia di vivere – afferma – che non ha permesso allo sconforto di farmi perdere nemmeno un secondo della mia vita. Dopo l’incidente ho pensato ad un immediato riscatto, ho fatto subito in modo che l’incidente non pregiudicasse il resto della mia vita. Ovvio, mi sono fatto quasi violenza per trovare la forza e il coraggio necessari ad andare avanti. E l’ho dovuto fare anche per i miei, che con me hanno sempre cercato di essere sorridenti, ma che da soli, sono sicuro, non facevano altro che rimuginare e mortificarsi.”.
Tante le gare “toste” che ha affrontato. “Le gare su circuito internazionale per me, inesperto – dichiara – sono state tutte molto dure e sofferte, ma l’avventura in India rimane quella più dura ed estrema http://www.verieroi.com/portal/lombardia/cremona/212-andrea-devicenzi-oltre-le-barriere.html. Percorrere 700 chilometri in MTB con un compagno senza jeep al seguito, su strade sterrate, con il cibo, vestiti ed altro, tutto agganciato alla bici, è stata una prova al limite delle capacità umane”.
Per la preparazione Andrea specifica: “Fino a maggio mi sono allenato prevalentemente per gare internazionali su circuito o crono. A giugno e luglio sono passato alla MTB, cambiando la tipologia di allenamento. Da allenamenti di 40/50/60 chilometri sono passato a tratti molti più lunghi, anche fino a 100/110 chilometri. Sempre in MTB”.
L’esperienza in India – Andrea lo sottolinea – è stata una prova estrema, una sfida con se stesso. “Ho sempre creduto nelle mie possibilità – rimarca – e da questa avventura sono uscito ancora più convinto di questo. Ho acquisito una positività ed una maturità che riesco a trasferire non solo nello sport, ma anche nella vita quotidiana, in famiglia, nel lavoro”.
Se pensa ancora a quell’esperienza in India, cosa le viene in mente? “Ogni singolo secondo. E’ stata - dice – un’avventura carica di emozioni, eventi, fatica. Ho un bellissimo ricordo della popolazione incontrata durante il tragitto, amichevole, disponibile. I paesaggi erano mozzafiato. Scalando ben tre passi da 5mila metri ed uno, il più alto, da 5.602 metri, si ha la possibilità di vedere tutto. Il ricordo va agli infiniti colori, che ad ogni curva modificavano le montagne: dal giallo al blu, dal viola all’azzurro. Non dimentico sicuramente i momenti di tensione – rari per fortuna – con il mio compagno di viaggio Stefano Mattioli, dovuti solo alla stanchezza, accumulata giorno dopo giorno. Impicci che si risolvevano in fretta. Quella è stata la prima avventura di un progetto di una squadra, di cui facevo parte nel 2010. Lo scopo era di dimostrare che anche con la disabilità si possono fare grandi cose. Bisogna credere fermamente nelle proprie capacità. Da due anni ho formato un Team con gli amici Alessandro Colombo e Alessio Borgato, entrambi Paralimpici. Continuiamo a portare avanti oltre all’attività agonistica, quella sociale. Cerchiamo di divulgare un messaggio: ‘La mente è il mezzo che ci fa fare qualsiasi cosa”.
Dallo scorso anno gli allenamenti sono cambiati. “Prima – specifica – allenandomi per il ciclismo, c’era solo la bici e i chilometraggi variavano dai 50 agli 80 chilometri, tranne alcune volte, in cui si superavano i 100chilometri. Da quest’anno, essendo passato al ParaTriathlon, devo suddividere la preparazione su tre sport: nuoto, bici e corsa. Mi alleno tutti i giorni – o quasi – variando la specialità ed il tempo. In media faccio dai 50 minuti all’ora e mezzo”.
Accanto ad Andrea c’è una donna. “E’ sicuramente anche merito suo se sono arrivato sino qui – dichiara – Io non sono più così giovane e nella mia vita ora c’è mia moglie, ci sono la mia prima figlia Giulia, di quasi otto anni, e Noemi di due e mezzo. Lavoro in un’azienda siderurgica della mia zona per almeno otto ore ogni giorno. Vi lascio immaginare il carico di lavoro che assorbe mia moglie”.
Intanto Andrea annuncia: “Terminati i Campionati del Mondo ad Auckland in Nuova Zelanda di Paratriathlon mi riposerò per due o tre settimane e poi con il team inizierò ad organizzare la prossima stagione”.
Cinzia Ficco