District 9 – Apartheid e fantascienza

Creato il 11 settembre 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

Quali sono i riferimenti alla storia del Sudafrica in “District 9“? Eccone alcuni.

Innanzitutto il titolo del film, nonché nome del quartiere in cui vengono ghettizzati gli alieni, si ispira ad una cruciale area di Cape Town. District Six infatti indicava il Sesto Distretto Municipale di Cape Town a partire dal 1867. In origine si trattava di una comunità mista di schiavi liberati, commercianti, artigiani, lavoratori ed immigrati, ed era un centro vibrante con forti legami con il cuore della città e il porto. Dai primi anni del ‘900 iniziò il processo di rimozioni forzate e marginalizzazione, i primi ad essere allontanati con la forza furono i neri del Sudafrica. A mano a mano che i più ricchi andavano via verso le periferie, l’area divenne un distretto abbandonato. Nel 1966 venne dichiarata Area dei bianchi per volere del Group Area Acts del 1901, 60.000 persone vennero deportate in aree desolate note come Cape Flats e vennero demolite le loro case nel District Six. Nel 1994 è stato istituito il museo del District Six che conserva memoria di questi fatti e di tutte le deportazioni forzate, ed è anche un punto di riferimento per la resistenza contro il progetto di colonizzare il District Six con nuovi residenti bianchi. Negli ultimi anni, anzi, alcune case sono state ricostruite e assegnate alle famiglie che risiedevano nel quartiere prima della sua distruzione. Della vita quotidiana nel District Six tratta uno dei più celebri romanzi della letteratura sudafricana, A Walk in the Night di Alex la Guma (1967).

Lo stesso nome del protagonista: Wikus Van De Merwe, non è scelto a caso, dal momento che i coloni di origine olandese (afrikaner) erano stati i più accesi difensori dell’apartheid. Quest’ultima, in lingua afrikaans “separazione”, era la politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca del Sudafrica nel dopoguerra e rimasta in vigore fino al 1993. Il termine apartheid fu usato in senso politico per la prima volta nel 1917, ma solo dal 1948 l’idea venne trasformata in un sistema legislativo che prevedeva la proibizione dei matrimoni e dei rapporti sessuali interrazziali; ghettizzazione dei neri nei bantustan, territori nominalmente indipendenti ma in realtà sottoposti al controllo del governo sudafricano; registrazione della popolazione secondo caratteristiche razziali; inaccessibilità di alcune aree urbane; diverso accesso all’istruzione e ai servizi pubblici; discriminazioni in ambito lavorativo; messa al bando delle organizzazioni etichettate dal governo come “comuniste”. Importante sottolineare che questo avveniva in un paese in cui i neri e i creoli costituivano l’80% circa della popolazione.

In un primo tempo sia neri che bianchi organizzarono proteste contro l’apartheid, in genere brutalmente soffocate dalle forze di sicurezza governative. Nei primi anni sessanta l‘Umkhonto we Sizwe, l’ala armata dell’African National Congress (Anc), iniziò a usare la forza, limitandosi però ad azioni di sabotaggio contro obiettivi strategici, come centrali elettriche e altre infrastrutture. Nel 1975 i burocrati riesumarono una vecchia legge secondo cui ogni norma doveva essere scritta in lingua afrikaans. La legge fu estesa a tutte le scuole, imponendo che le lezioni fossero tenute metà in inglese e metà in afrikaans.

Forti furono anche le pressioni internazionali, come nel mondo dello sport; infatti a causa dell’apartheid il Sudafrica fu escluso fino agli anni ottanta dalle partecipazioni alle Olimpiadi. L’apartheid fu dichiarato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite, votata dall’assemblea generale nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976, e quindi successivamente inserito nella lista dei crimini contro l’umanità.

La liberazione di Nelson Mandela, avvenuta nel 1990 dopo 27 anni di prigionia, e la sua successiva elezione a capo dello Stato decretarono la fine dell’apartheid.

È stato in quei lunghi anni di solitudine che la sete di libertà per la mia gente è diventata sete di libertà per tutto il popolo, bianco e nero che sia. Sapevo che l’oppressore era schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della propria umanità”.

Le elezioni del 1994 videro la schiacciante vittoria dell’Anc con il 62,65% dei voti, al di sotto però della soglia dei due terzi necessaria per modificare la costituzione. Da allora l’Anc governa ininterrottamente il paese. La Commissione per la Verità e la Riconciliazione, istituita nel 1995, si è occupata di raccogliere testimonianze sulle violazioni dei diritti umani e ha concesso l’amnistia a chi confessasse spontaneamente e pienamente i crimini commessi agli ordini del governo. Il Sudafrica post-apartheid, aggiungendo nove lingue africane, ha portato il totale degli idiomi ufficiali a undici. Un altro gesto del nuovo governo è stato l’abbattimento dell’arsenale bellico sudafricano.

La forte xenofobia che si respira nel film, sotto il cielo di Johannesburg, è anche quella legata a numerosi episodi di odio e violenza contro gli stranieri. Dalla fine dell’apartheid il Sudafrica ha visto un costante ed enorme flusso migratorio dagli Stati confinanti, calcolato in circa 5 milioni di persone. Negli ultimi anni tuttavia l’economia, prima in costante crescita, ha cominciato a stagnare, sono cresciute disoccupazione e inflazione. Le township, dove una volta i bianchi avevano segregato la popolazione nera, sono ora abitate dai tanti immigrati che arrivano dallo Zimbabwe, da Malawi, Mozambico e Somalia. I più poveri tra i sudafricani hanno visto negli immigrati la causa della perdita di posti di lavoro e ci sono stati attacchi xenofobi già nel 2005 e 2006. Nel maggio 2008 la situazione è peggiorata con l’arrivo dallo Zimbabwe di oltre 3000 persone in fuga dalle violenze seguite alle elezioni presidenziali. Numerose sono le espulsioni di immigrati clandestini provenienti da paesi vicini, caricati su treni speciali che due volte a settimana conducono alle frontiere gli indesiderati. Ci sono anche testimonianze di gravi violazioni dei diritti umani a A, il centro di rimpatrio dei sans-papier, la cui amministrazione è affidata ad un’istituzione privata, il Dyambu Trust, legata alla Lega delle donne dell’Anc. Stupri, corruzione, estorsioni sono all’ordine del giorno a Lindela. In alcuni casi l’internamento è prolungato in modo arbitrario per massimizzare i profitti, visto che l’organizzazione riceve dal ministero dell’Interno un’indennità di 8 dollari al giorno per detenuto. Gli espulsi devono pagare di tasca propria i costi del trasporto della loro deportazione.


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