Essa, la matematica, non esprime un livello assoluto di conoscibilità, essa serve passivamente a quantificare il livello di conoscibilità presente per poi congetturare sul passo successivo, è quindi uno strumento potente tanto quanto è affinata la capacità acquisita dall'uomo di farsene uso per esprimere un pensiero intuitivo deduttivo totalmente esente dalla necessità di un codice (insight).
Ma!
Se l'idea di universo confinato e legiferato di base fosse un istinto legato alla nostra percezione dello stesso? Le tartarughine uscite dalla sabbia si muovono verso l'acqua. Non hanno mai visto l'acqua, non sanno cos'è, ma sanno che devono andare la, che devono comportarsi in una certa maniera evitanto di comportarsi in qualunque altra. Si può dire che tutto è portato a comportarsi in una maniera anzichè in un'altra e questa maniera è determinata dalla sua stessa natura e via via possiamo estendere questo paradigma fin'anche alla particella più piccola conosciuta. Il concetto di esistere porta già in se vincoli legati ad una progressione di eventi che sembra evolversi verso una direzione precisa dando l'impressione di un certo equilibrio di fondo, ma è solo un'impressione, anche noi abbiamo un mare verso cui correre, ed al momento la matematica rappresenta le nostre gambe mentre è a noi incomprensibile una realtà smisuramente più vasta. E' assurdo pensarlo? Se la matematica è subordinata dunque al pensiero creativo e deduttivo, essa è fallibile in quanto noi siamo fallibili.
La domanda che mi solletica la corteccia a questo punto non riguarda la matematica o i limiti del pensiero umano. La domanda interessante è più intima e maliziosa: Perchè dobbiamo farlo? C'è modo di non correre verso il mare e sopravvivere?
(forse davvero alla fine di ogni istante arrivano degli animalazzi a mangiare una realtà ormai sterile... se prendete l'aereo occhio alle aurore boreali e agli squarci temporali.)