Distintivo di un assassino

Da Soniab

Le pareti del commissariato erano chiare e segnate da venature grigie, a tratti più profonde e superficiali. Il silenzio di quel mattino era inusuale, di solito era un via vai di gente, di divise e facce di colpevoli o presunti tali. Il suono del telefono aveva interrotto il sonno dell’ispettore Marconi all’alba, cosa che odiava da sempre, soprattutto d’inverno quando si cullava nell’illusione che la pioggia fuori potesse conciliarli il sonno. Non accedeva eppure stare lì con la testa sul cuscino pensando che prima o poi si sarebbe addormentato davvero lo tranquillizzava. La tranquillità non era mai stata nel suo essere.

Mentre avanzava nel corridoio, Marconi corrugava la fronte e sul suo viso si disegnava la sua tipica espressione, quella che tutti conoscevano. Aprì di scatto la porta.

Eccolo, seduto con il suo vestito migliore nero e la camicia bianca ancora macchiata di sangue.

Il commissario lo osservava standogli alle spalle. L’agente capì che era ora di uscire dalla stanza e lasciare l’uomo nelle mani del peggiore che gli poteva capitare.

Marconi notò la sua espressione apparentemente tranquilla, ma sul collo un nervo pulsante rivelava nervosismo e le braccia conserte chiusura.

“Sei nella merda.”

Quello lo fissò: “Anche tu.”

“La mia posizione è diversa. Ti sei fatto beccare.”

“Se parlo trascino anche te.”

“Sei giovane, hai speranze… ma sappi che non ce ne sono. Hai il sangue di lei addosso, hai lasciato impronte nella sua stanza… però, ammetto che hai fatto un buon lavoro.”

Il ragazzo iniziò a muovere nervosamente le dita sulle ginocchia, i piedi erano posti con le punte rivolte in direzioni opposte, tendenza all’uscita, fuga da tentare. Marconi si tolse l’impermeabile, lo gettò sulla sedia e si appoggiò al tavolo.   Il gelo della stanza si propagava alle ossa del giovane davanti a lui, ne percepiva un raffreddamento d’animo al quale lui stesso avrebbe dato il colpo decisivo. Nello stesso tempo, egli stesso sentiva riscaldarsi, tepore nei muscoli e nelle vertebre. La fronte sempre più rugosa. Il ragazzo ebbe un sussulto. Il commissario gli posò una mano sulla spalla e lo invitò a restare al suo posto.

“Hai avuto ciò che volevi. È morta come mi hai detto, ha sofferto e mi ha implorato di smettere. Ha sentito la lama penetrare nel ventre, sotto la pelle e impregnarsi del suo sangue. Questo stesso sangue… guardalo!”

Marconi lo afferrò per il collo. Sentì la vena pulsare ancora di più. Segno di una vita che chiede di esistere. Un velo scuro si spiegò sulle sue iridi. Lasciò la presa.

L’amarezza non ha radici, è come una pozzanghera sulla strada bagnata che si arricchisce ad ogni goccia di melva e fumi sull’asfalto. Era cresciuta nel tempo da quando Marconi non aveva potuto tollerare la sua perdita. Orgoglio ferito, fiducia annientata e quella specie di amore sporcato e riportato alla dura realtà del non essere. Amore era una parola che non si addiceva al poliziotto. Lola gliel’aveva fatta accennare.

L’amarezza del gusto dei suoi baci era un sintomo, dettaglio di avviso di un falso concetto. Nello strazio della vita, tra assassini e criminali, Marconi ci aveva sempre vissuto, come tra i fumi del buono della vita di qualcuno finito in brace. Bene e male per Marconi erano sempre in lotta e lui aveva sempre creduto solo al male. Per questo aveva deciso di combatterlo. Il male esiste e può essere fronteggiato.

Lola era una parentesi di colori e sapori non amari, ma lui non conosceva altri aggettivi, per cui ne era incuriosito e un po’ gli piacevano ma non sapeva definirli.

Di fronte alla scena di lei sotto la doccia con quello che doveva essere il suo capo, che Marconi aveva visto solo qualche volta ma ci mise poco a riconoscere tra i fumi della acqua cocente, s’incendiò. Ma non si sarebbe macchiato di colpe con le sue stesse mani. Aveva altri metodi risolutivi in quella testa che non dormiva mai.

Quelli colpiti da insonnia cronica, con il tempo, danno spazio a una personalità che vive nel tempo buio.

“Voglio giocarmela diversamente questa volta. Ti concedo una possibilità: testa o croce, banale forse… ma non puoi dire di no, giusto?”

Il giovane scoppiò a ridere. Poi, tornò serio e annuì. Lanciò lui stesso una moneta tra quelle che aveva in tasca. Con il respiro accelerato non perdeva di vista i giri che l’oggetto compieva nell’aria, finché non cadde. Si alzò e guardò che la testa su cui aveva puntato non aveva avuto spazio sotto il peso della croce.

“Ora cosa accadrà? Finirò dentro… no! Trascinerò anche te!”

Il commissario: “Sono io che trascinerò te nel nulla.” Gli si avvicinò e iniziò a fissarlo.   Il giovane riconobbe che Marconi non era più lui, quegli occhi….quell’energia che emanava lo stava rendendo esausto, stava per cedere, sentiva le gambe tremare: “Cosa mi stai facendo?”

“Ti porto nel vortice dove farai compagnia agli altri maledetti, carnefici di questo mondo terreno.”

Il corpo si spense di qualsiasi alito di vita, le orbite degli occhi diventarono vuote e piene solo del grigio fumo dell’amarezza.


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