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Discriminazione territoriale: chiusura delle Curve della AS Roma

Creato il 11 febbraio 2014 da Tifoso Bilanciato @TifBilanciato

La Lega Nazionale Professionisti di Serie A, con il Comunicato Ufficiale n. 123 del 6 febbraio , in conseguenza del comportamento tenuto dai propri tifosi che,  in occasione della gara Roma Napoli di TIM Cup, hanno tenuto un " comportamento discriminatorio per motivi di origine territoriale"  per la "dimensione" e la " percettibilità reale", ha sanzionato la AS Roma con l'ammenda di €50.000 e, soprattutto, con l'obbligo di disputare  "una gara con i settori denominati Curva Sud e Curva Nord privi di spettatori" . 

Inoltre alla Società è stata comminata una ammenda di € 30.000 per "aver i suoi sostenitori  lanciato all'inizio della gara, al  15 ° del primo tempo  ed al 42° del secondo tempo un bengala acceso nel settore occupato dai sostenitori della squadra  avversaria…".

Nel contesto del provvedimento è stata, peraltro, posta in evidenza la concreta e continuativa collaborazione fornita alle Forze dell'Ordine nella prevenzione delle manifestazioni di violenza e di discriminazione

Proprio in relazione al primo e più grave provvedimento di chiusura delle Curve, Federsupporter ha ritenuto di analizzare la disciplina  sulla discriminazione negli stadi, già presa in esame in precedenti note  dell'ottobre scorso (9, 11 e 18).

Tale analisi è riportata nelle allegate Note elaborate dall'Avv. Rossetti, in relazione ad una recente decisione  della Corte di Giustizia Federale in occasione della gara Frosinone-Benevento del 3 novembre 2013, decisione che ha stabilito alcuni punti fermi sullo specifico tema della discriminazione territoriale.

 

 

 

Federsupporter logo bianco Discriminazione territoriale: chiusura delle Curve della AS Roma

 

Come è noto, nell’estate 2013, la FIGC, recependo una disposizione del Regolamento di disciplina dell’UEFA, ha introdotto, all’art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva (CGS), il reato sportivo di discriminazione territoriale.

Essa consiste in atti e comportamenti che insultano la dignità e la libertà umana di soggetti o gruppi, comunque posti in essere, basati su affermazioni discriminatorie originiate dal colore della pelle, dalla razza, dalla religione e dalle origini territoriali.

Successivamente, la suddetta disciplina è stata emendata dalla FIGC, con delibera pubblicata il 16 ottobre 2013, attraverso l’introduzione della sospensione condizionale delle sanzioni da infliggersi per la violazione del divieto dei cennati atti e comportamenti.

 

Ciò premesso, Federsupporter, in occasione del Seminario di Diritto dello Sport, tenutosi l’8 novembre 2013, in Roma, presso l’Hotel Valadier, organizzato insieme con Criteria Ricerche srl, AIAS (Associazione Italiana Avvocati dello Sport), AIC (Associazione Italiana Calciatori) e SLPC (Sports Law and Policy Centre), aveva presentato ed illustrato un dossier sulla discriminazione negli stadi, contenente mie note sul tema del 9, 11 e 18 ottobre 2013.

In tali note si esprimevano numerose perplessità e critiche in merito alla disciplina in questione, soprattutto per le complesse problematiche interpretative ed applicative cui essa avrebbe potuto dar luogo.

Problematiche, poi, puntualmente presentatesi.

In particolare, le perplessità e le critiche si focalizzavano sulle difficoltà di determinare, di volta in volta, la natura discriminatoria di atti e comportamenti, sì ingiuriosi, ma che vanno pur sempre contestualizzati nell’ambito di una partita di calcio e di uno stadio, notoriamente eventi e luoghi non sacri e salottieri, essendo l’evento sportivo, di per sé, un accadimento che oggettivamente pone in conflitto due comunità con forte senso di identità e di appartenenza.

Non solo, ma evidenziavo anche come, ai fini della valutazione, se discriminatoria oppure no, di ingiurie e offese da stadio, si dovesse tenere conto di storiche, secolari contrapposizioni campanilistiche peculiari del nostro Paese che, però, non hanno mai avuto e non hanno caratteri discriminatori.

Rilevavo, altresì, come certo estremismo e fanatismo, a volte controproducenti, antidiscriminatori fossero dovuti all’imperversare del principio del “politicamente corretto”, già definito nel 1989 su di un articolo su “L’Unità” da Natalia Ginzburg “Linguaggio artificioso, cadaverico”, sintomo di una “società che ignora l’ironia e ritiene di poter coniare e diffondere a getto continuo le proprie irreali parole. Ci troviamo così circondati da parole che non sono nate nel nostro vivo pensiero, ma sono state fabbricate artificialmente con costruzioni ipocrite, per opera di una società che ne fa sfoggio e crede con esse di aver mutato e risanato il mondo”.

 

Parole che, oggi, trovano conferma in quelle dell’antropologa e saggista Ida Magli, la quale, a pagina 59, del suo saggio “Difendere l’Italia”, Rizzoli Editore, 2013, definisce il politicamente corretto  come “la più efficiente delle censure perché prima di essere una censura, è un lavaggio del cervello, tende – e riesce – a estinguere il pensiero a vedere e a percepire in maniera allucinatoria la realtà attraverso definizioni e concetti precostituiti”.

 

Uno strumento, aggiungo io, con il quale, nel tentativo di eliminare ogni diversità per omologare tutto e tutti, si è arrivati al punto di voler abrogare le parole “padre” e “madre”, per sostituirle con quelle, allucinanti e allucinatorie, di “genitore 1” e “genitore 2”.

