Immagino che la rete informatica che collega bancomat e banche sia fra le più sicure del globo. Eppure non riesco a togliermi l’impressione che parte di quella infrastruttura sia dedicata a far circolare fra gli sportelli automatici il seguente messaggio (naturalmente criptato): “Attenzione: quando arriva quello alto di Trieste divertiamoci!”.
Pensandoci meglio, anche io non sono del tutto innocente: le mie esperienze in materia vanno da un bancomat inchiodato in Bulgaria cercando di utilizzare all’estero una tessera valida soltanto in Italia (e negoziarne il rilascio con un funzionario di una banca di Sofia non é stata impresa semplice…) per arrivare ad un pomeriggio ormai mitologico in cui mi cadde la tessera bancomat durante una operazione di prelievo, infilandosi con precisione più che chirurgica in verticale nella grata su cui poggiavo i piedi. Provate a ripetere l’operazione – su un tappeto, per l’amore del Cielo, non su una grata! – e vi renderete conto di quale prodezza geometrico-fisica sia riuscita allo scrivente, che ha ancora nelle orecchie le brutte parole pronunciate in strettissimo abruzzese dalla portinaia dello stabile che costrinsi ad accompagnarmi nello scantinato che sottostava alla malefica grata.
Insomma, tutta ‘sta premessa per raccontare che oggi mi son recato al bancomat, già immaginando che qualcosa sarebbe andato storto: un chewing-gum lasciato da qualche buontempone sul tasto “conferma” oppure uno di quei simpatici personaggi che restano venti minuti davanti allo schermo, digitando con la lentezza di un amanuense e rileggendo con estrema attenzione la scritta “Inserire il codice segreto” per non meno di 32 volte.
Infatti era lì, e dopo aver sogghignato per le occhiate nervose che si lanciava alle spalle ogni dodici secondi e dopo aver sospettato che sullo schermo stessero trasmettendo una puntata di “Colpo grosso”, tale da l’attenzione con cui lo fissava restando immobile, ho deciso di cambiare banca. E sono entrato in uno di quegli spazi che ospitano i bancomat, sono accessibili solo dopo aver strisciato il bancomat e conservano una temperatura tropicale anche in pieno inverno.
Che sia questo il motivo per cui ci si inchiodano davanti?
Cosa poteva mai andare storto in simile contesto? Facile: dopo aver prelevato, la porta dello spazio è rimasta chiusa.
Dopo aver atteso una decina di minuti e aver premuto ossessivamente il tasto “apri porta” circa 400 volte, ho realizzato che mi restavano tre possibilità:
1. Sfoderare il telefonino e sentir sgnignazzare un poliziotto mentre cercavo di spiegargli che ero ostaggio di un bancomat;
2. Prendere a scarpate sempre più poderose la porta ottenendo un duplice primato: essere il primo a sfondare una vetrina per ENTRARE in una banca e primeggiare fra le morti più assurde dell’anno, considerando che sarebbe scattato l’allarme e sarebbero intervenuti trentadue parà sparando all’impazzata;
3. Poggiare il viso sul vetro come un cucciolo di beagle lasciato nella macchina, bussare insistentemente ad ogni passante e provare a far capire gestualmente che ero bloccato, e che un tentativo di apertura dall’esterno con la strisciata del bancomat era gradito.
Ho optato per la tre, e dopo due infarti a incolpevoli anziani del quartiere, una sessione di mimo mal riuscito con un turista australiano e un pietoso tentativo di alitare sul vetro per scrivere A I U T O S O N O B L O C C A T O con il polpastrello, un ragazzo più sveglio della media ha capito, strisciato, liberato il qui scrivente.
Abbiamo usato una penna per scrivere su un foglio di carta recuperato in un cestino “non entrare si blocca la porta” ed una Big Babol presa in edicola per attaccare il messaggio al vetro. Domattina provo a ripassarci, se ci trovo qualcuno addormentato dentro vi faccio sapere.
Esempio di bancomat posizionato in modo intelligente