Dislessia e discalculia…questi sconosciuti (Seconda parte)

Da Psytornello @psytornello

Il problema fondamentale della dislessia, e di conseguenza della disortografia, riguarderebbe il modo in cui il cervello rappresenta i suoni in segni scritti. Lo proverebbe anche il fatto che, mentre la “cecità verso i numeri” ha la stessa prevalenza ovunque, “la cecità verso le parole” , no. Varia da Paese a Paese. Se in Italia ne soffrono circa tre, quattro bambini su cento, soprattutto maschi, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna si arriva a percentuali bulgare, fino al 17%. Al punto che alcune persone bilingui possono incespicare in un idioma ma andare spediti come treni nell’altro.
“Le lingue che creano maggiori difficoltà sono quelle con un’ortografia non trasparente, cioè in cui a un segno corrispondono più suoni (per dire, la i di pink si legge i, mentre la i di blind si legge ai), o in cui a uno stesso suono corrispondono più segni (per esempio where o were)”, spiega Vicari. Con i suoi 40 fonemi e 1.120 forme grafiche per rappresentarli, l’inglese è ben più ostico per un dislessico rispetto all’italiano, che conta solo 25 fonemi e 33 forme grafiche. In cinese le cose si complicano ulteriormente. Per codificare un testo, non è sufficiente elaborare le lettere dell’alfabeto, unirle in parole, convertirle in suoni e tradurle a voce. Bisogna memorizzare un gran numero di simboli diversi, i cosiddetti ideogrammi (circa cinquemila), a ciascuno dei quali corrisponde una parola. Secondo Li Hai Tan, professore di scienze cognitive dell’Università di Hong Kong, per un dislessico, al disturbo fonologico nei Paesi asiatici si aggiungerebbe un disturbo visuo-spaziale, cioè la doppia difficoltà di estrapolare da una forma sia il suo suono che il suo significato. Insomma, chi ha ragione? “Tutti. Ormai è chiaro che il disturbo della lettura e della scrittura può essere il punto di arrivo di processi alterati diversi tra loro, ed è cruciale capire qual è l’inghippo di partenza per orientare la terapia”, chiarisce Vicari.

A differenza della dislessia, che ha attirato una mole di studi, la discalculia è stata a lungo sottovalutata. Negli ultimi anni, l’attenzione è cresciuta, è stata fatta luce sulle cause neurobiologiche e sono stati sviluppati strumenti e strategie per aiutare i bambini che arrancano paurosamente in matematica. Come “Number Catcher”, un gioco per computer e smartphone creato dall’Istituto Nazionale Francese per la Ricerca in Medicina (Inserm) che, mentre si sparano in aria palline colorate, si acchiappano gettoni d’oro o si incastrano mattoncini, permette di maneggiare addizioni, moltiplicazioni, frazioni, rafforzando i circuiti cerebrali della rappresentazione e manipolazione dei numeri. “Più gli interventi di riabilitazione sono precoci, maggiori sono i risultati”, commenta Penge. Tuttavia, dislessia, disortografia e discalculia non se ne vanno mai del tutto. Non si “guarisce” e la fatica rimane.
Sono ancora pochi gli studi sull’evoluzione della dislessia in età adulta e la diagnosi è difficile, perché in Italia sono pochi i centri che si fanno carico di soggetti sopra i 18 anni. Comunque sia, a qualsiasi età si può imparare ad aggirare gli ostacoli e conviverci bene. Come? Trovando vie alternative per studiare. E confidando nella tecnologia. Perché accanto a test mnemonici, giochi linguistici, esercizi fonologici, di solito previsti per migliorare le competenze, vengono in soccorso computer, video-lezioni, audio-libri, correttori ortografici, sintetizzatori vocali, software di dettatura che alleggeriscono, e parecchio, l’impegno sfiancante per gestire l’informazione scritta.  Quel che conta, in fondo, è il fine, non il mezzo. Lo scorso anno, uno studio dello Smithsonian, pubblicato su Plos One, ha dimostrato che almeno un terzo dei dislessici legge meglio su e-book rispetto a libri tradizionali, grazie alla possibilità di impostare righe di testo più brevi e in quantità inferiore. Anche il carattere tipografico può aiutare. “Ne sono stati sviluppati diversi per dislessici. In generale, i caratteri (font) con le “grazie”, cioè code e uncini, sono meno leggibili dei caratteri “bastoni”, senza fronzoli, come Arial”. Secondo il sito Dislexic.com, il migliore è il Trebuchet MS, disegnato per Microsoft nel 1996, con il suo corpo snello e i lunghi tratti ascendenti e discendenti (come la gamba della q o l’asta della b). Fra gli ultimi arrivati c’è Dyslexie, studiato dal designer Christian Boer affinché ogni lettera abbia una forma unica e facilmente riconoscibile.

Intanto la ricerca continua a sperimentare strategie sempre nuove. “Negli adulti si sta testando la stimolazione magnetica transcranica, che consiste nell’indurre impulsi elettrici a livello della corteccia cerebrale attraverso un campo magnetico per dare una scossa alle aree che funzionano un po’ meno”, illustra Vicari. “Una tecnica più soft consente nell’indossare una cuffia che emana una debole corrente continua, paragonabile a quella del mouse. Migliorerebbe le performance cognitive e la capacità di apprendimento”. Ma mentre si profilano questi scenari alla Matrix, il consiglio più importante è invece a portata di tutti: prenderla con filosofia (soprattutto i genitori, che hanno un ruolo cruciale su come il figlio vive la propria condizione). “Raccomando di sdrammatizzare e vivere con serenità il disturbo, ché non è una malattia e non è la fine del mondo”, sottolinea Vicari. “Pensiamo sempre che dietro a un dislessico può nascondersi un piccolo Albert Einstein”. E scusate se è poco. 

Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 270 – Aprile 2015


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