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Dissesto italiano: le tragedie e le parole del “giorno dopo”.

Creato il 12 ottobre 2014 da Cibal @CiroBalzano26

Dissesto italiano: le tragedie e le parole del “giorno dopo”.


Non sarà l’ultima tragedia, e nemmeno la prima, a cui dovremo assistere inerti, senza poter cambiare qualcosa.

Ormai è questa la frase a cui dobbiamo abituarci ogni volta in questa nazione ed è la frase che, con lungimiranza, aveva affermato la maggior parte dei cittadini italiani appena tre anni fa, come di consueto.
La tragedia di Genova, che si è ripetuta nuovamente dopo quella del 2011, continua a sottolineare una cosa più di tutte le altre: in questo paese si è lucidi nei giorni appena dopo una tragedia.

È davvero un paradosso. Da una parte l’operosità di una città che non si stanca di rialzarsi, con i suoi cittadini che spalla a spalla si aiutano a vicenda, condividendo sempre il solito orrore dinanzi alla devastazione di quel fiume di acqua e fango che non si ferma dinanzi a nulla, dall’altra parte invece l’impassibilità, la scarsa concretezza di una politica che continua ad offendere nella dignità i propri figli, coloro i quali rendono quelle persone capaci di sedersi in quelle comode poltrone di pelle, sempre più lontani dalle cose reali, dalla città che cerca, dopotutto e dopo ogni tragedia, di rialzarsi perchè quando si è toccato il fondo non è possibile andare ancora più giù.
Il copione è sempre lo stesso. Giovedì notte si è intuito profondamente che davvero sarebbe stato  lo stesso quel copione, come tre anni fa, sempre nella solitudine.

L’acqua continuava a scendere copiosa, senza sosta. I torrenti che cingono ed attraversano la città continuavano ad ingrossarsi, anche loro senza sosta. Il risultato è semplice e si è ripetuto anche in questa tragica occasione.
Quel fiume di acqua scura e fango inizia a superare quegli argini, troppo teneri ed indifesi, e lentamente il suo letto cambia, non è più un piccolo corso racchiuso tra quei sottili argini, ma il suo letto ora è la città, le strade cittadine e non si ferma. Ogni cosa che incontra è persa, persa tra le sue onde, tra la sua forza devastatrice e quello che puoi incontrare per strada. Fermarlo è impossibile e così ti ritrovi a non saper che fare. Strade inondate, garage devastati, negozi divelti e spogliati di ogni bene da quel fango che non lascia superstiti. La forza di quell’acqua scura è impressionante.

Lo sanno bene quelli di Genova ma anche quelli di Sarno, quelli di Olbia\Nuoro, quelli di Grosseto, quelli in provincia di Messina, in Romagna, in Piemonte, in Calabria, in Versilia e potrei continuare all’infinito. Lo sanno anche chi era al governo in quel tempo e chi lo è oggi. Lo sanno perfino le pietre, che lente ed indolenti vengono trasportate da quella massa informe di acqua scura, cambiano dimora, si spostano e con esse si sposta il nostro territorio.
Dicono che sia la cementificazione, dicono che sia l’assetto urbano ad aver cambiato la geografia italiana. Terre su terre scomparse per far posto a cemento su cemento, case su case. Troppo per un paesaggio che pian piano scompare.
La notte passa ed intanto passa anche il tempo.
Tre anni fa sì, ma la piena che ha portato morte e distruzione a Treviso pochi mesi fa? Ad Ancona? A Modena?

Il giorno dopo è passato, ed è passata anche la tragedia vissuta in prima persona da molti cittadini.
I problemi intanto restano e resta un territorio troppo spesso martoriato e poco importante nella logica economica italiana, come tutto del resto. Si parla di lavoro ed intanto c’è chi sul lavoro muore per le scarse condizioni di sicurezza. Si parla di ripresa economica, di tasse, ed intanto c’è chi, oberato dalle problematiche economiche si lascia andare a gesti sconsiderati, preferendo la fine della propria vita, come unica soluzione.
Si parla di piano casa ed intanto c’è chi muore sotto le macerie per un dannato terremoto e perchè quella casa non era a norma. Si parla di istruzione e c’è chi muore sotto le macerie degli edifici scolastici fatiscenti, o chi muore nelle case dello studente, come a L’Aquila. Si parla di sanità e c’è chi muore sotto i ferri o chi muore per la superficialità del comparto sanitario. Si parla di territorio ed intanto si muore, ancora, sotto il fango, quell’immensa distesa di fango.
Si parla, quando si dovrebbe iniziare ad agire, perchè qui si muore e si continuerà a morire se non si metteranno da parte le parole.

Si parla, il giorno dopo, ed intanto si muore.

Cibal


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