Discorsi di critica a meta’

Creato il 15 ottobre 2015 da Amalia Temperini @kealia81

Negli ultimi giorni piove a dirotto. Ho ripreso a studiare in maniera abbastanza sostenuta argomenti messi da parte per troppo tempo, lasciati in disparte nel caos di un muro alzato per inspiegabili motivi con me stessa negli anni. In realtà accatonare la propria natura per ascoltare gli altri è spesso non salutare, sopratutto quando ci si divora in condizioni pessime di confronto.
Mi capita di parlare con gli artisti sovente, tutti presi da chissà quali problematiche esistenziali irrisolvibili. Ognuno convinto del proprio disagio esclusivo, ognuno senza accorgersi che le dinamiche sono sempre le stesse, uguali a quelle di tutti i comuni mortali: buona parte ha disagi familiari irrisolti, buona parte insegue dei miti irraggiungibili, buona parte imita travestendosi e immergendosi in personaggi che non confanno alla loro identità, alcuni provano l’improvvisazione, altri si tutelano,  vanno avanti, combattono per farsi strada e togliersi gli scheletri di quelli fin qui citati lasciati in dotazione nell’armadio infinito della vita.
Ho riso un giorno quando Jerry Saltz, noto critico americano, su Facebook, inseriva delle immagini medioevali per descrivere le loro azioni. Una efficace, ad esempio, fu quella di un tizio (un ignavo) che si trascinava da una parte a l’altra di un ambiente senza particolari descrizioni, il suo commento sagace fu una cosa del tipo: “l’artista, ogni volta che deve recarsi al suo studio”.
Illuminante, irriverente, libero.  Appoggio la sua linea dura adottata. Usa termini molto diretti,  sintetici ed è  estremamente sprezzante, fregandosene di tutto e tutti dice, parla, scrive. Lo temono ma e’ molto ambito, anche grazie alla sua partecipazione al programma “Work of Art” – un reality andato in onda in Italia su Sky Arte diversi anni fa.
Mi piacerebbe leggere di persone che si assumono questo tipo di responsabilità.
Nel mio piccolo quando mi capita di fare degli studio visit cerco di spronare alla ricerca, un qualcosa  che li spinge verso altro, lo studio umanista, che li faccia scavare sul personale, sulla propria esistenza. Non mi interessa costruire un dialogo che vada fuori asse, non presto più  ascolto alle loro argomentazioni di natura dialettica politicizzata. Fatti, voglio fatti, abbastanza concreti. Mi concentro sull’opera come oggetto di unica analisi e traccio una  lettura che spesse volte li disintegra a mette a nudo. Mi piace vedere come le loro fragilità vengano fuori in modo naturale e senza paura. Una volta chiusa questa linea di confronto il dialogo che tendo a costruire è di continuare sui margini che ho evidenziato per poterli indirizzare a migliorare. Lo faccio in tutta franchezza, soprattutto quando  mi pagano bene per effettuare una lettura critica del loro portfolio. Alla professionalità si risponde con la professionalità. Il resto solo chiacchiere vuote lasciate a morire.
Se si sceglie la via dell’arte c’è necessità di perseguire quella della grazia. Il resto è kitsch, presunzione, irresponsabilità e perdita di tempo.
Ne abbiamo talmente poco di tempo che già parlare per tante ore sembra non arrivare a nulla. Punti e sintesi, azione e risultato,utile, seppur estetico, ma utile.
Il messaggio che sto digitando potrebbe essere un work in progress. È quasi l’una.  Scrivo dal cellulare in totale cecità. Provo a dormire.


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