 

Orbene, a fare un po’ di chiarezza e a reintrodurre un po’ di buon senso, è intervenuta una decisione della Corte di Giustizia Federale (CGF), a Sezioni Unite, data l’importanza, la novità e la delicatezza del tema, del 28 novembre 2013, pubblicata con Comunicato Ufficiale n. 179 del 20 gennaio 2014.

La Corte si è pronunciata con riferimento alla chiusura di una parte dello stadio comunale di Frosinone, dovuta al comportamento di tifosi del Frosinone Calcio in occasione della partita Frosinone – Benevento del 3 novembre 2013.

La chiusura era stata disposta dal Giudice Sportivo presso la Lega Pro perché “i sostenitori della società Frosinone, più volte, durante la gara, intonavano cori inneggianti alla discriminazione territoriale verso la città di Benevento”.

La CGF, nel commutare la sanzione della chiusura di una parte dello stadio in una ammenda di mille euro a carico del Frosinone Calcio, ha stabilito alcuni punti fermi in tema di discriminazione territoriale.

Essa ha sancito che “rispetto al concetto di discriminazione è necessario distinguere, in seno ai diversi comportamenti, ciò che costituisce un effettivo atteggiamento discriminatorio limitativo della dignità e della libertà personale ed atto ad offrire al destinatario ridotti diritti e a porre in essere, nei suoi confronti, atteggiamenti ghettizzanti dal mero insulto becero ed ineducato, che deve essere ugualmente sanzionato, anche in maniera ferma, ma che non comporta per il destinatario dell’insulto (o i destinatari) alcuna specifica limitazione (discrimine) della sua libertà e/o dignità.

Tali comportamenti, che pur debbono essere impediti dalle società alle quali i tifosi (o presunti tali) sono ascrivibili (sia in casa, che in trasferta) non sono, però, qualificabili come discriminatori e non sono sanzionabili a norma del novellato terzo comma, dell’articolo 11, del Codice di Giustizia Sportiva”.

Gli “insulti beceri ed ineducati” di cui trattasi consistevano in “Benevento vaffan…” e in “Chi non salta è un sannita di m…”  .

Spiega, infatti, la Corte che “Come detto, in precedenza, ciò che va valutato come discriminatorio è ciò che limita la libertà personale, crea delle barriere, ridicolizza le abitudini dei destinatari, individuati con la loro provenienza territoriale, quale caratteristica discriminante che non solo viene messa in berlina, ma segnala, dal punto di vista limitativo e discriminatorio, gli abitanti di luoghi aggettivati come portatori di minori diritti.

In tal senso la matrice territoriale spesso costituisce solo il criterio individuativo della parte avversa da offendere con l’espressione becera ed insultante e non tanto, dunque, l’aspetto delimitativo oggetto dell’atteggiamento discriminatorio e dunque lesivo della più intima libertà e dignità delle persone che hanno ragione di sentirsi offese in quanto appartenenti, per nascita o dimora, ad una data collettività territoriale”.

 

Non solo, ma la CGF ha anche tenuto conto del fatto che vi sia stata una reciprociticità di offese, in quanto i tifosi o, come dice la Corte, “presunti tali” del Benevento lanciavano a loro volta, slogan, quali “C’è chi la chiama mi…a, c’è chi la chiama putt..na, noi la chiamiamo ciociara” e “La Ciociaria ci sta sul c…o.  Frosinone m…a”.

Laddove sembra che, in qualche modo, si sia voluto considerare che, in tema di ingiurie, il Codice Penale (art. 599) prevede che, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.

 

Un altro punto fermo sancito dalla Corte riguarda la non punibilità di atti e comportamenti discriminatori in assenza di valutazione della loro dimensione e percezione reale: requisiti che la normativa federale pone come condizioni ai fini della sanzionabilità di tali atti e comportamenti.

A questo proposito, la CGF afferma “Quando si riferisce alla dimensione il legislatore federale ferma la sua attenzione su episodi che si debbono caratterizzare per la loro odiosa ripetitività, il che impone, da una parte, di non dover considerare i casi singoli, in quanto non rientranti nella fattispecie in essere. Anche per quanto riguarda la percezione è evidente che il legislatore federale, con l’emendamento dell’ottobre 2013, abbia voluto fare riferimento alle conseguenze dei comportamenti discriminatori e non solo al mero fatto che l’atteggiamento in parola (striscioni o cori) sia stato letto o ascoltato da qualcuno.

E’ evidente che ci si deve trovare in presenza di fattispecie che abbiano avuto una effettiva incidenza, di segno negativo, sulle funzioni dell’evento sportivo e quindi dello “spettacolo” ed abbiano potuto turbare non solo il destinatario (o destinatari) dello striscione o del coro, ma anche gli altri spettatori che hanno pagato il biglietto per assistere allo spettacolo e non certamente per essere, direttamente o indirettamente, colpiti da atteggiamenti discriminatori e provocatori e comunque lesivi del loro spirito democratico (art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana)”.

 

Conseguentemente, aggiunge la Corte, “viene richiesto al Commissario di campo, e comunque agli organi federali preposti, un maggior grado di valutazione e approfondimento, in tema di attività discriminante, il quale deve contenere  la esatta indicazione della provenienza del coro e del luogo in cui è stato affisso lo striscione e l’analisi, acquisita anche (se necessaria) attraverso una propria attività istruttoria, della reale percezione e della dimensione (ripetitività ed offensività, idonea alla discriminazione e non mera volgarità) del fenomeno”.

 

[Fonte: Federsupporter]

 

 

 


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