La carenza di capitale sociale delle regioni meridionali si può spiegare con la carenza di fiducia tra i cittadini, e questa può spiegarsi con la più marcata presenza di fattori che accentuano le diseguaglianze sociali.
Lo aveva già spiegato Tocqueville: la condizione perché i cittadini si impegnino per la comunità e sviluppino senso civico è che condividano un sentimento di fiducia generalizzato e la fiducia, a sua volta, cresce sul terreno reso fertile dall’eguaglianza delle condizioni. La teoria dei giochi, l’economia sperimentale e numerosi dati di survey confermano l’equazione di Tocqueville: la fiducia fra gli attori sociali si genera se c’è familiarità e se c’è ragionevole attesa che la relazione si protrarrà nel tempo. Le diseguaglianze, invece, allontanano le persone e i gruppi gli uni dagli altri, segmentano e frammentano la società, le comunità, i gruppi, erodono i legami sociali, rendono meno frequenti le interazioni sociali, specie fra gruppi eterogenei, ne cristallizzano le diversità e dunque diffondono sfiducia e così invitano al disimpegno, scoraggiano l’investimento in capitale sociale.
Gli italiani che nutrono questo tipo di fiducia e cioè che concordano con l’affermazione che la maggior parte della gente è degna di fiducia sono meno di uno su tre (29,2%) e quelli che non fanno parte di alcun gruppo o associazione sono oltre la metà (il 58%). Tuttavia queste caratteristiche non sono distribuite in modo omogeneo sul territorio italiano: al Centro-Nord i cittadini che si fidano sono il 33,4% mentre nel Mezzogiorno sono il 16,4%. Forse nel Mezzogiorno i cittadini sopo più propensi a coltivare la fiducia focalizzata, quella delle relazioni personali, ma quella di cui stiamo parlando è la fiducia che permea le relazioni impersonali.
Fidandosi di meno, i cittadini del sud si impegnano di meno in attività civiche e sociali e fanno meno volontariato, come mostrano tutte le ricerche sulla dotazione di capitale sociale delle regioni italiane. Ma, come predice l’equazione di Tocqueville, al Sud le diseguaglianze sono più pronunciate (e lo sono state anche storicamente).
Le diseguaglianze sociali del Mezzogiorno sono l’esito di una più accentuata diseguaglianza di reddito, di tassi più elevati di disoccupazione, di una maggiore incidenza della povertà e, non ultimo, di forti asimmetrie di genere e generazionali dei tassi di attività.
La disoccupazione alimenta la sfiducia perché è un fattore di diseguaglianza. Chi è senza lavoro è meno propenso a fidarsi. Secondo la World Value Survey 2005, in Italia i disoccupati che nutrono fiducia sono il 26,3% contro una media del 29,2%: è una delle percentuali più basse fra tutte le categorie occupazionali considerate.
Nelle regioni del Mezzogiorno la disoccupazione è quasi tripla rispetto a quelle del Centro-Nord. La percentuale media è 13% contro 5%.
La struttura occupazionale del Mezzogiorno, inoltre, così fortemente sbilanciata verso il modello del male breadwinner (l’uomo che mantiene la famiglia), contribuisce alla emarginazione femminile e giovanile. Questo è un ulteriore fattore di diseguaglianza, e così alimenta la già consistente quota di sfiducia.
Al pari della disoccupazione, la povertà incide sulla fiducia sia indirettamente, perché contribuisce ad aumentare le diseguaglianze, sia direttamente perché la popolazione più in basso nella scala di reddito è anch’essa quella meno incline a nutrire fiducia. Nell’ultimo percentile di reddito, quello che include i poveri, solo il 15% nutre fiducia verso gli altri.
Come la disoccupazione, anche la povertà è più diffusa al Sud. La percentuale media di famiglie povere al Centro-Nord si aggira intorno al 6% mentre nel Mezzogiorno giunge al 25%. Non diversa l’incidenza della povertà a livello individuale. Lo scarto è drammatico. Per ogni famiglia e per ogni individuo povero del Centro-Nord ce ne sono quattro nel Mezzogiorno.
Nel corso degli ultimi quarant’anni le diseguaglianze sono prima diminuite e poi, ad inizio anni Novanta, sono aumentate. La società italiana di oggi è più disuguale di quella della fine degli anni Ottanta.
In questo lasso di tempo la fiducia ha conosciuto un andamento simile ma con segno invertito: è cresciuta fra il 1980 e il 1990, quando le diseguaglianze diminuivano, mentre dopo, quando sono aumentate, è diminuita. Nel Mezzogiorno, la percentuale di gente che si fidava era salita nel 1990 al 28,2 mentre nelle due rilevazioni successive è scesa prima al 26% e poi al 16,4%.
Gli studiosi sono pressoché unanimi nell’indicare nella dotazione di capitale sociale la risorsa strategica per lo sviluppo. Meno unanimità c’è sulle cause della scarsa dotazione di capitale sociale di una società. Le evidenze citate suggeriscono di tornare a guardare alla struttura sociale per spiegare perché gli attori sociali sono poco inclini a fidarsi gli uni degli altri e a investire in capitale sociale. Su questa base è forse possibile costruire policy con una prospettiva di riuscita maggiore di quelle già vanamente sperimentate.[1]
[1] Dati tratti da World Values Survey (www.worldvaluessurvey.org); da http://www.bancaditalia.it; e da Cannari L. e D’Alessio G. (2003), “La distribuzione del reddito e della ricchezza nelle regioni italiane”, Temi di discussione, Servizio Studi, Banca d’Italia, n. 482.