Chi sa, fa. Chi non sa far niente, insegna. Chi non sa insegnare, insegna educazione fisica. E chi non sa insegnare manco educazione fisica, insegna l’educazione siberiana. In questo caso John Malkovich, il nonno del protagonista del film di oggi. La recensione è iniziata da appena un paio di righe e io non voglio fare subito il pignolino, ma qualcuno mi spiega perché John Malkovich è considerato un grande attore? Mistero, come direbbe Enrico Ruggeri con la sua vouce fastidiousa. È dai tempi di Essere John Malkovich, in cui peraltro interpretava se stesso - che fatica! -, che non fa un film decente e anche prima non è che abbia avuto tutti ‘sti ruoli memorabili o girato chissà quali enormi capolavori. Senza offesa, o forse un po’ sì, ma John Malkovich poi ha pure la faccia da scemo come pochi. Oltre a delle orecchie enormi.
Essere John Malkovich? No, grazie.
Ho attaccato John Malkovich e ora per par condicio attacco me stesso. Chi non sa fare cinema, fa il critico. Chi non sa fare il critico, mette su un blog di cinema, come me. Contenti adesso, fans di John Malkovich?
"Cannibal ce l'ha con me solo perché non prego il suo Dio: Kanye West."
E dopo aver attaccato John Malkovich e me stesso, passo ora a prendermela anche con Educazione siberiana. Nessuna pietà per niente e nessuno, oggi. Educazione siberiana è la versione brutta di un bel film. Tratto dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin che pare abbia avuto un discreto successo ma che non ho letto e che, dopo aver visto l’adattamento cinematografico, manco m’è venuta la minima voglia di recuperare, Educazione siberiana è la classica storia di formazione. Allo stesso tempo è anche una vicenda criminale. In pratica, si tratta di una formazione criminale. In Moldavia, il bimbominkia Kolyma è cresciuto insieme all’amichetto Gagarin dal nonno John Malkovich, che insegna loro i precetti base della comunità criminale siberiana. Secondo la sua particolare visione del mondo, i soldi non vanno mai tenuti in casa. Roba che se passa uno da te e ti regala un milione di euro (fatto che potrebbe realmente capitare) tu devi dire: “I soldi? No, bleah, che schifo. Vade retro Satana.” I soldi sono banditi, ma non la violenza. In pratica è su queste basi, e su qualche altra cacchiata che ora non ricordo, che si fonda l’educazione siberiana. Bella, eh? Vi è venuta una gran voglia di iscrivervi subito a un corso di educazione siberiana dance, vero?"Ma tu hai capito cos'è, 'sta educazione siberiana?"
"Macché, io da quella materia e da religione mi sono fatto esonerare..."
Peccato, perché i giovani siberiani avrebbero potuto formare un quartetto di amiconi come gli hobbit de Il signore degli anelli. È anche qua che sta la differenza tra il cinemino italiano attuale e i filmazzi americani. Per quanto stereotipati e ripetitivi possano essere pure questi ultimi, di solito c’è una buona costruzione dei personaggi secondari. Fosse stato un film americano, Vitalic e Mel sarebbero probabilmente diventati degli idoli. Ma vabbè, l’importante è che almeno i personaggi principali siano costruiti al meglio, giusto?
"Ma come? Fai tanto il duro e poi vuoi che ti tatui il volto angelico di Justin Bieber?"
A proposito del cinema di David Cronenberg, Gabriele Salvatores ha voluto girare un po’ il suo La promessa dell’assassino, così come evoca vagamente anche City of God, Romanzo criminale e I guerrieri della notte. Anche se il riferimento principale del regista italiano sembra essere un altro, molto poco impegnativo: C’era una volta in America di Sergio Leone. In teoria, nelle sue intenzioni è una specie di C’era una volta in Siberia. In pratica, è una copia sbiadita girata a tratti con stile da videoclip anni ’90, perché fa figo, a tratti con stile più classicheggiante. Indeciso su quale direzione prendere, Salvatores ci infila dentro pure la splendida “Absolute Beginners” di David Bowie, in quella che (teoricamente) dovrebbe essere una delle scene emotivamente più forti della pellicola. Ma una bella canzone non basta per fare una bella sequenza, né tanto meno un bel film. Il risultato finale è una pellicola che non riesce minimamente a lasciare il segno. Laddove probabilmente il romanzo riusciva a far avvicinare il lettore all’esperienza della vita in queste gang criminali post-URSS, provata in prima persona dall’autore Nicolai Lilin, l’adattamento di Salvatores appare del tutto distaccato e non coinvolge. Va bene la freddezza, ma qua tira proprio un gelo siberiano. (voto 5/10)