Per te leggere, in fondo, è sempre stata una questione indispensabile. Hai sempre avuto, sul comodino, dei libri che dovevi assolutamente divorare, delle cose che non potevi non inserire nel tuo bagaglio culturale, che non potevi non conoscere. Hai letto in maniera maniacale, a volte febbrile. Letture incrociate, multiple, intertestuali, crossover tra svariati generi, lingue, tipologie; fiction, non-fiction, poesie, racconti, raccolte, pamphlet, sillogi, plaquettes. Non hai mai riflettuto troppo sulla possibilità che venisse a mancare, che nelle tue giornate potesse non esserci del tempo da trascorrere in compagnia di uno o più libri. Non hai mai pensato che potesse diventare un’attività accessoria, addirittura non scontata.
Poi è capitato però che le tue giornate si siano improvvisamente complicate, riempite a dismisura. È capitato che i momenti per leggere – lettura intendiamoci spinta da qualsivoglia motivazione, comprese quelle di studio o professionali, in qualche caso – non fossero già lì a disposizione, ma necessitassero di essere ritagliati, pescati negli scampoli di tempo, sottratti allo scorrere delle azioni, degli spostamenti, degli impegni. Ti è capitato insomma di doverti proprio imporre di incastrarlo quel momento da qualche parte in mezzo alla tua sfiancante corsa giornaliera. E con tuo grande sorpresa di te sei accorto che hai finito con l’apprezzarlo forse ancora di più (quel momento di lettura) – cosa che ritenevi impossibile. Perché ti sei accorto che quel piacere (di leggere) non scontato è diventato uno spuntone a cui aggrapparti, uno spiraglio in cui intrufolarti. Ti sei accorto che quel momento non rappresenta la realtà, ma il suo opposto; un annullamento della realtà, una fuga, un’evasione, un distacco. Oppure la sua espansione; un’iper-realtà, uno specchio in cui ogni cosa appare più autentica, più piena, più corposa. Sedersi a leggere significa chiudere un mondo ed aprirne un altro, o molti altri, chiudere una vita – la tua vita – ed aprire le vite di altri, e le vite scritte da altri.
E capisci che quel momento di evasione e riflessione, fuga e poi ritorno non è fine ma solo mezzo. Il mezzo per non abbruttirti e imbarbarirti del tutto, per allontanare l’ansia, per sentirti meno sconfitto, meno spaesato e forse anche meno solo. Perché trovi in qualche posto sperduto che ruota nei pressi dello stomaco, una certa empatia, nascosta dietro gli scompensi dell’esistenza. Tra autori e personaggi. Tra le vicende narrate. E con tutti quelli che, come te, in quello stesso momento hanno messo in pausa il mondo per scappare da un’altra parte; che sempre mondo è, ma per qualche motivo più bello.
E ti sta succedendo proprio adesso, allora, di trovare queste riflessioni forse un po’ troppo romantiche, fanciullesche, spontanee, poco intellettuali. Di pensare che in questa visione della lettura c’è qualcosa di troppo essenziale, elementare, primigenio e soprattutto ingenuo. Ma sai anche che non ti disturba. Perché sei consapevole che, se ti desse fastidio, probabilmente non saresti né un lettore “forte” né “fortissimo”. Che saresti anche tu, in un certo senso senza scampo. Condannato a una sola vita; la tua. E stai sperando che sia davvero così. Perché pensi che se così non fosse, che se tutti fossimo condannati a essere noi stessi per tutto il giorno, a vivere la nostra vita per tutto il giorno, a magiare briciole di realtà tutto il giorno, a pensare i nostri pensieri per tutto il giorno, allora questo mondo triste, fatto di crisi, guadagni, stipendi, precari, lavoro, malattie, sarebbe tanto, troppo, più triste.
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